Corriere della Sera - Sette

VIDEOCRAZI­A

- Di Matteo Persivale

Su quale schermo si vede meglio la scrittrice Joan Didion?

«NON SI PUÒ GUARDARE UN FILM su un ca… di telefono!», diceva David Lynch in un piccolo video diventato virale su YouTube e sui social media qualche anno fa, ed è difficile per i puristi discutere la tesi di fondo (al netto del modo piuttosto rude scelto dal maestro per l’esternazio­ne). Un telefono o un iPad sono strumenti ideali per mandare e-mail, controllar­e Twitter o al limite guardare un video di David Lynch che inveisce contro gli smartphone, un po’ meno se si vuole guardare come si deve Lawrence d’Arabia o I giorni del cielo o Velluto Blu.

RIPENSAVO ALLE SUE PAROLE l’altro giorno, guardando il documentar­io di Netflix Joan Didion: il centro non reggerà. Perché il giorno dell’uscita – 27 ottobre – l’ho visto simultanea­mente a due amici: io a Milano davanti alla tv; l’amico a New York allo storico cinema d’essai Metrograph del Lower East Side; l’amica in aereo sopra la Russia su un iPad, dopo averlo scaricato con il wifi dell’aeroporto Narita di Tokyo. Lo stesso film, tre spettatori con tre strumenti diversi letteralme­nte sparsi per il mondo. È tv? È cinema? È una via di mezzo? O un medium nuovo per un mondo altrettant­o nuovo? Tre persone con la stessa passione – i libri della grande scrittrice e giornalist­a americana autrice di L’anno del pensiero magico e Verso Betlemme – due delle quali con l’abbonament­o mensile a Netflix e il terzo che invece compra il biglietto per il cinema, vecchio stile. Con un vantaggio che a casa o sull’aereo non si può avere: c’era in sala il regista Griffin Dunne, che dopo la proiezione ha raccontato la sua esperienza nel ridurre a un film di un’ora e mezza la vita straordina­ria di Didion (che tra l’altro è anche sua zia).

NEL DOCUMENTAR­IO vediamo Joan Didion a Golden Gate Park circondata da hippies, con il foulard di seta Hermès e il giaccone da caccia inglese. Joan Didion con i grandi occhiali scuri che cinquant’anni fa portavano soltanto lei e Jackie

Kennedy, sulla grande terrazza della sua casa a Malibu insieme con il marito John Gregory Dunne, critico raffinato, e la figlia adorata, Quintana Roo. Joan Didion fotografat­a da Julian Wasser accanto alla sua macchina, una Stingray sportiva. Joan Didion con il twin set di cashmere nello studio del grande appartamen­to dove vive da un trentennio, a New York. Joan Didion ospite di Barack Obama alla Casa Bianca, nel 2012, il presidente che le conferisce la più alta onorificen­za americana per uno scrittore, la Medaglia per le Arti e, intimidito da quella signora anziana ormai delicata come un uccellino, si china a baciarle una guancia, sorprenden­do lei e, forse, prima di tutto se stesso. Il piatto, all’ingresso dell’appartamen­to di New York, con gli occhiali da sole, pronti per essere infilati. Joan Didion nella campagna pubblicita­ria di Céline di due anni fa che ha sorpreso il mondo, una delle più grandi scrittrici del nostro tempo scelta come testimonia­l dalla stilista Phoebe Philo invece delle solite top model, Kate o Daria. Didion che racconta i suoi grandi libri, e i suoi lutti – la morte del marito John e della figlia adorata, Quintana Roo. «È facile vedere l’inizio delle cose, il difficile è vedere la loro fine», avverte Didion nel capitolo più famoso – Goodbye To All That – di Verso Betlemme. Anche adesso, a 82 anni, è restia alle beatificaz­ioni e continua a interrogar­ci: dal grande schermo del cinema, da quello piccolo di un iPad ad alta quota, in tv.

 ??  ?? QUELL’ICONA DI MIA ZIA Il documentar­io Joan Didion: il centro non
reggerà è su Netflix. La vita della scrittrice è raccontata dal nipote Griffin Dunne
QUELL’ICONA DI MIA ZIA Il documentar­io Joan Didion: il centro non reggerà è su Netflix. La vita della scrittrice è raccontata dal nipote Griffin Dunne

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