Per il dittatore Mugabe è finita la festa (supertorta compresa)
IL PASTICCIERE PERSONALE di Robert Mugabe, il prossimo 21 febbraio, salvo clamorose sorprese, non potrà preparare la torta da 94 chili per il compleanno del suo despota amatissimo. Ormai era una tradizione: torta da 90 chili per il novantesimo genetliaco, da 91 per il novantunesimo, da 92 per il novantaduesimo e così via. E col pasticciere saranno a lutto tutti gli altri fornitori dei lussuosissimi banchetti che ogni anno celebravano la grande festa del satrapo, abbattuto la scorsa settimana da un golpe militare. Per officiare in modo degno il giorno in cui compiva gli anni, infatti, il dittatore dello Zimbabwe salito al potere nel lontano 1980 sventolando confuse idee marxiste e disprezzato dal mondo intero per aver ridotto in condizioni disastrose quella Rhodesia considerata un tempo il «granaio dell’Africa», era solito organizzare feste grandiose e insultanti per tutti i suoi concittadini. Il luogo scelto, per cominciare, era il parco nazionale dei Monti Matobo. Non lontano da un ossario che ospita i resti delle vittime di uno dei più sanguinosi massacri di oppositori del regime, la carneficina di Gukurahundi. Dove nel 1982, due anni dopo l’arrivo al potere, l’ex maestro fece decimare dalla 5ª brigata ventimila oppositori additati tra i seguaci di Joshua Nkomo, suo ex alleato e Robert Gabriel Mugabe (93 anni) ha guidato lo Zimbawe dal 1980 a oggi. È il capo di Stato più vecchio e controverso del mondo, accusato di aver instaurato un regime dittatoriale. È stato arrestato lo scorso 15 novembre poi rivale. Per non dire delle spese: sempre oltre il milione di dollari per il solo pranzo di gala. Tra i banchetti più folli va ricordato quello del 2009 quando, in un Paese devastato anche dal colera, come ricordò scandalizzato Liberazione, furono ordinati «ottomila aragoste, ottomila scatole di Ferrero Rocher, tremila anatre, sedicimila uova, cento chili di gamberoni, cinquemila chili di formaggio, quattromila porzioni di caviale, cinquecento bottiglie di whisky Johnny Walker etichetta blu, Chivas invecchiato 22 anni e duemila bottiglie di Champagne. Naturalmen- te Moët & Chandon». Una sfida offensiva a tutti i connazionali alla fame in un Paese ridotto a un Pil pro capite di 2,7 dollari al giorno. Un quinto rispetto al vicino Sudafrica.
PER TROVARE QUALCOSA DI SIMILE, occorre tornare al 14 ottobre 1971, alla festa leggendaria che diede lo scià di Persia. Per celebrare (lui, figlio di un militare golpista e nipote di un pecoraio) i 2500 anni della sua (falsa) discendenza dall’impero persiano di Serse e Ciro il Grande, Reza Palhavi decise di fare davvero le cose in grande. E, mettendosi nella scia di Dario III (che pare avesse 329 cortigiani con mansioni di servizio, 217 cuochi, 29 sguatteri, 17 coppieri e 70 camerieri!), rastrellò per tre giorni gli chef e i camerieri dello Chez Maxim di Parigi, del Badrutt´s Palace Hotel di St. Moritz e dell’Hotel de Paris di Montecarlo per poter accogliere al meglio tutti i suoi ospiti a Persepoli. Ospitati in 50 tende Deluxe create da Jansen e allietati da centinaia comparse in costumi antichi disegnati da Lanvin. Pagò un conto, a quanto pare, di 110 milioni di attuali. Più caro ancora, però, fu il prezzo politico. «È stata la festa di Satana», tuonò Khomeini. E da lì partì l’odio popolare incontenibile che portò poi alla caduta dell’imperatore.