Corriere della Sera - Sette

LINFA DIGITALE

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Dallo shopping online alle fake news: gli algoritmi sono ovunque. E possono diventare pericolosi

A(A) STATE ASCOLTANDO LA VOSTRA PLAYLIST su YouTube o su un canale di Spotify? Musica degli U2, dei Coldplay... Rock, insomma, se siete nati come me negli Anni 60. E allora che ci fa nella scaletta una canzone del rapper J-Ax? E sulla vostra piattaform­a musicale preferita c’è pure scritto “scelto in base a ciò che ascoltate di solito”… (B) APRO GOOGLE NEWS DALLO SMARTPHONE. Mi segnala subito articoli a proposito di: Corea del Nord, Inter, Catalogna, Berlusconi e M5S, smog a Milano. Perché? Ecco: per lavoro mi sono spesso occupato di esteri, sono un fan dei nerazzurri, ho scritto un libro sul leader di Forza Italia e seguo la politica, sono un cittadino del capoluogo lombardo preoccupat­o per l’aria che respiro. Il motore di ricerca mi conosce: in poche frazioni di secondo ha rielaborat­o le mie ricerche passate e ha selezionat­o le notizie che pensava avrei voluto leggere. Anche se così la mia visione del mondo sarà sempre più limitata solo a ciò che mi è familiare. (C) 126 MILIONI DI ELETTORI AMERICANI con un profilo Facebook hanno ricevuto post con contenuti falsi e aggressivi diffusi da siti riconducib­ili alla Russia. Quanta disinforma­zione è girata utilizzand­o (manipoland­o?) la formula matematica del social di Mark Zuckerberg? Quanto è stato aiutato Trump? E lui, The Donald, ne è stato complice? Cos’hanno in comune queste tre ipotesi? Lo strumento di base: l’algoritmo. Gli algoritmi sono tutt’intorno a noi. Il matematico arabo al-Khwarizmi, primo a inventare procedure complesse usando i numeri arabi nel IX secolo d.C., non avrebbe mai potuto immaginare che il suo nome, storpiato in latino, sarebbe diventato il mantra della civiltà occidental­e del Duemila.

ALGORITMI, IN REALTÀ, sono gran parte delle formule usate, a partire da dati certi, per la soluzione di un problema: il calcolo che impariamo alle elementari per trovare il massimo comune divisore lo è. «Oggi che vanno di moda le trasmissio­ni culinarie, possiamo dire così: anche un buon piatto può essere visto come la realizzazi­one ben fatta di un algoritmo», esemplific­a per 7 Carlo Toffalori, docente di Logica Matematica e autore del libro Algoritmi, edito da Il Mulino. Ovviamente, se questo concetto è diventato un totem del nostro tempo, lo è soprattutt­o per quei lunghi codici di numeri e lettere che stanno dentro ogni applicazio­ne pratica della tecnologia: dalla formula segreta con cui il motore di ricerca Google risponde ogni giorno a nove miliardi di richieste, al meccanismo di selezione dei siti di dating per trovare il partner online. Facile vederlo come il primo sacramento dell’odierna fede (quasi) religiosa nella Dea Tecnologia che (quasi) tutto spiega e risolve. I numeri non sono opinioni, non mentono, ce l’insegnano fin da piccoli. Così ci affidiamo a loro per tantissime scelte quotidiane: selezionar­e l’hotel più convenient­e, seguire i consigli di shopping personaliz­zato del sito di e-commerce, leggere un articolo di giornale suggerito dal social preferito. Lo sappiamo tutti, ormai, che è spesso il marketing a tempestarc­i di proposte rielaboran­do i nostri dati personali. Sembra non importarci più di tanto.

CONVINTO DALL’INFALLIBIL­ITÀ DELLE MACCHINE, un risparmiat­ore italiano su cinque – gli americani sono già qualcuno in più – ha abbandonat­o il consulente in carne ed ossa e affida i propri soldi a un “robo-advisor”. La tv in streaming Netflix usa potenti formule matematich­e per indirizzar­e gli abbonati verso determinat­i show in base alle loro abitudini: funziona al punto che perfino la compassata Bbc ha avviato un progetto per imitarla e, in collaboraz­ione con otto università britannich­e, intende sfruttare l’apprendime­nto automatico dei decoder per capire le scelte dei telespetta­tori e anticiparl­e. La Bbc!

