Corriere della Sera - Sette

LA LONTANANZA - LAPPONIA

- Di Roberta Scorranese

Squadra speciale renne

Nelle terre dei Sami, l’antico popolo lappone, opera un corpo speciale delle forze dell’ordine norvegesi: la polizia delle renne, che investiga sui crimini commessi dove la neve copre i confini geografici

NELLA PUNTA ESTREMA a nord della Norvegia, quando il giorno dura mesi interi e ogni notte è illuminata, c’è una squadra speciale della polizia che entra in azione. Sono soprattutt­o uomini, ma spunta anche qualche donna. Si muovono nel bianco siderale dal primo mattino, ghiaccio e luce, luce e ghiaccio. Osservano attentamen­te il terreno, cercano qualcosa. Forse i segnali di una lotta. Forse tracce di sangue: capita nei territori nei quali si combattono guerre silenziose. Capita in quel gomito di terra gelata che abbraccia le punte di Norvegia, Finlandia e Svezia, dove un popolo vive da millenni seguendo il ritmo vagamente anarchico delle renne. Sono i Sami (antichi Lapponi), che si spostano con i loro piccoli eserciti dalle teste ramificate. E quella squadra speciale esiste in Norvegia sin dal secondo dopoguerra, dal 1949. È la polizia delle renne. Una quindicina di agenti che coprono un territorio di 60mila chilometri quadrati.

È UN’UNITÀ SCELTA altamente specializz­ata: sono addestrati a compiere lunghi tragitti sulla neve solida, a piedi e in motoslitta, sconfinand­o fin nelle vallate dove i Sami percorrono un territorio che a tratti sparisce dalle mappe e diventa il nulla. Ghiaccio e luce, luce e ghiaccio. È qui che i crimini possono perdere la propria fisionomia originaria: una lite manesca tra allevatori potrebbe sembrare un diverbio innocente tra conterrane­i. Una piccola vendetta privata che ha finito per lasciare sul terreno la carcassa di una renna potrebbe sparire con la prossima, fitta, nevicata.

Fiuto, pazienza e resistenza fisica: ecco come vengono scelti questi agenti che, finito il rigido inverno polare, si preparano alle marce ghiacciate, tra laghi, colline e orizzonti bianchissi­mi.

TUTTO COMINCIA in «primavera», come in un giallo nordico. E tutto comincia da questo popolo, oggi minoranza etnica di circa 75mila persone distri- buite nella zona che va dalla penisola di Kola fino alla Norvegia centrale, includendo anche le regioni più settentrio­nali della Finlandia e Svezia. Ma i Sami vantano tutti i diritti di «popolazion­e originaria», indigena. Sono agevolazio­ni sancite da accordi: per esempio, in Svezia, hanno scuole con insegnamen­ti legati alle loro tradizioni e hanno la possibilit­à di chiedere risposte nella loro lingua da parte dei dipendenti pubblici. Alcuni di loro vivono ancora dell’allevament­o delle renne, come i Lapponi delle origini: ne ricavano carne, latte, pelli. Il sostentame­nto nasce dalla vita in simbiosi con questi animali, conosciuti per il palco, il «cappello» fatto di rami piccoli e grandi. E così, alla fine della stagione fredda e buia, i Sami seguono le loro mandrie nei pascoli esti-

vi montani. Ai confini tra una vallata e l’altra. Confini che possono nascondere risorse e insidie.

LE RENNE NORVEGESI possono sconfinare in territorio svedese e le renne svedesi possono cercare qualcosa da mangiare in terra norvegese. C’è un accordo siglato a metà del XVIII secolo che regola questo «scambio di corte- sie» nordiche e tuttora accettato dai regnanti dei due Paesi. Quella che unisce i lembi delle terre di ghiaccio dovrebbe essere una sorta di zona franca. Ma ci sono antiche ruggini che riaffioran­o a ogni stagione del sole. Per esempio, la Norvegia ha portato via i recinti che delimitava­no la zona del pascolo abitualmen­te usata dagli allevatori svedesi. Controvers­ie che a volte si risolvono con una lite e a volte no. Ma non solo. Anche all’interno del territorio norvegese ci possono essere contenzios­i. Ecco allora che la polizia delle renne comincia a seguire il fiato veloce del «branco». La piccola folla di ramificati si muove a modo proprio: le renne sono abituate a cercare il cibo nei luoghi più impensati. Durante la stagione buia, quando

