MARATONA MILITARE
Sveglia all’alba con la tromba, flessioni nel fango, vertigini. Ma anche talento, cameratismo e risate. Una giornalista ha passato due giorni decisamente tosti fra i cadetti della Marina Militare a Livorno
48 ore in Accademia Navale a Livorno
AMMIRAGLIO, AMMIRAGLIO DI SQUADRA, ammiraglio di divisione, contrammiraglio, capitano di vascello... Sul treno, ripasso sottovoce. Il tipo seduto di fronte mi guarda perplesso. Sono sul Frecciarossa in arrivo da Milano, manca poco a Firenze. Scendo nel capoluogo toscano e salgo su un caotico regionale diretto a Livorno. Trascorrerò 48 ore all’Accademia Navale, nei panni di una cadetta. Mi chiamo Andrea, ma sono una ragazza. L’ho specificato perché c’era il rischio di finire nelle camerate maschili. La cosa avrebbe fatto sbellicare dalle risate la redazione di 7, ma meglio evitare. Chiara e Federica, le allieve del quinto anno che veglieranno su di me, mandano un messaggio per sapere se il treno è in orario. Le femmine sono ormai il 22 per cento dei cadetti in Accademia. La Marina Militare, tra le donne, è sempre più popolare.
Lunedì, ore 17.50
Arrivo a destinazione, i due angeli custodi sono lì ad attendermi. Indossano l’uniforme da guardiamarina, il penultimo grado nella scala degli ufficiali (lo si raggiunge al quarto anno di corso). Entrambe pugliesi, 24 anni. Durante il trasferimento confesso che temo di far confusione con gradi, cariche e appellativi. «Tu chiama tutti Comandante e sei sicura di non sbagliare», mi consigliano sorridendo. Varchiamo il cancello dell’Accademia Navale: emozionante. Mi danno il benvenuto il capitano di fregata Alessio Sabbatini e il suo assistente, il sottotenente di vascello Edoardo Casarotto. Chiara e Federica mi accompagnano nella cameretta che condividerò con tre ragazze del secondo anno: Anita, Lisa e Sofia. I letti si trovano su un corridoio soppalcato e seguono il perimetro della stanza. Per arrivarci occorre arrampicarsi su una scala a pioli lunga quasi tre metri. Prime vertigini, altre seguiranno.
Lunedì 18.30
Mi presentano l’ammiraglio comandante Pierpaolo Ribuffo, la massima autorità all’interno dell’Accademia Navale. È gentile, quasi paterno. Gli nascondo che ho la tendenza a infortunarmi (un vero talento, in qualche caso): non vorrei che si preoccupasse. L’ammiraglio mi racconta passato, presente e futuro dell’Accademia. Indica il brigantino interrato, situato nel piazzale centrale, e mi spiega che gli allievi lo usano per esercitarsi. Poi, entusiasta, esclama: «Facciamo salire la dottoressa de Cesco sull’albero di maestra!». L’idea mi terrorizza, ma non oso protestare.
Lunedì, ore 19.00
Federica mi porta in palestra: incontriamo allievi dovunque. Ogni volta parte uno scambio di «Buonasera». I pivoli – gli allievi del primo anno – devono spostarsi di corsa, senza strisciare i piedi e coi pugni al petto. Proseguiamo fino al piazzale centrale per l’assemblea serale, poi ci dirigiamo tutti in mensa. Quando viene annunciata la fine della cena (che qui chiamano pranzo), sto ancora masticando l’insalata. Per colpa della mia lentezza a mangiare (mi ero scordata che ci fosse un tempo limite per i pasti), la mia tavolata dovrà saltare la frutta. Sveglia, Andrea.
Lunedì, ore 20.45
Si torna al piazzale per il travaso di conoscenze, detto spivellamento. Gli anziani – gli allievi del secondo anno – interrogano i pivoli. «Chi guidò l’impresa di Fiume?», domanda un’anziana a un allievo straniero (l’Accademia ne ospita 49, provenienti da 15 diversi Paesi). Quello non ne ha la più pallida idea. Andrea, terzo anno, mi confida che sogna di fare il pilota della Marina Militare da quando vide il film Top Gun. Lasciamo il piazzale per spostarci nelle sale studio, gremite di pivoli. Poi filo in
I “PIVOLI”, GLI ALLIEVI DEL PRIMO ANNO, DEVONO SPOSTARSI DI CORSA, SENZA STRISCIARE I PIEDI E CON I PUGNI AL PETTO
cameretta e chiacchiero un po’ con le mie compagne di stanza. «Al di là delle apparenze, siamo persone normalissime. Ci sono persino delle coppie..!», mi spiegano. «Ma, finché siamo in servizio, ci comportiamo in modo professionale. Il nostro è un lavoro, oltre che una passione». Scoprirò poi che, nei primi due anni, il compenso degli allievi si aggira sui 900 euro, poi sale fino a 1.400/1.500 euro.
