Mia madre mi chiama in Catalogna: «L’hai voluta l’indipendenza?»
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BARCELLONA. SONO LE 22 DEL 16 OTTOBRE quando vedo ombre furtive aggirarsi sui balconi del palazzo di fronte. Ad un tratto si leva il suono di una pentola battuta. Ci siamo, di nuovo. È la “cassolada”, una protesta non violenta che i catalani portano avanti sin dai primi giorni di agitazione per far sentire la loro voce, e le loro pentole, contro la repressione del governo di Madrid. Era dal discorso di re Felipe dello scorso 3 ottobre che i barcellonesi avevano riposto le padelle, ma non mi faccio cogliere di sorpresa. Sul gruppo WhatsApp dell’università erano arrivati messaggi per convocarla in risposta all’arresto dei due leader indipendentisti.
LA NOTIZIA MI RIPORTA al 20 settembre, quando le lezioni sono state interrotte a causa del blitz della Guardia Civil spagnola nelle sedi del governo catalano. Da quel momento in poi la mia vita universitaria a Barcellona è stata segnata da scioperi, manifestazioni e assemblee. E di colpo quello che era stereotipo, l’Erasmus a Barcellona, è diventato ossimoro. Si possono immaginare infatti due tendenze più opposte di quella europeista della generazione Erasmus e il separatismo catalano? Chiudersi in modo forte nel proprio Paese e nella propria identità, seppur con la nobile intenzione di valorizzare le proprie radici, alza barriere verso chi viene da fuori. Ne è un esempio l’ostinazione con cui i professori universitari tengono le lezioni in catalano. Sono piccoli contrasti, emblema di un mondo che va in due direzioni, opposte e parallele, senza punti di contatto. Ma essere giovani oggi vuol dire anche non cedere alle estremizzazioni e cercare di capire attraverso il confronto. Le azioni dei miei coetanei catalani suscitano in me ammirazione e desiderio di comprendere più a fondo. Le parole che passano di bocca in bocca sono scariche di idealismo: «Democrazia, repubblica catalana, libertà». Anche se dietro ogni ideale ci sono sempre interessi economici.
COMUNQUE LA SI PENSI i risvolti positivi non mancano. Sono state giornate sentite, occasione di dibattito e condanna all’uso della violenza in un Paese democratico. La mia compagna di corso Inés dice che nella sua famiglia non si parla d’altro e non mancano i conflitti. Ci sono argomenti validi da entrambe le parti, ragioni forti, come quelle che mi hanno spinto a intraprendere l’avventura dell’Erasmus. Entrare in contatto con una nuova cultura, conoscere persone da tutto il mondo, senza contare l’opportunità di crescita personale e autonomia. Ironia della sorte, non sono l’unica che la desidera, già sento la voce di mia madre al telefono: «L’hai voluta l’indipendenza?».