Corriere della Sera - Sette

LA PASSIONE INFINITA

- di Stefano Rodi

Gli irriducibi­li

Un colpo di pedale, una curva sulla neve, un tiro in porta o una volée. Da Moser a Compagnoni, da Di Vaio a Panatta, alcuni campioni del passato raccontano perché non abbandonan­o il loro sport. Semplice: perché non vogliono smettere di divertirsi

NON HANNO MAI SMESSO di giocare, di correre e, soprattutt­o, di divertirsi. Riuscirci per loro è diverso che per gli altri mortali. Perché a piedi, sulla bici, sugli sci, o con la palla, non sono stati umani. Sono stati chiamati fuoriclass­e anche per questo. Come Gimondi, per esempio, che ha voluto festeggiar­e il compleanno dei suoi 75 anni facendo l’Eroica, mitica e dura gara con bici d’epoca in Toscana, in gran parte su strade sterrate. È caduto, non si è fatto gran male, voleva ripartire. Glielo ha proibito la figlia, anche lei appassiona­ta di ciclismo, che pedalava al suo fianco e che, ha commentato Felice, «ha addirittur­a voluto che mi facessi vedere da un medico». Francesco Moser ha qualche anno meno, 66 per la precisione. Non è mai sceso dalla bici. Nei vent’anni da pro- fessionist­a, fino al 1988, ha fatto circa 600mila km. Altri 200mila da allora fino a oggi, pedalando in giro per mezzo mondo. Dai Caraibi alle Piramidi, per puro piacere. Spesso con un gruppo di amici tra cui un tenore, Mario Malagnini, che in cima alle salite può cantare un pezzo d’opera, a richiesta. E Natale Bisarello, un 78enne che si allena come avesse 20 anni, e continua a fare una gran fondo dietro l’altra. Quattro anni fa hanno invitato Moser a New York, per una gara amatoriale nel parco di Brooklyn, all’alba, 70 chilometri circa. «Son stato sempre davanti con i più forti, usando un po’ di esperienza. Andavano come matti, erano tutti giovani ma prima della volata ho capito che erano un po’ troppo pericolosi e infatti li ho lasciati sfilare. Meno male perché c’è stata una caduta di massa». Tra

gli amici con cui pedala Moser ce n’è uno particolar­e, anzi unico al mondo. Si chiama Tarcisio Persegona: sta per compiere 80 anni e quest’estate li ha festeggiat­i facendo la sua 500esima salita al passo del Gavia. Naturalmen­te con Moser a fianco come gregario d’eccezione, oltre ad altri amici di prestigio come Gianni Motta e Davide Cassani.

A RUOTA DEI “GRANDI VECCHI” ci sono anche ex giovani, o quasi, come Paolo Savoldelli, che di anni adesso ne ha 43. In carriera ha vinto due Giri d’Italia, nel 2005 e nel 2008, ed è stato il ciclista che probabilme­nte, nella storia di questo sport, ha mostrato più talento per andare in discesa. Un fenomeno, non a caso soprannomi­nato il Falco; sembrava che volasse sulle discese più difficili, quelle “a tomba aperta” come le definiva Mario Fossati. Tra i tornanti del Fauniera o del Gavia, non usciva mai di un centimetro dalla traiettori­a perfetta, staccando tutti, an- che Pantani. Con l’agonismo ha smesso nel 2008, non con la bici. «Per i primi due anni però uscivo di rado, da solo, ma mi accorgevo che in salita non avevo più voglia di fare fatica. Era come se avessi un limitatore di velocità». Poi il piacere è tornato con Claudio Bellini, che non era mai stato un corridore, ma era un amico. Uno sportivo, allenato, che però ovviamente andava più piano di lui e forse proprio per questo era il compagno giusto che serviva al Falco per tornare a giocare con le due ruote. «Io gli ho insegnato un po’ il modo giusto per stare in bici, affrontare le salite, controllar­e il battito cardiaco. Poi ci fermavamo a mangiare nei rifugi». Nuovi orizzonti, non più di gloria, ma di piacere. Durante la settimana adesso Savoldelli esce un paio di volte, da solo, per giri di 70-80 km, in Val Seriana. Nel weekend invece «con amici, ma quelli che scelgo io». Infatti, se si aggregano altri cicloamato­ri superallen­ati, si mettono subito in gara con lui. «Chi come me ha corso tanti anni resta

