QUESTO NON LO SCRIVA - INTERVISTA CLASSICA
Luca Zingaretti: «Ho un lato femminile molto sviluppato. Mi aiuta a fare l’attore»
Ricorda quando il papà andò via di casa, lasciandolo crescere con mamma, nonna, zia. Anche oggi è l’unico maschio in famiglia, tra la moglie Luisa Ranieri e le figlie. L’attore romano festeggia vent’anni da commissario Montalbano. Ma nel prossimo film sarà un papà transessuale in parrucca, seno, tacchi e gonna: «All’inizio mi infastidiva guardarmi allo specchio, poi ho capito»
A LUCA ZINGARETTI questa stagione della carriera sta offrendo molti spunti di riflessione sui cambiamenti e sulla diversità. Prima il successo in teatro con The Pride, in cui ha interpretato un giornalista gay. Ora la scommessa del film che sta girando, Thanks for vaselina del giovane regista Gabriele Di Luca, in cui è un padre transessuale. C’è una ragione comune, per queste scelte? «Penso che più le storie riescono a raccontare i vari aspetti della diversità, più siano interessanti in un mondo che sta cambiando sotto il nostro naso a una velocità straordinaria. Fino a qualche tempo fa quando si apriva un nuovo capitolo se ne parlava poi per anni, penso per esempio al Sessantotto. Oggi il mutamento è continuo, credo che lo stesso essere umano si stia in qualche modo modificando.
Quando mi proposero The Pride ci fu chi mi consigliò di lasciar perdere, di non impelagarmi in una polemica rovente, quella sulle unioni civili, sui diritti degli omosessuali... Invece sono stati due anni di serate tutte esaurite, come in un concerto rock» La chiave di questo successo? «Lo spettacolo emanava amore in tutte le sue forme. Prendeva il pubblico e lo abbracciava. Uno dei personaggi diceva: “Vedrai, andrà tutto bene”. Proprio ciò che vogliamo sentirci dire tutti, sempre» Un padre transessuale: come la vedremo nel film di Gabriele Di Luca? «Come è necessario per il ruolo. Parrucca, tacchi, il seno, la gonna» Molto sorprendente per un pubblico abituato ad altri ruoli. Come ha messo a fuoco il personaggio? «Ci si affida ai ferri del mestiere d’attore. All’inizio non è stata una convivenza facile. Ero quasi infastidito dall’immagine che lo specchio mi rimandava. Un tipo molto lontano da me, per esempio non conosco transessuali, meno che mai padri in quella condizione. E poi è successo qualcosa…» Qualcosa? Cioè? «Ho pensato che avrei potuto imparare dall’altro lato di me, quello femminile. Perché, vivaddio, ho un lato femminile molto sviluppato. Me lo dicono in tanti: mia moglie, gli amici gay, chi mi conosce bene» Di cosa è composto, questo lato femminile? «Di sensibilità, di attenzione, di capacità empatica, di accoglienza… Tutte caratteristiche tipicamente femminili. Quando i miei si separarono ero molto piccolo. Papà andò via di casa e io sono cresciuto con mamma, nonna, zia, tutti personaggi fondamentali nella mia vita. In cucina le vedevo cucinare, le ascoltavo chiacchierare. So per esperienza diretta che il mondo femminile è magicamente molto più ricco e profondo di quello maschile» Questo suo lato femminile le piace? «Sì. Mi ha aiutato a vivere bene e a diventare un attore» Anche oggi lei è l’unico uomo in casa: sua moglie Luisa Ranieri, le sue figlie Bianca ed Emma… «Sono consapevole di essere in minoranza, alla fine sconterò tutto questo. Luisa dice che sono un papà pastafrolla perché non resisto alle moine delle figlie. Però nell’ultimo periodo lei è impegnata all’e-
«Ci sono ruoli che non so accettare, perché dovrei immergermi nel loro mondo. Di recente mi hanno proposto quello di un pedofilo, ma io non ci riesco»