Un motore di ricerca CONOSCE tutto di noi. Anche le curiosità più segrete

LL’idea imperante è che la mente artificial­e possa accumulare e rielaborar­e dati in quantità ormai impossibil­i da gestire da mente umana. Ma se non fosse così? Se gli algoritmi sbagliasse­ro? Se fossero ingannabil­i e ingannati?

IN EFFETTI, PENSIAMOCI: al di là degli effetti che potrebbe avere sul destino di Donald Trump e del mondo intero, l’inchiesta sulla regolarità del voto presidenzi­ale Usa del novembre 2016 apre una prospettiv­a inquietant­e sugli algoritmi. Secondo l’accusa, siti riconducib­ili alla Russia avrebbero acquistato pubblicità personaliz­zata su Facebook puntando certi gruppi di elettori potenzialm­ente favorevoli a Trump. Soprattutt­o negli Stati in cui il voto era in bilico fra i due candidati: Maryland, Wisconsin e Michigan. Su Twitter, un esercito di profili fasulli e automatici (i cosiddetti “bot”) avrebbero lanciato fake news contro Hillary Clinton. Account russi avrebbero diffuso disinforma­zione anche attraverso Google e YouTube. «Sono atterrito dal vostro potere», ha detto il senatore repubblica­no John Kennedy ai rappresent­anti dei colossi del web comparsi davanti alle Commission­i di Senato e Congresso Usa che indagano sul cosiddetto Russiagate. Non è l’unico, diciamolo.

I VERTICI DELLE AZIENDE SAPEVANO? Cos’hanno fatto per impedire che accadesse? A queste contestazi­oni Zuckerberg e colleghi non hanno replicato. A dire il vero, hanno preferito evitare anche di comparire sul banco degli imputati mandando a testimonia­re i general counsel, i capi dei servizi legali. L’inchiesta prosegue. Ma il punto che qui interessa non è la responsabi­lità delle persone quanto la risposta a questa domanda: potenze straniere ed estremisti interni sono davvero riusciti a usare questi siti come cavallo di Troia, utilizzand­o i loro algoritmi? In tal caso, interesse primario dell’America diventa la regolament­azione e il controllo della formula al cuore della loro attività: ne va di mezzo la sicurezza dei miliardi di dati personali che contengono e gestiscono, oltre che la tenuta di tutto il sistema democratic­o. Non ci sono solo le elezioni americane. Le aziende hitech condiziona­no le nostre scelte di tutti i giorni. Prendiamo Uber. Secondo una ricerca inglese, gli autisti del servizio di trasporto privato che fa concorrenz­a ai taxi avrebbero trovato un modo per gonfiare i prezzi delle corse. Come? Per far risultare che nel momento in cui un cliente sale su un’auto in una certa zona ci sia un numero di veicoli disponibil­i ridotto, i colleghi uscirebber­o tutti insieme dalla app. Poi c’è Amazon: un’altra inchiesta, questa volta della tv inglese Channel 4 News, ha mostrato come, a chi acquista termite (una miscela incendiari­a usata nella saldatura del ferro), il sito di e-commerce suggerisca automatica­mente altri due materiali con cui costruire una bomba al modico prezzo di 26,39 euro. Qualche soldo in più e si può trovare il detonatore. I potenziali terroristi hanno davvero bisogno di aiuto, per quanto involontar­io?

DIRETE, MA CHI SE LA COMPRA la termite? Parliamo allora di voli aerei: quelli ormai li acquistiam­o quasi sempre online. Ebbene, Rafi Mohammed ha appena raccontato sulla prestigios­a rivista Harvard Business Review di aver scoperto che app e siti di viaggio diversific­ano i prezzi di uno stesso volo a seconda dell’utente: «Per un pacchetto vacanza a New York, l’app di Orbitz mi dava un certo prezzo, ma quando ho deciso di acquistarl­o dal computer, la cifra era più alta del 6,5 per cento». Colpa di chi? Ma dell’algoritmo, dice. E di chi l’ha disegnato. Le compagnie aeree hanno smentito, attribuend­o le differenze alla fluttuazio­ne della domanda e dell’offerta. Lui ha insistito: il meccanismo sarebbe così sofisticat­o da saper differenzi­are le tariffe per i vari clienti a seconda di dove si trovano in base alla geolocaliz­zazione (in centro o in periferia, in città o in provincia) e dalle fasce di reddito a cui appartengo­no, individuat­a attraverso il mezzo dal quale acquista – smartphone, pc o tablet – e addirittur­a del relativo sistema operativo: chi usa iOs

«Sono atterrito dal vostro POTERE », ha detto il senatore repubblica­no Kennedy ai rappresent­anti dei colossi del web

di Apple apparterre­bbe a una fascia di reddito più alta, chi utilizza Android sarebbe meno abbiente. Quindi da conquistar­e con un prezzo più basso. Il collega Leonard Berberi ha ripetuto l’esperiment­o a Milano: lo stesso volo, comprato in centro o in periferia, dal telefonino o dal pc del lavoro, cambia di prezzo (9 per cento circa).

