VIDEOCRAZIA
Una diretta dal Congresso Usa vale molte puntate di House of Cards
NON SONO MAI STATO un fan scatenato – ce ne sono parecchi – di House of Cards perché poco prima che cominciasse il serial di Netflix ho conosciuto Kevin Spacey. E come spesso capita incontrando di persona i grandi attori – o musicisti – sono rimasto deluso: quella cifra straordinariamente sfuggente, tra il viscidino e lo strafottente, che al cinema e in tv gli riusciva così bene, era in realtà il suo stato normale. Gli stringevi la mano e vedevi che con la coda dell’occhio stava già guardando altrove, gli parlavi e sentivi chiaramente quella cosa che nei film e nei serial ci piaceva tanto, da spettatori: però ti rendevi anche conto che non doveva fare un grande sforzo attoriale, lui era proprio così (il che non cambia il risultato: molestie a parte, stiamo parlando di uno dei grandi attori americani della sua generazione).
HO RIPENSATO alla mia non grande ammirazione per House of Cards (bello il mood grandguignolesco da tragedia elisabettiana, molto colto, grande la fotografia, evviva David Fincher regista dei primi episodi, però poco altro mi piaceva) qualche giorno fa, a New York per lavoro, accendendo la tv mentre facevo i ridottissimi bagagli per tornare a Milano: sono finito per caso sulla Cnn (la versione americana, non quella International che si vede nel resto del mondo) e ho visto House of Cards, ma quello vero. Ipnotico. Un capolavoro. Molto di nicchia, certo (bisogna avere un interesse professionale per la politica americana) ma assolutamente da non perdere. C’era la diretta, dal Campidoglio di Washington, della deposizione davanti al Congresso di quello che al momento è l’uomo più potente d’America, anche se quasi nessuno lo conosce: il viceministro della Giustizia Rod Rosenstein, che da anonimo burocrate è diventato, per una serie di eventi speriamo irripetibili, l’unico uomo in grado di fermare l’inchiesta sulla Russia che rischia di affondare Donald Trump. Trump infatti per ovvi motivi non può licenziare il procuratore speciale – Robert Mueller, ex direttore del Fbi, eroe del Vietnam – che indaga su di lui, la sua famiglia e il suo staff. Può farlo il ministro della Giustizia (scelto da lui) che però per motivi complicati si è dovuto chiamare fuori dalla vicenda. Il cerino è rimasto in mano a Rosenstein, 52 anni, occhialini e calvizie con riporto, anonimo avvocato diventato improvvisamente una star. Protagonista di una puntata, vera, di House of Cards. Rosenstein che davanti alla Camera cerca di rispondere ai repubblicani (partito di Trump) che lo attaccano per colpire l’inchiesta di Mueller, e i democratici, in minoranza, che cercano di proteggerlo, e di guadagnare tempo.
NEL FILM Tutti gli uomini del presidente con Robert Redford e Dustin Hoffman (finito anche lui, ormai ottantenne, nella valanga dello scandalo molestie, con accusatrici multiple, che tristezza) il direttore del Washington Post che stava per affondare la presidenza di Richard Nixon spiega che «non c’è nulla in palio, a parte le libertà di parola e di stampa garantite dalla Costituzione, e forse il futuro del Paese». Rosenstein, tenendo a freno con inaspettata freddezza le ondate di attacchi dei fedelissimi del presidente (Trump) al Congresso ci ha regalato uno spettacolo più bello, e autentico, di Kevin Spacey. Il risultato? Mi sono seduto sul letto, ipnotizzato, senza fare la valigia, e ho quasi perso l’aereo.