stero per lavoro e io sono qui a Roma con Bianca ed Emma. Ho scoperto che gran lavoro fanno le madri e nello stesso tempo sto riuscendo a prendere in mano le redini, diciamo, della paternità. E a dire no quando ci vuole… Con fatica, ammetto» Recentemente Paolo Bonolis presentandola in trasmissione ha detto: «Ecco qui un sex symbol». Lei si sente davvero un sex symbol? «Il mondo femminile, così articolato e complesso, è difficile da conquistare. Tocca alla donna perpetuare la specie e dunque è più furba, più intelligente e più diffidente dell’uomo. Conquistare il pubblico femminile è dunque importantissimo: ho la presunzione di credere che loro, le donne, mi seguono nel mio lavoro perché sono autentico. Recito, certo, ma non faccio mai finta: nel bene come nel male. In questo senso penso di essere in qualche modo un sex symbol: il pubblico femminile mi vuole bene, mi stima, per la mia autenticità». Lei è il nuovo testimone di Telethon. Come vive questa esperienza? «Come un’occasione per ridistribuire almeno una parte della fortuna che ho avuto nella vita. Prima di accettare ho voluto vedere di persona come funziona quel mondo. Ho capito che ne sapevo ben poco: invece ho scoperto una straordinaria eccel- lenza internazionale che ha il cuore qui in Italia. Veramente meritano di essere sostenuti, aiutati: sono impegnati su un tipo di ricerca scientifica tutta particolare, che le grandi ditte di medicinali giudicano antieconomica: quella sulle malattie genetiche rare. I soldi vanno tutti a buon fine ed è importante saperlo, sia per chi dona il denaro ma anche per chi mette a disposizione immagine e credibilità. Ne sono contentissimo, è un’esperienza splendida» In primavera lei compirà vent’anni di sodalizio con il commissario Salvo Montalbano, il frutto della fantasia di Andrea Camilleri, ci saranno due nuove puntate. Qual è il suo rapporto con questo personaggio dopo un ventennio di vita insieme? «Io incontro Montalbano per due mesi ogni due anni, e quindi ho potuto esplorare moltissimi altri personaggi e tante altre storie. Ho il privilegio di lavorare con l’autore italiano più letto nel mondo che continua a scrivere: quindi il personaggio di Montalbano cambia, si evolve. Ogni volta che mi propongono una nuova serie è una festa: vado a trovare questo commissario in un paesino della Sicilia dell’Est con la curiosità di sapere come sta, cosa è successo nella sua vita. Tutti pensano
che io sia obbligato da qualche motivo, magari anche il denaro, per continuare. Ma un attore deve concedersi il lusso di restare libero, fare solo ciò che ama. E per mia fortuna io continuo ad avere il piacere, due mesi ogni due anni, di tornare in una terra che ha una dolcezza difficile da raccontare». Le capita di rifiutare ruoli? E se sì, perché? «Chi opera nel campo culturale deve saper rischiare. Intendo che deve mettere nel conto di discutere e far discutere, magari anche di litigare e far litigare. Però alcuni ruoli mi danno fastidio perché devi immergerti nel loro mondo: e capita che tu non ci riesca. Recentemente mi hanno proposto la parte di un pedofilo. No, grazie, non ci riesco, non posso» Lei sta lavorando a una sua sceneggiatura. La vedremo presto dietro la macchina da presa come regista? «Questa storia è diventata come una chimera. Ci provo da tempo, una volta ci sono stato vicino. Ora con Luisa abbiamo creato una “società di creativi- tà”: storie, sceneggiature, documentari, anche cartoni animati. Poi si farà ciò che si riuscirà a fare. Io regista? Dopo anni di personaggi, viene la voglia di essere tu a dare il taglio, la sottolineatura che vuoi a una storia. Vedremo…» Due personaggi molto diversi tra loro sostengono la stessa tesi. Peter Brook: «L’attore è un perenne bambino». Gigi Proietti: «Ringraziamo Iddio, noi attori, che abbiamo il privilegio di continuare i nostri giochi d’infanzia fino alla morte, che nel teatro si replica tutte le sere». È così? Siete eterni bambini che giocano? «Certo, hanno ragione Brook e Proietti… Io aggiungerei che è tutto molto doloroso. Perché tu, attore bambino, vorresti crescere. Ma una parte di te non vuole farlo. Però crescere è importante e non poterlo fare, beh, è doloroso».