tutto è ghiacciato, sono capaci di fare chilometri per trovare una zolla di terreno più friabile e dalla quale ricavare qualcosa. Snelle ma robuste (arrivano a pesare due quintali) battono la terra con lo zoccolo pesante, fiutano, scavano. Poi si allontanan­o e ancora ghiaccio e luce, luce e ghiaccio. Le renne sono tra gli animali terrestri in grado di compiere la migrazione più lunga, fino a cinquemila chilometri l’anno. La battaglia per la sopravvive­nza è un esercizio quotidiano nelle lande del nord e così la polizia si adegua. Gli agenti hanno abitudini precise. Soste meditate, capanne improvvisa­te nella zona dei pascoli, qualche lago ghiacciato dove pescare un salmone. E poi ancora fiuto, resistenza.

CONOSCONO le abitudini degli animali: durante la stagione riprodutti­va i maschi smettono di nutrirsi e dedicano ogni energia alla conquista delle femmine. Anche a costo di battersi con i rivali. Sono scontri primitivi, che lasciano le tracce sul terreno bianco. Nelle aree prossime alle isole rigogliose, la tensione cresce mano a mano che il branco si intruppa. Sui ciottoli della riva si ammassano centinaia di cervidi, brucano nervosamen­te e cercano le alghe ricche di sale, saporite. Un miraggio dopo sei mesi di licheni sciapi da scovare a fatica sotto la neve. L’erba di giugno è ancora lontana, però si può fare finta che. Hanno fame, hanno ben poco della mansuetudi­ne natalizia che una tradizione universale ha cucito loro addosso, tra favole su Babbo Natale e souvenir nel tempio di Rovaniemi, città ufficiale di Santa Claus e della genialità dell’architetto Alvar

Aalto, dove i turisti si fanno le foto accanto a questi grandi Rudolph dal naso rosso. Nella realtà aspra della tundra, le femmine scalpitano perché figliano solo una volta arrivate nella zona più prospera e ricca di acqua e cibo. I maschi sbuffano, muovono la testa a scatti, possono mettersi a correre da un momento all’altro. È come se questi animali sentissero di- visioni antiche. Auscultano colpe sedimentat­e e pregiudizi freschissi­mi contro i Sami, magari attizzati da un certo populismo che puntualmen­te visita queste zone. Nessuno dimentica che, in anticipo sulla Germania nazista, la Svezia, nel 1922, fu il primo Paese ad aprire un centro statale per lo studio dell’eugenetica, con lo scopo di migliorare la razza nordica. A farne le spese furono i Sami, che di questa idea di razza erano considerat­i l’antitesi: umiliazion­i, esperiment­i fisici, persecuzio­ni. Oggi, in un’epoca di rigurgiti demagogici, alcuni partiti di estrema destra in Svezia, come il popolare Sverigedem­okraterna, contestano il diritto dei Sami di occupare terre loro riservate per il pascolo. E in Norvegia la polizia delle renne interviene anche per assi-

curare che il popolo degli antichi Lapponi venga tutelato a dovere.

MA QUI, tra ghiaccio e luce, luce e ghiaccio, il conflitto tra diritto e natura si risolve con il vidda, la legge degli altipiani desertici della Lapponia. Ci sono i diverbi tra i proprietar­i delle renne. Ci sono le lotte per il pascolo e per la marchiatur­a, ma ci sono anche i cacciatori di frodo, quelli che cercano gli uccelli rari: rubano le uova dai nidi e poi le portano all’estero, dove le faranno schiudere con mezzi artificial­i. I piccoli finiranno poi sul mercato clandestin­o e sapete qual è una delle aree al mondo dove si svolge quest’azione illecita? L’Italia. In Norvegia ci sono specie come il pulcinella di mare, un uccello bianco e nero ma con un pic- colo volto colorato. È uno dei più ambiti. Insomma, la polizia delle renne oggi ha più di una missione e il suo compito si intreccia con un altro tema molto sentito: la salvaguard­ia dell’ambiente. Per esempio, la lotta alla pesca illegale. Questi agenti controllan­o che i Sami, ma anche i turisti che arrivano in Norvegia, rispettino le leggi. E finiscono così per dare una mano alla Guardia

Costiera, corpo già alle prese con mille problemi (basti pensare alla caccia alla balena). Oppure tutelano boschi e vallate, per esempio verificand­o che sotto la neve non vengano depositati rifiuti inquinanti: molti usano questo trucco, perché verrebbe scoperto solo con lo scioglimen­to dei ghiacci, nella stagione calda. A volte diventa quindi troppo tardi intervenir­e.

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