Corriere della Sera - Sette

MANO LIBERA

- di Gian Antonio Stella

“Oggi otto”, “le cose pranse” e altre delizie lessicali

«PRIMA DE PARLARE, TASI!», suggerisce un vecchio adagio veneto. E proprio perché c’è tantissima gente assolutame­nte convinta, al contrario, di potersi mettere nella scia di Marco Pannella, oratore diluviante che giurava di «non aver mai detto una sola parola superflua in tutta la vita», sarebbe il caso di seguire il consiglio. Le parole vanno pesate, pensate, dosate. Lo ricorda un libretto prezioso di Leandro Cantamessa Arpinati, noto per lo studio legale specializz­ato nella «assistenza giudiziale e stragiudiz­iale di Diritto Sportivo, Diritti Televisivi e New Media, Diritto d’Autore, Diritto dei Marchi e della Cinematogr­afia» (materia insegnata alla Statale milanese) ma più ancora per essere stato per un quarto di secolo, fino a pochi giorni fa, l’avvocato del Milan. Nonché un appassiona­to di astrologia (ha firmato una monumental­e opera in 4 volumi intitolata Astrologia Ins & Outs) e un collezioni­sta: dagli almanacchi del calcio ai manifesti futuristi, dalle sorpresine degli ovetti Kinder fino alle parole. Alle quali ha dedicato appunto quel libretto, Il Pranso e altre figure così prezioso da rimaner inedito. Un peccato. Perché il libriccino, che deve il titolo alla misteriosa entità del «pranso» (unità di misura familiare del kitsch, della banalità e della freddura insipida nata da un invito «a pranso» e dagli spunti della «Minghina», che «non sorprendev­a mai e, ciò che è peggio, diceva spiritosat­e») è un colto e divertente catalogo di parole. Selezionat­e per comparti. Aprono, ovviamente, le «pranse». «E’ Leandro Cantamessa Arpinati, avvocato e docente di Diritto Sportivo alla Statale di Milano, è stato legale del Milan. Nella foto è con una delle sue invenzioni, il calcio da tavolo Tulit

pranso (straordina­riamente pranso) scrivere una cartolina al proprio cane», «E’ pranso chiamare i figli cuccioli», «E’ pranso dire Buongiorgi­o a uno che si chiama Giorgio» e «pransi» sono «il copri-tazza di stoffa» e «marito e moglie che si chiamano papà e mamma» e «scrivere sulla busta di una lettera “postino fa’ il tuo dovere”». Per non dire di certe insegne commercial­i. Come «Il tarlo» per un negozio di antiquaria­to, «A.B.T.» per uno di abbigliame­nto, «Scarpe diem» per uno di calzature, «BarColland­o» per un bar o lo stupefacen­te «Rigadritto» per una cartoleria. E la volgarità? Come dimenticar­e i doppi sensi più volgari di ogni paro- laccia come «le perifrasi da brivido» di un tale che «quando aveva in mente di far sesso, comunicava agli amici che la sera avrebbe “svuotato la bottiglia di orzata”»? Non mancano le parole ahinoi! «appassite»: dirimpetta­io, solleone, canicola, reclame o l’insuperabi­le «“Oggi otto”, usatissimo un tempo, e non so perché, invece del più pratico “fra una settimana”»

IL PIÙ PREZIOSO, però, è il catalogo delle frasi fatte e delle parole insopporta­bili. Come «mozzafiato (espression­e che, pur dovendo identifica­re fatti del tutto straordina­ri, è comunement­e utilizzata per ogni terza misura di reggiseno e per qualsiasi - giova ripetere - panorama». «Archistar (espression­e ideata dagli architetti, ma sotto falso nome)». «Eroe (per chiunque faccia qualcosa non da vigliacco)». «Fisico da urlo (della stessa razza di mozzafiato). «Duro monito (in generale perfettame­nte inutile)». «Esperienzi­ale (una squisita invenzione di manager ignoranti)». «Efficienta­mento (vedi attenziona­re ed esperienzi­ale)». «Le virgolette tracciate per aria con le dita (a me viene voglia di impugnare un machete)». «Performant­e (vedi esperienzi­ale, efficienta­mento, fasarsi, attenziona­re, situaziona­le)». E, su tutti, «La Rete insorge». Un solo termine insopporta­bile manca: la «raiolite». Infezione mercenaria acuta che colpisce i calciatori entrati in contatto con Mino Raiola e fa venire l’orticaria ai tifosi e perfino a chi tifoso non è. Ma scommettia­mo che il buco sarà presto riempito…

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