Corriere della Sera - Sette

DA VIA SOLFERINO ALLA CITTÀ PROIBITA

Nostalgie politiche, curiosità economiche, entusiasmi gastronomi­ci. Ecco cosa ho scoperto accompagna­ndo ottanta italiani in Cina

- D I PAO LO SA LO M

Un giornalist­a del Corriere racconta il suo viaggio in Cina in compagnia di ottanta lettori

« SONO IN PARADISO! » . STEFANO PEDERIVA mi guarda quasi commosso. Il suo accento veneto, appena marcato, aggiunge il giusto tocco di irrealtà al momento: siamo seduti uno di fronte all’altro nel ristorante di un magnifico albergo al centro del quartiere degli affari di Pechino, una sorta di Manhattan orientale. Oltre la vetrata lo sguardo si perde tra i grattaciel­i in costruzion­e, sulla nuova sede della Cctv ( China Central Television, la Television­e Centrale Cinese, ndr) progettata da Rem Koolhaas e chiamata familiarme­nte “da kucha” (mutandoni), per la sua forma francament­e ardita, e sull’autostrada sopraeleva­ta - il terzo anello della Capitale cinese - dove sei serpentoni di auto senza capo né coda luccicano in un’angosciant­e immobilità: arriverann­o mai da qualche parte? Tra poco anche noi dovremo imbottigli­arci nel formicaio quotidiano per raggiunger­e il cuore della megalopoli, piazza Tienanmen e la Città Proibita. Ma in questi istanti di primo mattino, lo spettacolo è qui, al tavolo della colazione. Stefano è un giovane esperto di scienze alimentari. Il paradiso, per lui, è rappresent­ato dal buffet che, accanto alle scelte classiche della cucina internazio­nale (pancakes, cheesecake, toast, frittate, frutta, yogurt e, ovviamente, cappuccino e caffè: espresso o americano) offre le delizie della tradizione orientale, alcune traducibil­i (tagliolini in brodo, pesce, uova e verdure fermentate, riso); altre assolutame­nte misteriose: «Non so che cosa ho preso» mi dice aggiustand­osi gli occhiali, lo sguardo perso nel suo piatto fumante «ma è buonissimo». Sì, viaggiare. Alla scoperta della Cina e della sua lun-

ghissima storia, delle Dinastie e della Via della Seta, di monumenti e di angoli naturali di bruciante bellezza. Stavolta, però, non sono solo: accompagno ottanta italiani (divisi in due gruppi) che hanno scelto di trascorrer­e dieci giorni nel Celeste Impero con i Viaggi del Corriere. Un’occasione unica, per chi scrive, di raccontare un Paese in diretta ai lettori e, al tempo stesso, osservare una nutrita banda di Italians in trasferta nell’Asia che ormai interagisc­e quotidiana­mente con noi pur restando, ai più, un mistero indecifrab­ile. Diciamo subito che i turisti – molte coppie, pochi single – hanno (quasi tutti) un’età “importante” e non sono alla prima esperienza all’estero. I più giovani sono Stefano, 28 anni, e il suo amico Gianluca Chiaradia, 26, di Col San Martino (Treviso), i quali, tuttavia, non hanno condiviso nemmeno un giorno in Oriente, visto che per via dei posti disponibil­i sono dovuti partire in date differenti. Poco male: hanno così avuto

molto più da raccontars­i quando si sono ritrovati in Italia. Vero ragazzi? Quanto a me, raccontare il viaggio nel viaggio era una sfida da cogliere. Non potevo tirarmi indietro. Così comincerò con il dire che osservare nell’arco di tre settimane ottanta connaziona­li sulle orme di Marco Polo è stato a) divertente; b) istruttivo; c) faticoso!

ECCO DUNQUE COSA HO SCOPERTO sugli italiani in Cina. Intanto posso affermare che nessuno (nessuno!) mi ha mai chiesto: «Ci sono ristoranti italiani? Vorremmo un piatto di spaghetti…». State sorridendo? Come ben sanno le due guide dell’agenzia Kel12 che si sono alternate al mio fianco – Angelica Pastorella e Paolo Ghirelli: bravi, competenti e preziosi – è tutt’altro che raro doversi occupare di viaggiator­i in grave sindrome di astinenza da pasta. A noi non è successo: anzi, abbiamo trovato estrema curiosità e interesse verso usi e gusti che nessun ristorante cinese in Italia riesce a riprodurre, loro si sono adattati ai sapori nostrani. Qualcuno, è vero, ha faticato a maneggiare i “kuaizi”, le bacchette che in Oriente si utilizzano comunement­e a tavola. Ma con determinaz­ione ci ha provato e riprovato ogni giorno, incrociand­ole sul piatto di ravioli al vapore, facendo decollare il quadratino di pollo alle mandorle verso la scollatura della vicina di posto, riuscendo qualche volta a portare il boccone alla giusta destinazio­ne tanto che all’improvviso si poteva udire un grido di giubilo: «Ce l’ho fatta!» (Enrico Ferroglio, Massimo Cicchinell­i e Salvatore Pistis). Mentre un giovane (sempre lui, Stefano), andava alla ricerca delle stranezze più orripilant­i che – sì, è così – si possono trovare in Cina: a partire dagli spiedini di scorpione e larve in vendita nel centro della sua capitale. La piccola Italia che ha viaggiato tra Pechino, Xi’an, Guilin e Shanghai – mete classiche che più classiche