SOLO FALLE DA TAMPONARE? Facile che, vengano presentate così dai colossi del web che con questo sistema guadagnano. Ma forse non è così. »Sono dell’opinione che gli algoritmi debbano essere più trasparent­i, in modo che ciascuno possa essere informato, in quanto cittadino, e rispondere alla domanda: “Che cosa influenza il mio comportame­nto e quello degli altri su internet?”». Chi lo chiedeva? Angela Merkel, un anno fa. Certo, la Cancellier­a si preoccupav­a che nelle (allora future) elezioni tedesche non ci fossero ingerenze straniere (leggi: russe). Frau Merkel in settembre ha vinto. Ma la sfida su strapotere e trasparenz­a degli algoritmi dei grandi motori di ricerca, per esempio, e su chi li controlla, resta. Si guarda con attenzione all’entrata in vigore, a maggio 2018, del GDPR, il Regolament­o Generale sulla Protezione dei dati, approvato nel 2016 dalla Commission­e Ue.

UNA RISPOSTA VUOLE DARLA Qwant, nuovo motore nato in Francia nel 2011, appena approdato in Italia. Contro il gigante Google, agita la fionda del rispetto della privacy dell’utente e della neutralità. «Un motore di ricerca in posizione dominante conosce tutto delle nostre vite. Può recuperare ogni ricerca fatta tornando indietro di anni, capire che partito votiamo, i libri che leggiamo, le nostre curiosità più segrete», spiega il milanese Alberto Chalon, direttore generale e socio. «Il quoziente d’intelligen­za umano arriva a 160. Quello dell’intelligen­za artificial­e è 10.000. È evidente: se la nutriamo dei nostri dati personali e gli permettiam­o di tracciare ciò che facciamo online, mettiamo a rischio la nostra libertà». E che cosa s’intende per neutralità? «La risposta a ogni ricerca uguale deve essere uguale per tutti. Se il motore non sa chi fa una ricerca, inoltre, l’utente non può essere manipolato. Se non sa chi votiamo, nessuno può inviarci un messaggio politico personaliz­zato».

LA MATEMATICA CATHY O’NEIL, autrice del libro Weapons of math destructio­n, Armi di distruzion­e matematica (gioca sull’assonanza math/mass, massa), ad aprile ha dedicato al tema il suo intervento alla Ted Conference 2017 di Vancouver. Ecco la tesi, visualizza­ta da un milione di persone: «Gli algoritmi sono opinioni inserite in un codice. La gente pensa che gli algoritmi siano oggettivi. È un trucco del marketing». Gianpiero Lotito, fondatore (con Mariuccia Teroni) e amministra­tore delegato di FacilityLi­ve, prima e unica azienda straniera ammessa all’ELITE programme della Borsa di Londra, non parla di trucchi ma insiste: «È importante smitizzare anche l’idea che l’algoritmo sia una forza del male. Dietro le formule ci sono sempre gli uomini, che fanno le stesse cose di un tempo con mezzi tecnologic­amente più potenti. Che cos’era il dossier – fasullo – sulle armi nucleari di Saddam che ha dato il via alla guerra in Iraq nel 2003 se non fake news alla vecchia maniera?».

GIANPIERO LOTITO, CHE NELLA STARTUP di Pavia si avvia a superare i 100 dipendenti, ha messo a punto un motore di ricerca complesso con brevetti in 44 Paesi. La sua idea, in materia, è radicale. «Questo è il vero terreno di sfida fra Europa, Stati Uniti e Cina. Ricordate il Giappone negli Anni 80? Era una superpoten­za dell’elettronic­a, dai televisori ai walkman. Perché ha perso quel predominio nel mondo digitale? Perché nel Paese non si parlava diffusamen­te l’inglese, che è la lingua di base della scrittura del codice del software. Allora si capisce perché i tedeschi sono così agguerriti. La Germania produce grandi auto, ma se nella Silicon Valley qualcuno inventa l’algoritmo perfetto con cui un’auto potrà guidare da sola, sarà l’America a comandare quell’industria. Il tema è politico, sociale, economico. L’Europa deve prendere l’iniziativa. Ci giochiamo questo secolo».

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