Martedì, ore 6.25
Mi sveglio al suono della tromba (c’è sempre una prima volta nella vita). Scendo dalla lunga, terrificante scala a pioli, mi lavo e indosso la divisa che mi hanno lasciato. Le mie compagne di stanza sono già sui libri: fanno parte del Corpo Sanitario e studiano per diventare ufficiali medici. Chiara mi porta nella palestra dove si allena la squadra di canottaggio e chiede a una ragazza appena smontata dal vogatore: «Come stai?». Lei, esausta: «Come sto? Allenata». Sorrido, sperando che alle due non vengano strane idee. Il vogatore è bello: se vogano gli altri.
Martedì, ore 7.50
Appena prima di colazione, i ragazzi dei primi tre anni si riuniscono per l’assemblea mattinale. Dopo il pasto, in posizione di attenti, attendono l’autorizzazione per lasciare la mensa. Un pivolo distoglie lo sguardo e per punizione si becca tre giri di corsa del piazzale. Chiara e Federica, che appartengono al Corpo di Commissariato, vanno a lezione. Io seguo il comandante Sabbatini nel Palazzo Studi. Il capitano di fregata Massimo Tozzi ci aspetta nella stanza adibita alla correzione dei compiti di navigazione. «Qui identifichiamo i futuri Schettino...», scherza. Mi spiega che la tecnologia è ovunque, ma si insegna ancora a utilizzare il sestante, uno strumento ottico per misurare l’altezza degli astri sull’orizzonte. A differenza dei moderni dispositivi, è a prova di hacker.
LA TECNOLOGIA È OVUNQUE, MA SI INSEGNA ANCORA A UTILIZZARE IL SESTANTE PER MISURARE L’ALTEZZA DEGLI ASTRI SULL’ORIZZONTE. UNO STRUMENTO A PROVA DI HACKER
Martedì, ore 10.30
Ritmo serrato. Assisto a una lezione di inglese, tenuta da una giovane ufficiale americana della U.S. Navy. Poi mi portano al poligono («Caricare, armare, puntare, fuoco!»). Quindi la simulazione di plancia. La nostra missione è recuperare un uomo a mare, nelle acque antistanti il porto di Augusta, in Sicilia. Siamo sulla fregata Margottini. Mi piazzano al timone. Il ragazzo che veste i panni di ufficiale alla guardia in plancia dà i comandi, noialtri eseguiamo. A un certo punto il mare (finto) si ingrossa. Ha un aspetto talmente realistico che sono sul punto di vomitare.
Martedì, ore 12.25
Briefing sul tempo atmosferico: il capitano di corvetta Biagio Incardona interroga due pivoli. «Il meteo, come il pane, mi piace fresco», scherza. Dopo l’assemblea meridiana nel piazzale, consumo la seconda colazione – così chiamano il pranzo – nella mensa self-service. Quindi corro a infilarmi costume da bagno e muta da sub. Raggiungo il porticciolo San Jacopo e, munita di cerata e giubbotto di salvataggio, salgo a bordo di un Trident. «Se Andrea cade in acqua, ve la vedete con noi!», gridano Chiara e Federica ai miei compagni di navigazione, Alberto, Diego e Pietro. «Per la prossima ora sarò la zavorra…», penso rassegnata. Sbagliato: sanno che in passato ho fatto corsi di vela e mi fanno timonare. Realizziamo alcune virate, mentre dal gommone al seguito mi scattano qualche foto. Cheeeeese!
Martedì, ore 16
Dopo una doccia-lampo seguo Chiara, Federica e Angelo, un allievo del quarto anno, nel sottopassaggio che conduce agli impianti sportivi. Angelo fa parte della squadra di equitazione. Girovaghiamo per il maneggio, dove di norma alloggiano sedici cavalli. Torno – di corsa, stile pivola – al Palazzo Studi. La lezione di navigazione è iniziata. Mi indicano il banco, su cui trovo una
I LETTI SI TROVANO SU UN CORRIDOIO SOPPALCATO E SEGUONO IL PERIMETRO DELLA STANZA. PER ARRIVARCI OCCORRE ARRAMPICARSI SU UNA SCALA A PIOLI LUNGA QUASI TRE METRI
carta nautica, un compasso, due squadre, una matita e una gomma. Il capitano di fregata Massimo Spitale assegna un esercizio: calcolare e tracciare una serie di rotte. Me la cavo grazie ai suggerimenti dei compagni di classe. Non è finita: arrivo trafelata nella sala dove due ragazzi del quarto anno tengono una rassegna-stampa in inglese. Il capitano di fregata Alberto Pecchia vede che sono stravolta: «Dopo queste 48 ore, potrà dire al direttore: “Punizione eseguita!”». Scherza, ovviamente. Sa che Bsev vuol bene all’Accademia, ci è passato anche suo padre Angelo (nel 1939/40!).
