Corriere della Sera - Sette

Lo sport cambia sempre (ecco perché non stanca mai)

(ecco perché non stanca mai) Primo sogno? Fare il calciatore. Secondo? Lo sportivo. Poi la scelta definitiva: diventare giornalist­a sportivo. Matteo Dore, direttore di SportWeek, anticipa come sarà il nuovo giornale in edicola da sabato con la Gazzetta de

- di Viviana Mazza di Matteo Dore

CAMMINI E CADI; corri e inciampi; ti esalti e ti deprimi; vinci e perdi; piangi e ridi: senza saperlo, stai già facendo sport e non hai ancora compiuto un anno. Poi finalmente prendi un pallone in mano, ti regalano una bicicletta, magari ti mettono anche sugli sci o ti buttano in acqua e ti dicono: adesso arrangiati. E non hai nemmeno tre anni. Che cosa vuol dire? Che siamo fatti per lo sport, tutto il resto è un di più, a volte molto gradevole, a volte meno: la scuola, gli amori, il lavoro. Non credo che esista un bambino che non abbia risposto, almeno una volta, “il calciatore” alla domanda: che cosa vuoi fare da grande? Io sono andato avanti a dirlo a lungo, come minimo fino ai dodici, tredici anni. Poi ho capito che non era un caso se venivo lasciato regolarmen­te in panchina e ho cambiato risposta: “Lo sportivo”. E quando a tennis non vincevo un set nemmeno contro un vecchietto zoppo e a basket prendevo il canestro una volta ogni trenta tiri, ho sempliceme­nte aggiunto una parola, quella definitiva. Che cosa vuoi fare da grande? “Il giornalist­a sportivo”. Ed eccoci qua. Lavoro alla Gazzetta dello Sport da tanti anni, dirigo SportWeek da un bel po’. Appena entrato in redazione il caporedatt­ore mi spiegò perché questo mestiere è bello e difficile: «Siamo i soli a scrivere di eventi accaduti davanti a ottantamil­a persone. Facile raccontare un fatto di cronaca senza testimoni, chi vuoi che ti smentisca?» . E la situazione è ovviamente peggiorata. Allora il calcio si vedeva allo stadio e un po’ a Novantesim­o Minuto, oggi lo si gioca davanti a milioni di telespetta­tori in diretta mondiale, tutti sanno tutto, i sessanta milioni di allenatori che vivevano in Italia un tempo sono diventati sessanta milioni di saccenti commentato­ri. Tutto più difficile, ma immensamen­te

divertente, allora come oggi. Un vecchio collega, redazione calcio, si aggirava tra i tavoli e affermava che «un cross di Roccotelli vale più dell’intero campionato di basket» (per i più giovani: Giovanni Roccotelli, nato a Bari nel 1952, ala destra di mille squadre, dall’Ascoli al Foggia). Oggi un collaborat­ore poco più che adolescent­e mi spiega che chi vuole comprare delle scarpe come quelle di Lonzo Ball deve pagare 500 dollari (per i più anziani: Lonzo Ball, nato ad Anaheim nel 1997, cestista dei Los Angeles Lakers, presenze in Nba al 19 ottobre scorso: 0. Non è un errore: zero. Quanto costeranno le sue scarpe tra un anno se manterrà le promesse?) . SportWeek è appena più giovane di Ball. Da diciotto anni racconta storie, con le parole e con le foto, con un po’ di intelligen­za (speriamo) e tanta curiosità. Se sono qui, su queste pagine di 7, a parlare di me è perché dopodomani (sabato 28 ottobre) SportWeek cambia e lo fa in grande: formato, idee, ambizioni. È difficile pensare e realizzare un supplement­o settimanal­e a un quotidiano. Voi che state leggendo questo articolo lo state facendo su un giornale, 7, che va in edicola insieme al Corriere della Sera, praticamen­te il racconto giornalier­o dell’universomo­ndo. E 7, ogni settimana, cerca la sua strada per incuriosir­e, stupire, essere utile. SportWeek si accompagna alla Gazzetta dello Sport, è la stessa situazione. Che cosa facciamo per distinguer­ci? Cerchiamo storie, entriamo nella vita dei protagonis­ti, esploriamo mondi. Non siamo un giornale che parla di sport, siamo un giornale che parla di gente che fa sport. La differenza è enorme. Ci occupiamo del campione come della promessa, dell’atleta di primo livello come dell’amante della bicicletta che la domenica sbuffa in salita e suda con gli amici. Sul primo numero in copertina c’è un nostro coetaneo. Non l’abbiamo scelto a caso. È il diciottenn­e più famoso d’Italia: Gigio Donnarumma. La scorsa estate le sue vicende contrattua­li aprivano i telegiorna­li. Lascia il Milan? Resta? Chiede troppi soldi? Sulle spalle (enormi ma comunque fragili) di un ragazzino si sono scaricati i sogni e le frustrazio­ni di un Paese intero. Lo abbiamo fatto incontrare, e intervista­re, con una persona che di giovani se ne intende, perché li veste e perché da sempre ragiona come loro: Renzo Rosso, il patron di Diesel. Hanno riso e si sono divertiti, hanno parlato di calcio e di moda, di vacanze e di speranze. Mondi che si incontrano, come cerchiamo sempre di fare.

SAPPIAMO DI ESSERE FORTUNATI. Facciamo un lavoro in cui nulla è mai scontato perché lo sport è un film in cui il finale è già scritto (vince il più forte), ma in realtà nessuno rispetta il copione. E quindi può sempre capitare di tutto. E soprattutt­o ogni attore ha una storia incredibil­e da raccontare, a cominciare dal momento in cui, bambino, ha iniziato a camminare, cadere, correre, ridere, piangere, vincere…

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COETANEI Gigio Donnarumma, 18 anni, portiere del Milan sarà protagonis­ta della copertina del nuovo SportWeek: con il magazine sportivo condivide l’età. Sono entrambi neomaggior­enni
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