MANO LIBERA
“Oggi otto”, “le cose pranse” e altre delizie lessicali
«PRIMA DE PARLARE, TASI!», suggerisce un vecchio adagio veneto. E proprio perché c’è tantissima gente assolutamente convinta, al contrario, di potersi mettere nella scia di Marco Pannella, oratore diluviante che giurava di «non aver mai detto una sola parola superflua in tutta la vita», sarebbe il caso di seguire il consiglio. Le parole vanno pesate, pensate, dosate. Lo ricorda un libretto prezioso di Leandro Cantamessa Arpinati, noto per lo studio legale specializzato nella «assistenza giudiziale e stragiudiziale di Diritto Sportivo, Diritti Televisivi e New Media, Diritto d’Autore, Diritto dei Marchi e della Cinematografia» (materia insegnata alla Statale milanese) ma più ancora per essere stato per un quarto di secolo, fino a pochi giorni fa, l’avvocato del Milan. Nonché un appassionato di astrologia (ha firmato una monumentale opera in 4 volumi intitolata Astrologia Ins & Outs) e un collezionista: dagli almanacchi del calcio ai manifesti futuristi, dalle sorpresine degli ovetti Kinder fino alle parole. Alle quali ha dedicato appunto quel libretto, Il Pranso e altre figure così prezioso da rimaner inedito. Un peccato. Perché il libriccino, che deve il titolo alla misteriosa entità del «pranso» (unità di misura familiare del kitsch, della banalità e della freddura insipida nata da un invito «a pranso» e dagli spunti della «Minghina», che «non sorprendeva mai e, ciò che è peggio, diceva spiritosate») è un colto e divertente catalogo di parole. Selezionate per comparti. Aprono, ovviamente, le «pranse». «E’ Leandro Cantamessa Arpinati, avvocato e docente di Diritto Sportivo alla Statale di Milano, è stato legale del Milan. Nella foto è con una delle sue invenzioni, il calcio da tavolo Tulit
pranso (straordinariamente pranso) scrivere una cartolina al proprio cane», «E’ pranso chiamare i figli cuccioli», «E’ pranso dire Buongiorgio a uno che si chiama Giorgio» e «pransi» sono «il copri-tazza di stoffa» e «marito e moglie che si chiamano papà e mamma» e «scrivere sulla busta di una lettera “postino fa’ il tuo dovere”». Per non dire di certe insegne commerciali. Come «Il tarlo» per un negozio di antiquariato, «A.B.T.» per uno di abbigliamento, «Scarpe diem» per uno di calzature, «BarCollando» per un bar o lo stupefacente «Rigadritto» per una cartoleria. E la volgarità? Come dimenticare i doppi sensi più volgari di ogni paro- laccia come «le perifrasi da brivido» di un tale che «quando aveva in mente di far sesso, comunicava agli amici che la sera avrebbe “svuotato la bottiglia di orzata”»? Non mancano le parole ahinoi! «appassite»: dirimpettaio, solleone, canicola, reclame o l’insuperabile «“Oggi otto”, usatissimo un tempo, e non so perché, invece del più pratico “fra una settimana”»
IL PIÙ PREZIOSO, però, è il catalogo delle frasi fatte e delle parole insopportabili. Come «mozzafiato (espressione che, pur dovendo identificare fatti del tutto straordinari, è comunemente utilizzata per ogni terza misura di reggiseno e per qualsiasi - giova ripetere - panorama». «Archistar (espressione ideata dagli architetti, ma sotto falso nome)». «Eroe (per chiunque faccia qualcosa non da vigliacco)». «Fisico da urlo (della stessa razza di mozzafiato). «Duro monito (in generale perfettamente inutile)». «Esperienziale (una squisita invenzione di manager ignoranti)». «Efficientamento (vedi attenzionare ed esperienziale)». «Le virgolette tracciate per aria con le dita (a me viene voglia di impugnare un machete)». «Performante (vedi esperienziale, efficientamento, fasarsi, attenzionare, situazionale)». E, su tutti, «La Rete insorge». Un solo termine insopportabile manca: la «raiolite». Infezione mercenaria acuta che colpisce i calciatori entrati in contatto con Mino Raiola e fa venire l’orticaria ai tifosi e perfino a chi tifoso non è. Ma scommettiamo che il buco sarà presto riempito…