GIAPPONE
Manca un erede? Nessuno tra i parenti è bravo negli affari ma si vuole che il marchio resti in famiglia? Niente paura, i giapponesi hanno avuto un’idea: adottare l’amministratore delegato. Una soluzione che rafforza l’impresa, abbassa le imposte e aumenta
Adotta un manager (e salva l’azienda)
SE IN UN FAMOSO RACCONTO popolare giapponese una coppia senza figli adottava un bambino inviato loro dal cielo dopo averlo trovato dentro una pesca che galleggiava in un fiume, le adozioni nel mondo reale del Sol Levante sono un po’ più complicate. Il Giappone è il secondo Paese al mondo per numero di adozioni: oltre 90.000 ogni anno. Eppure, quelle che riguardano bambini con cui non si hanno legami genetici (esistono infatti anche le adozioni intra-familiari) sono meno di mille. Un paradosso? No. Il punto è che gli altri sono adulti già belli che svezzati, tra i 20 e i 30 anni di età. L’adozione di un adulto è più facile rispetto a quella di un minore: al contrario di quest’ultima, non richiede l’autorizzazione del tribunale. E se in Cina e in Corea il confucianesimo con i suoi valori legati al sangue è la principale causa delle scarse adozioni in quei Paesi, il Giappone ha una storia del tutto diversa. Ne è prova il fatto che l’adozione di adulti non consanguinei è una prassi vecchia almeno di quattro secoli. Risale al periodo Tokugawa, un’epoca talmente remota che gli uomini ancora giravano con grossi cappelli di paglia
detti sugegasa, erano armati di spade e dovevano ancora inventare la tempura. Per i proprietari di Ryokan, ovvero i tradizionali alberghi giapponesi dove si dorme senza mai correre il rischio di cadere dal letto (i letti non esistono, ci sono solo futon piazzati sui tatami) è consuetudine, in mancanza di eredi maschi, adottare un adulto a cui lasciare in eredità la gestione; o in presenza di sole figlie femmine, dare in sposa una di queste a un ragazzo che entrerà a far parte della famiglia della consorte, una pratica chiamata mukoyoshi.
PERCHÉ MAI UN GIOVANE DOVREBBE ACCETTARE di essere adottato dal futuro suocero? Per la ragione più banale del mondo, fare carriera: andrà infatti ad acquisire uno status superiore. Succede anche per le grandi multinazionali: Suzuki, Canon e Toyota hanno
tutte avuto nel recente passato amministratori delegati adottati con il solo scopo di dare una continuità alla conduzione familiare dell’azienda. Negli anni Ottanta il boom di adozioni fu tale da destare sospetti: sarà mai che si poteva eludere parte dell’imposta sull’eredità? Centrato. Gonfiando il numero di figli, dunque di eredi, era possibile risparmiare sulla tassa di successione. La legge sull’imposta venne poi modificata.
GENERO O FIGLIO? Una veduta di Tokyo. A sinistra, sopra, Osamu Suzuki, presidente di Suzuki Motor Corp, adottato dal fondatore dell’azienda Michio Suzuki dopo aver sposato sua figlia Shoko; sotto, un tempio a Izumozaki Nell’attimo di accendere un fiammifero la nebbia sul mare si estende, c’è una patria per cui immolarmi? ( Shuji Terayama, 1935-1983)
TUTTE LE QUESTIONI DI ADOZIONE, lignaggio e eredità sono legate ad un’istituzione giapponese fondamentale, quella del registro familiare o koseki, ovvero la rappresentazione legale della famiglia. Il koseki, che esiste da quasi 1.500 anni, registra le na- scite, le morti, i matrimoni e le adozioni all’interno del nucleo familiare. Quando un adulto viene adottato viene aggiunto al koseki della nuova famiglia e sottratto a quello della famiglia di provenienza. I soli membri della famiglia imperiale hanno invece un registro distinto noto come kotofu. Quando le principesse si sposano diventano commoner, ovvero entrano nel sistema di registrazione familiare dei comuni mortali.
AVETE PRESENTE quando i giornali di mezzo mondo scrivevano che la principessa Mako per amore avrebbe rinunciato spontaneamente al titolo imperiale? Un banale errore. La scelta di uscire dalla famiglia reale non è facoltativa per la giovane. Mako è obbligata a sposare un cosiddetto commoner, non
potendo diventare imperatrice. Tuttavia non per questo andrà ad infoltire la vasta schiera di sgobboni (i salaryman) della classe media giapponese, perché il suo tenore di vita non ne risentirà. Attualmente, da nubile, vive in un discreto alloggio di 1.400 metri quadrati, giardino incluso; il giorno del suo matrimonio riceverà un milione di euro tondi, ma non da papà e mamma (sono giapponesi, mica italiani!): si tratta di un benefit a fondo perduto da parte dei contribuenti.
UNA GRANDE FAMIGLIA Alcuni membri della famiglia imperiale giapponese: il principe Naruhito, la principessa Masako, il principe Akishino, la principessa Kiko e la principessa Mako
L’IMPOSSIBILITÀ PER UNA DONNA di diventare imperatrice viene spesso interpretata come un chiaro segno di discriminazione di genere. Tuttavia, a guardar bene, nel passato non ci sono stati solo imperatori maschi ma anche otto imperatrici, l’ultima delle quali Gosakuramachi: regnò dal 1762 al 1770, prima che il nipote le succedesse. Perfino il mito della discendenza imperiale indica all’origine una donna: il primo imperatore Jimmu si dice sia disceso da Amaterasu, la dea del sole. Certo sono in tanti oggi a reclamare l’avvento di un’imperatrice sul trono del Crisantemo, ma tra coloro che protestano nessuno può vantare sangue blu. Le uniche persone la cui opinione davvero avreb- be senso conoscere, ovvero le donne della casa imperiale, si guardano bene dall’esprimerla.
E POI ESISTE UN’ERRONEA CONVINZIONE, assai diffusa, che fare l’imperatore sia una sorta di pacchia eterna quando invece è un’incombenza stremante e noiosissima: il sovrano deve partecipare ad almeno duecento cerimonie l’anno, leggere minimo mille documenti parlamentari (un mattone di scartoffie, in tutti i sensi) e, come se non bastasse, ogni fine settembre deve infilarsi guanti e stivali e farsi carico da sé della raccolta di riso del proprio campo (soffrire di mal di schiena non è ragione sufficiente per essere esentati da tale dovere). Ci si può dunque stupire se il povero imperatore Akihito a 83 anni suonati non vede l’ora di abdicare?