VISIONI SPAZIALI
L’universo è un’opera d’arte
IL CORPO BLU DELLA DEA NUT si distende ad arco sopra la Terra e su di lei splendono le stelle più brillanti. Nut era il punto di congiunzione tra la Terra e il cielo, il passaggio tra il mondo umano e quello ultraterreno e per questo veniva raffigurata all’interno dei sarcofagi dove erano deposte le mummie. Nell’Antico Egitto il rapporto tra Uomo, arte e Universo trova uno dei punti di massima espressività non solo nel mito di Nut, basti pensare come le grandi piramidi di Giza e altri monumenti seguano precisi allineamenti solari e stellari. Le stesse piramidi - secondo alcuni - sembrano disposte allo stesso modo di come appaiono in cielo le stelle della Cintura di Orione. Uomo, arte e Universo: un rapporto che risale alle origini della specie umana, da quando il primo Homo Sapiens ha voluto dare una sua rappresentazione di ciò che lo circondava creando, appunto, la prima opera d’arte. Mani, bisonti, scene di caccia e stelle: sono le raffigurazioni nelle più antiche grotte affrescate. A Lascaux (Francia) 18 mila anni fa qualcuno dipinse una serie di punti neri sopra la testa di un toro (pag 18). Non a caso, ma in numero e con una disposizione precisa. Secondo gli studiosi si tratta della prima rappresentazione delle Pleiadi, le sette brillanti stelle della costellazione del Toro. Arte, senza alcun dubbio, ma anche una capacità di osservazione del cielo tutt’altro che primitiva. Il volume Universe. Exploring The Astronomical World (pubblicato da Phaidon), parte proprio da Lascaux e ci guida attraverso 300 immagini nel percorso lungo migliaia di anni del rapporto tra arte e Universo.
Mostrandoci come a volte l’arte abbia anticipato le immagini che abbiamo ricevuto, anni dopo, dalle sonde spaziali. A volte è difficile tracciare un confine preciso tra arte e scienza. Le immagini riprese da Rosetta della superficie della cometa 67/P Churyumov-Gerasimenko (pag 173) sono una semplice testimonianza di un corpo spaziale lontano o possono stare accanto a opere d’arte moderna (pag 169)? La simulazione computerizzata dello spazio intorno a un buco nero supermassivo (2016) (pag 124) regge il confronto «artistico» con (pag 70) Kandinsky ( Numerosi cerchi, 1926)? C’è un contatto tra il van Gogh (pag 114) della Notte stellata (1889) e i resti della supernova esplosa a 160 mila anni luce da noi nella Grande Nube di Magellano ripresa ai raggi X e nel visibile (pag 121) dai telescopi spaziali Chandra e Hubble (2010)?
NOI ABBIAMO PERSO LA CAPACITÀ di osservare il cielo e quindi di rappresentarlo. A meno di non trovarci nel deserto o sulle Ande cilene (dove non a caso è stato posizionato il nuovo potente telescopio internazionale), le stelle non le vediamo più. Nelle città a occhio nudo a malapena possiamo vedere qualche decina di stelle e 3-4 pianeti (ma non sappiamo riconoscerli). L’inquinamento (luminoso e chimico) nasconde le stelle e quando ci troviamo in un luogo dove di notte fa ancora buio restiamo stupefatti a vedere la quantità di stelle che punteggiano il cielo. Magari notiamo ammirati quella diffusa luminosità che attraversa la volta celeste da parte a parte: è la nostra galassia, la Via Lattea.
NOI LE STELLE OGGI LE VEDIAMO non più con i nostri occhi ma con gli strumenti che abbiamo creato e che li sostituiscono (in meglio). Non più solo la luce visibile con i classici telescopi, ma raggi X, gamma, onde radio, infrarossi, ultravioletti, microonde e - ultimi arrivati - strumenti che captano le onde gravitazionali e gli elusivi neutrini. Piazzati sulla Terra e in orbita. Senza contare le sonde che abbiamo inviato per vedere da vicino e sbarcare su pianeti, satelliti e asteroidi. Tre di loro sono ai confini o appena oltre il limite del Sistema solare: sono Voyager 1, Voyager 2 e Pioneer 10. New Horizons ha oltrepassato Plutone (regalandoci immagini straordinarie, pag 293) e il 1° gennaio 2019 sorvolerà un piccolo corpo della fascia esterna, per poi continuare il suo viaggio nella Nube di Oort. Che balzo di conoscenza rispetto al cannocchiale da 30 ingrandimenti che
consentì nelle fredde notti di inizio gennaio del 1610 a Galileo di scoprire i primi quattro satelliti di Giove.
