È utile l’accordo sul nucleare con l’Iran?
«L’intesa elimina il rischio che Teheran si doti di armi nucleari e rafforza i riformisti», dice l'ex vicesegretario generale dell’Onu. «Della Repubblica degli Ayatollah non ci si può fidare», ribatte il politologo Sì Pino Arlacchi
SULL’UTILITÀ DELL’ACCORDO con l’Iran c’è l’unanimità: è l’opinione del mondo, e anche dello stesso governo americano, comprese tutte le agenzie che si occupano di sicurezza. L’unico a pensarla diversamente è il presidente Donald Trump, semplicemente perché ha promesso di cancellarlo in campagna elettorale e ora non sa più come tirarsi indietro. L’intesa è giusta, perché elimina il rischio che Teheran si doti di armi nucleari e riapre il dialogo con la parte riformista della leadership del Paese. Sul tema c'è molta disinformazione. L’opinione pubblica non si rende conto che in Iran gran parte della società, quando può esprimersi, manda chiari segnali di apertura, di volontà di ricollegarsi all’Occidente, di attenzione ai diritti umani; tenta di opporsi alla parte del Paese che è invece chiusa, retriva, pericolosa e detiene pezzi fondamentali del potere – la Guida suprema, la magistratura, la polizia, l’esercito. Anche per questo l'accordo è importante: offre un supporto fondamentale al processo di democratizzazione, un obiettivo forse ancora più urgente della questione nucleare. Infine penso che se l’Iran avesse voluto dotarsi dell’atomica avrebbe seguito un’altra strada, come ha fatto la Corea del Nord: uscire dal Trattato di non-proliferazione, e poi procedere. La domanda è cosa accadrà ora. Secondo me, anche se l’America decidesse di sconfessare l’accordo, gli altri Paesi dovrebbero mantenerlo: a cominciare dall’Unione Europea.
No Sergio Della Pergola
LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE È STATA nella migliore delle ipotesi molto ingenua nello stipulare l'accordo con l'Iran. Il punto più problematico risiede nel fatto che i controlli per verificare lo stop al programma nucleare sono in pratica affidati agli iraniani stessi: gli ispettori entrano soltanto dove viene loro consentito, e potrebbero esistere laboratori segreti in cui l’arricchimento dell’uranio va avanti indisturbato. La domanda vera è se ci si possa fidare di Teheran: io penso di no. Per tanti aspetti l’Iran è un Paese moderno, con una società avanzata. Purtroppo però a governare è un potere repressivo: di fronte a una dittatura feroce i civili non possono nulla e dunque è alla sua leadership che bisogna guardare. Il presidente Rouhani è – relativamente – moderato, però il capo vero non è lui ma la Guida suprema, l’ayatollah Khamenei. Sulla linea del fronte c’è Israele, minacciato più volte di essere cancellato. C’è chi pensa che si tratti solo di retorica, ma i precedenti storici ci dicono che propositi del genere vanno presi sul serio. E dopo Israele, il nemico sono gli Usa. Il quadro si complica considerando lo scontro per l’egemonia regionale tra sunniti e sciiti; e i missili a lungo raggio in grado di portare testate nucleari che l’Iran ha già sviluppato. Tuttavia, ora che l’accordo esiste, e nonostante i suoi difetti, abolirlo sarebbe rischioso: sparirebbero anche i pochi disincentivi allo sviluppo dell’arma atomica che sono stati introdotti.
Pino Arlacchi, 66 anni, è sociologo e politologo; è stato parlamentare, deputato europeo e vicesegretario generale delle Nazioni Unite. Sergio Della Pergola, 75 anni, è un demografo e politologo italiano naturalizzato israeliano, professore emerito dell’Università ebraica di Gerusalemme