VIDEOCRAZIA
Curioso rivedere Biagi nella notte elettorale siciliana
LA TV ITALIANA almeno due meriti li ha: «riempie tanta solitudine e ha unificato il linguaggio degli italiani come neanche Garibaldi ha potuto fare», dice Enzo Biagi nel documentario, molto bello, Enzo Biagi. Testimone del tempo realizzato da Loris Mazzetti e andato in onda su RaiTre lunedì 6 novembre, decimo anniversario della scomparsa del grande giornalista (come passa il tempo), all’orario non coraggiosissimo delle 23.05. È stato bizzarro rivedere Biagi – buona parte del documentario è composta da una sua intervista – nella sera in cui sugli altri canali si parlava di elezioni, del M5S primo partito e del ritorno di Silvio Berlusconi, non soltanto perché fu proprio RaiTre a riportarlo in onda dopo cinque anni di assenza per il mitico “editto bulgaro”. L’intervista realizzata da Mazzetti è del 2004, 48 minuti, ed è andata in onda per la prima volta. Biagi è il solito Biagi, nel suo studio, la solita voce rassicurante, la solita postura un po’ incassata – quando si sforzava di stare dritto davanti alla telecamera si vedeva chiaramente che non era a suo agio, confermato anche da vecchi video in bianco e nero dei suoi esordi del 1961 dove aveva già la stessa presenza in video, non da manuale del perfetto mezzobusto ma di grande efficacia. Fu lui nel 1961 come direttore del Telegiornale ad abolire il vecchio annunciatore preso in prestito dalla radio e a utilizzare un giornalista, fu lui a far collaborare Indro Montanelli (parlò di Trotsky e Stalin) e Giorgio Bocca (inchiesta sui sacerdoti proprietari terrieri) creando subito problemi politici (la vecchia Rai del giovane Biagi era come quella dei tempi del vecchio Biagi, ahinoi e ahilui).
PER GLI SPETTATORI deve essere stato bello rivedere Biagi, al quale tanti hanno voluto bene, per un giornalista davanti al video è stata l’ennesima lezione: rivedere Biagi che intervista i grandi, dal cardinale Carlo Maria Martini a Marcello Mastroianni a Gheddafi, a Pertini e al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, a Michele Sindona. Biagi che lavorava per farci capire chi aveva di fronte, Biagi che parla con la gente normale, che va a vedere cosa succede, anche da anziano, anche dopo l’11 settembre, Biagi cronista «nel Paese che sentiamo più vicino».
L’AFFETTO di Biagi per la Rai che tutti più o meno critichiamo ma senza la quale l’Italia sarebbe stata diversa e molto probabilmente peggiore, Biagi ottantacinquenne che spiega che gli sarebbe piaciuto, da vecchio, «fare un altro viaggio in Italia, raccontare come vive la gente», quello che sapeva fare meglio di tutti. Biagi che ammette di essere fortunato «perché per tanti anni ho potuto fare la televisione che volevo fare», che spiega come RaiTre sia la rete che più gli assomiglia, Biagi ottantacinquenne che torna in video con RT Rotocalco Televisivo, già malato, non più al vertice della sua bravura e della sua efficacia, ma a chi lo guardava non importava perché Biagi era Biagi, anche non in formissima. Perché senza di lui, un altro Enzo Biagi non ci sarebbe stato, e dieci anni dopo abbiamo la conferma che è così. Quando morì Fellini, Billy Wilder disse che l’italiano era così bravo che forse, un giorno, con un po’ di fortuna, sarebbe emerso un regista che ricorda Fellini, ma un altro Fellini non ci sarebbe stato. Per Biagi vale un po’ la stessa cosa.