I NOSTRI STRUMENTI CI PERMETTONO di vedere miliardi di galassie e spingerci fin dove non è più possibile vedere oltre. Il limite è 380 mila anni dopo il Big Bang. Prima di quella soglia la radiazione, a causa delle condizioni fisiche presenti a quel tempo, non era libera di viaggiare e quindi non possiamo vedere direttamente oltre: questo limite è perfettamente rappresentato nell’opera «Ri-ionizzazione» (2011) dell’illustratrice della Nasa Melissa Weiss (pag 47). Grazie alla misurazione delle fluttuazioni della radiazione cosmica di fondo a microonde compiuta dal satellite Wmap nel 2012 siamo riusciti a realizzare una mappa di come era la struttura dell’Universo 300 milioni di anni dopo il Big Bang (pag 301), migliorata un anno dopo con il satellite Planck. Rappresentare l’Universo significa fare cosmologia, ossia fornire un’interpretazione del Cosmo, dalle sue origini a oggi. Gli aztechi che scolpiscono la Piedra del Sol (pag 138) fanno cosmologia, così come Hildegard von Bingen nel XII secolo nel Liber Divinorum Operum (pag 28) che pone l’Uomo al centro dell’Universo, così come la distribuzione della materia oscura (pag 143) nella Millennium Simulation (2005), così come il planisfero assiro del 650 a. C. (pag 248).
LA LETTERATURA PRIMA E IL CINEMA poi hanno ampliato il nostro immaginario sull’Universo. Fin dai tempi del Barone di Münchhausen e di Jules Verne abbiamo creato con la fantasia viaggi su altri mondi. Da Georges Méliès (pag 117) a Guerre stellari fino a Interstellar lo Spazio è stato un potente soggetto di storie appassionanti. Finché la realtà supera la fantasia.
In 2001: Odissea nello spazio il personaggio principale del film è il Monolite nero, la presenza «superiore» che dà l’intelligenza a un gruppo di scimmie e guida l’Umanità verso le stelle. Ebbene, lo scorso 19 ottobre il telescopio Pan-Starrs1 alle Hawaii ha scoperto il primo asteroide che, in base ai suoi parametri orbitali, proviene sicuramente dall’esterno del Sistema solare. È una scheggia piatta lunga 180 metri, larga e spessa 30 metri: uguale, con dimensioni ridotte, al Monolite ideato da Arthur C. Clarke e tradotto in immagini da Stanley Kubrick.
IL BIG BANG avvenne 13,8 miliardi di anni fa. L’inizio del nostro Universo non proibisce di ipotizzare un numero infinito di universi precedenti e un numero infinito di multiversi paralleli al nostro. Da poco si è scoperto che non solo l’Universo si sta espandendo, ma la sua velocità sta accelerando. Secondo alcuni cosmologi, in un periodo compreso tra 2,8 e 22 miliardi di anni da oggi ci sarà il Big Rip, il Grande Strappo. L’accelerazione dell’espansione dell’Universo raggiungerà un punto tale da distruggere anche il tessuto dello spazio-tempo. In pratica non esisterà più nulla, nemmeno il nulla. Sarà veramente così? Forse, dipende dall’energia oscura, che non sappiamo ancora cosa sia. Tutto quello che vediamo nell’Universo e che ci mostrano queste suggestive immagini, in realtà è solo il 5% (!) dell’esistente. Il resto è formato per il 25% dalla materia oscura e per il 70% dall’energia oscura. Come Socrate, sappiamo di non sapere. Nella speranza, per citare Dante, di uscire «a riveder le stelle».