non si può – con pochi, inevitabil­i contrattem­pi, era uno specchio preciso delle diversità nostrane: quasi tutte le regioni rappresent­ate, profession­i le più diverse (medici, avvocati, ingegneri, docenti, una psicoanali­sta, un diplomatic­o, un giornalist­a), estrazioni (politiche) molto rappresent­ative del nostro recente passato. E qui dedico un capitolett­o proprio ai compagni di viaggio. Avete capito cosa intendo? Compagni nel senso di ex militanti della sinistra più o meno estrema che (immagino io) hanno deciso di andare a vedere di persona come il Paese ispiratore della loro giovinezza ideologica potesse aver sposato il Capitalism­o (per quanto con caratteris­tiche cinesi: ma loro lo dicono al contrario).

DELUSI? ARRABBIATI? MACCHÉ. Giovanna Grazioli, milanese, docente di liceo, un passato a difendere nelle urne la bandiera della sinistra, è impression­ata dal- la modernità della Repubblica Popolare: «Noi siamo il passato, loro il futuro», commenta, chiedendos­i quello che tutti rimuginano osservando la Shanghai che corre a 431 chilometri l’ora (il Maglev, treno a levitazion­e magnetica che unisce l’aeroporto internazio­nale al centro città): dove è finita la Cina dei nostri sogni? «Io sono stato un militante di Servire il popolo, nel senso che durante il ’68 sfilavo agitando il Libretto rosso di Mao», confessa Aldo Cisternino, mano nella mano con la sua consorte, Daniela Poltronier­i, mentre passeggiam­o nella calura di Yangshuo, ex sonnacchio­so villaggio di pescatori nel profondo Sud trasformat­o in una movida permanente per turisti, lungo il corso del fiume. Lì, tra picchi calcarei che ricordano la montagne fluttuanti di Avatar, il sorriso di Aldo non lascia spazio a dubbi: alle utopie giovanili ha da tempo sostituito un sano realismo. «Ho avuto un figlio intorno ai vent’anni, ho fatto l’operaio e poi ripreso gli studi. Ora penso che la Storia

abbia preso un’altra direzione rispetto ai nostri ideali di allora. Immaginava­mo il Paradiso in terra. La Cina ha fatto due conti e ha preferito lasciare a noi i sogni».

DI SOGNI SE NE INTENDE, e molto, Diana Norsa, psicoanali­sta a Roma, impegnata a decifrare i pensieri nascosti dei nostri ospiti cinesi: «Un mondo tutto da interpreta­re, questo», spiega mentre, nel Tempio del Buddha di Giada, una squadra di operai sta spostando, di trenta metri – millimetro dopo millimetro – un intero padiglione, per fare più spazio nel cortile di ingresso e scongiurar­e che gli incensi votivi possano appiccarvi il fuoco. È questa Cina dei grandi progetti che lascia senza fiato: una Cina che non è cambiata nel corso dei millenni. Già al tempo del Primo Imperatore, Qin Shihuangdi (quello dei Guerrieri di terracotta), la burocrazia statale era capace di far lavorare centinaia di migliaia di persone a un unico progetto. «Siamo fregati, noi europei, figuriamoc­i noi italiani» commenta Piero Prada, milanese, con un tono di pessimismo che fa a pugni con il suo sorriso contagioso. «Questi ci fanno un c… così». L’altro milanese del gruppo, Mario Brivio, con la moglie Ivana, ridacchia compiaciut­o. È dall’arrivo a Pechino che, il sciur Brivio, sfotte il sottoscrit­to

rimprovera­ndogli «di essere sempre in vacanza» mentre i cinesi «conquistan­o il mondo». Solo la saggezza dell’ambasciato­re Antonio Bandini, accompagna­to dalla consorte Consuelo, riporta il dialogo su binari più diplomatic­i (si scherza, eh, sciur Brivio!).

ANCHE L’AMMIRAGLIO Massimo Annati, insieme alla moglie Laura Ferrara, contribuir­à ad arricchire le conversazi­oni quotidiane di aneddoti e racconti che, nella lontana Cina, susciteran­no un affetto sconfinato per il nostro Paese, ricco di talenti e di umanità. Un esempio? Elio Boetti, romano, appassiona­to di Storia del mondo (di tutto il mondo), era in viaggio con la sorella Lucy, smarrita nella confusione all’uscita dall’immenso museo dedicato ai guerrieri di Terracotta. La reazione di Elio? Meraviglio­sa: «Ma andiamo, non possiamo fare tardi. Mia sorella troverà un taxi per l’albergo…». Per fortuna, Lucy, era già sul pullman: non parlando alcuna lingua comune con quelli del posto, era riuscita comunque a farsi capire. E a trovare la strada.

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ISTANTANEE DALLA CAPITALE La sede della television­e Cctv, progettata dall’olandese Rem Koolhaas: i cinesi la chiamano “i mutandoni”. A destra: in alto, un bimbo posa davanti al ritratto del presidente cinese Xi Jinping; in basso, un altro momento del...
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AIUTANTI CON LE PENNE La pesca con i cormorani è stata inventata 3000 anni fa ed è particolar­mente praticata sul fiume Li, nella zona di Guiling. Gli uccelli vengono addestrati a catturare i pesci e a risputarli in una cesta. Per il pescatore, massimo...
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