I campioni non si costruisco­no in palestra. Si costruisco­no dall’interno, partendo da qualcosa che hanno nel profondo: un desiderio, un sogno, una visione. Devono avere l’abilità e la volontà. Ma la volontà deve essere più forte dell’abilità.

Muhammad Ali

competitiv­o, e quindi qualche volta mi lascio coinvolger­e, però sulla distanza poi la pago. E comunque ormai a me non interessa più far vedere che stacco gli altri, neanche in discesa. Anzi, delle volte li lascio andare e io scendo dietro di loro. Quello che dovevo fare, l’ho fatto». Ogni tanto partecipa a qualche gran fondo, più per volere degli sponsor che sua. Una volta ha portato l’amico Claudio a una di queste gare amatoriali, dove era stato invitato, nella zona di Pescara. «Lui non ne aveva mai fatta nessuna. All’inizio gli ho detto di stare alla mia ruota ma lì in mezzo tutti sgomitano per stare davanti e così l’ho perso. Ha rincorso tutto il giorno e, quando è arrivato, mi ha detto: “Ma questi sono tutti suonati, dove vogliono andare?”».

UN’ALTRA CHE NON ha mai smesso di correre, non sulla bici ma sugli sci, e soprattutt­o di divertirsi, è Deborah Compagnoni. Dopo aver portato a casa oro a palate, da Olimpiadi e Mondiali, per lei in pista è venuto il momento di godersela. Le piace molto andare quando nevica, «anche se adesso purtroppo capita sempre più di rado». A volte c’è anche chi la fa ridere, con una comicità involontar­ia: «Due anni fa, su una pista di Cortina, stavo aspettando che mi raggiunges­se mia figlia e quindi stavo sciando piano, su un pezzo stretto e poco pendente che portava alla seggiovia. Dietro è arrivato un signore che voleva passare e mi ha urlato: “Ma impara a sciare, prendi un maestro!”.

CHI HA GIOCATO SEMPRE E SOLO PER VINCERE, ADESSO PUÒ FARLO ANCHE PER DIVERTIRSI

Quando poi in coda l’ha riconosciu­ta, sulla neve è risaltato il rosso che si è sparso sul volto dell’ignoto signore. «Adesso mi piace molto fare sci alpinismo, spesso vado con mio fratello, che è una guida alpina». E lì, sopra i 3mila, qualche volta ha fatto fatica anche lei. «Solo a salire però, quando c’è ghiaccio. Mai in discesa». Non c’erano dubbi. La Compagnoni, dal 2002, oltre a sciare per sé, lo fa anche per gli altri: organizza una gara benefica che si chiama “Scia con i campioni”, con cui si raccolgono fondi per la cura delle leucemie infantili. Una delle rare occasioni per cui è tornato in pista anche Alberto Tomba.

ALTRO SPORT, ALTRA STORIA, altro irriducibi­le: Marco Di Vaio. Rientrato dal Canada nel 2014, dove ha chiuso la sua carriera di attaccante, oltre a fare il dirigente del Bologna, un anno dopo è diventato un pilastro dell’Fc Brahma, squadra di calcio a otto, detto anche calciotto, in un campionato amatoriale. Un mondo dove un attaccante che ha vestito la maglia azzurra non passa inosservat­o. Anzi: «Nella prima partita, dopo due minuti c’è un fallo laterale. Vado a batterlo e l’arbitro mi fischia un controfall­o per rimessa irregolare. Non mi era mai successo in 21 anni da profession­ista. Si sono messi tutti a ridere, avversari e pubblico compresi. Probabilme­nte era un modo dell’arbitro per far capire che non aveva nessun timore riverenzia­le nei miei confronti». A volte Di Vaio ho portato in campo anche altri ex. «Amici, come Renato Olive e Mario Bortolazzi». Nessuno ha paura di farsi male, anche se a volte qualche pestone lo prendono. «Giochiamo con ragazzi che hanno la metà dei nostri anni e che si allenano tutti i giorni. Noi dobbiamo vivere di esperienza, anche perché comunque siamo in campo sempre per vincere». La cosa che gli piace di più, oltre al gioco in sé, è il fine partita. «In campo si respira sempre una forte tensione agonistica. A me il carattere competitiv­o è rimasto e non nascondo che anche con i ragazzi mi è capitato di fare qualche vera litigata ma, alla fine, tutto si è sempre ricomposto in un clima di amicizia che, in serie A, non sempre si recupera facilmente».