Martedì, ore 19
Pensavo di riposare: errore. Mi spediscono a giocare a pallavolo. Corsa, andature, salti, flessioni, passaggi. Un bagher mi mette il polso ko. Abbandono il campo. Lo sapevo che ce l’avrei fatta a infortunarmi! Altra doccia rapida. Poi arraffo i due sacchetti di cibo che Chiara mi ha lasciato sulla scrivania e divoro tutto, seduta sul letto. Forza allieva de Cesco! La prima giornata è andata.
Mercoledì, ore 6
Mi sento a pezzi, ma devo darmi un contegno. Mi dirigo con Federica verso il dormitorio delle pivole. Vedo quattro file di letti singoli, alcuni già vuoti (chi pratica sport deve alzarsi alle 5.50!). Al suono della tromba le ragazze balzano in piedi, fanno il “cubo” (cioè rifanno il letto in modo militare), corrono in bagno, sistemano i capelli in uno chignon e si vestono. Il tutto nel giro di dieci minuti. Non so se è maggiore il mio stupore o la mia ammirazione. Federica e io raggiungiamo l’impianto sportivo e ci aggreghiamo ai pivoli. Cinque giri di corsa (loro, io baro), flessioni nel fango (sempre loro, io fingo), stretching (quello lo faccio anch’io). Poi doccia, cambio abiti, assemblea e prima colazione. Sono le 8 del mattino e ho già fatto più cose di quante ne faccia a Milano in un’intera giornata.
A UN CERTO PUNTO IL MARE (NEL SIMULATORE) SI INGROSSA. HA UN ASPETTO TALMENTE REALISTICO CHE SONO SUL PUNTO DI VOMITARE
Mercoledì, ore 8.20
Mi imbuco nell’assemblea del quarto anno e in quella del personale del quadro-permanente (il personale militare in servizio fisso). Quindi tappa in biblioteca, presente nell’Accademia fin dalla fondazione nel 1881, e nella Sala storica. Qui sono conservate le bandiere dei corsi a partire dal 1931, create dagli allievi durante l’addestramento estivo che si svolge, al termine del primo anno, a bordo della nave scuola Amerigo Vespucci. Il comandante Sabbatini mi comunica, desolato, che non potrò salire sull’albero di maestra del brigantino: «La ditta che si occupa della manutenzione non ha dato l’autorizzazione...». Mi fingo altrettanto dispiaciuta, ma dentro di me gongolo: almeno questa l’ho scampata.
Mercoledì, ore 13.10
Assemblea meridiana. Come ogni mercoledì, i ragazzi vengono ispezionati in presenza del direttore corsi allievi ufficiali, il capitano di vascello Gianguido Manganaro. «Basta un bottone storto o una scarpa poco lucida per beccarsi una punizione», sussurrano Chiara e Federica. Poi tutti in mensa per la seconda colazione.
Mercoledì, ore 14.30
Recupero la valigia, mi accompagnano dall’ammiraglio Ribuffo. Prima ancora di ringraziarlo, gli dico: «I vostri ragazzi sono dei supereroi». Lo penso davvero: l’Accademia è affascinante, ma tosta. Non a caso, un quinto degli allievi molla durante il primo anno. Chiara e Federica mi accompagnano in stazione. Penso, mentre il treno lascia Livorno: e se al Corriere della Sera la giornata iniziasse con uno squillo di tromba? E se, per arrivare nella redazione di 7 (secondo piano), dovessimo scalare l’albero di un brigantino interrato? Devo parlarne ai colleghi: chissà se sono d’accordo.
IL COMANDANTE MI COMUNICA, DESOLATO, CHE NON POTRÒ SALIRE SULL’ALBERO DI MAESTRA DEL BRIGANTINO. MI FINGO DISPIACIUTA, MA DENTRO DI ME GONGOLO: ALMENO QUESTA L’HO SCAMPATA