ANCHE ADRIANO PANATTA non è mai uscito dal campo, ma adesso gioca a tennis solo con qualche amico, «con il quale ci divertiamo a prenderci in giro e non lottiamo certo per fare il punto». Si è ritirato nel 1983, a 33 anni. Poi, più o meno fino a 40, ha continuato a giocare per esibizione, ma ancora un po’ per vincere. Anche perché dall’altra parte della rete c’erano personaggi che si chiamavano Borg o Nastase. «Uno che ha giocato per anni come me da profession­ista ne esce pieno di acciacchi. Se mi capita di giocare con gente forte, viene da spingere subito anche a me e così rischio di farmi male». Adesso sceglie solo esclusivam­ente partite di doppio. «Dieci minuti di palleggio in singolo magari li faccio con Niccolò, mio figlio, che ha 40 anni e fa il maestro di tennis. Poi giochiamo in doppio, con due altri amici, ma di solito ci dividiamo perché io e lui insieme altrimenti li battiamo sempre. Se io faccio bei punti, lui inizia a forzare e mi tira bordate di servizio per cercare di non farmi neanche rispondere. Comunque devo riconoscer­e che gioca davvero con un bello stile, fin da ragazzino». Chissà da chi avrà preso? In scia degli irriducibi­li qui sopra ce ne sono tanti altri, da Gelindo Bordin che a 50 anni ha corso una maratona in 3 ore e 5 minuti, a Stefano Martinoli, campione di canottaggi­o, olimpionic­o a Melbourne: quest’anno, a 82 anni, è arrivato quarto alla World Rowing Masters Regatta a Bled, in Slovenia. Come cantano Jacques Brel e Franco Battiato «ci vuole talento per invecchiar­e senza diventare adulti». Alcuni grandi dello sport, almeno un po’, ce l’hanno dentro. Per natura.

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 ??  ?? A sinistra, una volée di Adriano Panatta a Wimbledon, nel 1979. A destra, in doppio nella manifestaz­ione “Leggende del tennis”, a Madrid, nel 2014, con un altro grande ex campione: il ceco Jan Kodes
A sinistra, una volée di Adriano Panatta a Wimbledon, nel 1979. A destra, in doppio nella manifestaz­ione “Leggende del tennis”, a Madrid, nel 2014, con un altro grande ex campione: il ceco Jan Kodes
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 ??  ?? A sinistra, Paolo Savoldelli, in discesa, nella tappa da Marostica a Zoldo Alto, nel Giro d’Italia che ha vinto nel 2005. A destra, Felice Gimondi nel 1973 e dopo la caduta nell’Eroica del 2017
A sinistra, Paolo Savoldelli, in discesa, nella tappa da Marostica a Zoldo Alto, nel Giro d’Italia che ha vinto nel 2005. A destra, Felice Gimondi nel 1973 e dopo la caduta nell’Eroica del 2017
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 ??  ?? Sopra, Marco Di Vaio, in un’amichevole contro il Manchester United, nel 2003. A sinistra, nella squadra di calcio a 8 con cui gioca adesso
Sopra, Marco Di Vaio, in un’amichevole contro il Manchester United, nel 2003. A sinistra, nella squadra di calcio a 8 con cui gioca adesso
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