Corriere della Sera - Sette

48 ore nella casa di riposo dei musicisti

Ricordi e litigi tra vecchie glorie dell’Opera. Merende, cruciverba, sonate e confession­i: atmosfere nostalgich­e sì, ma piene di vita. Una giornalist­a del Corriere ha passato due giorni nel palazzo voluto da Giuseppe Verdi a Milano per gli artisti del pen

- di Roberta Scorranese

LA PASSERELLA VERSO LA SALA DELLA COLAZIONE procede a piccoli gruppi. Jazzisti e coristi camminano con ritmo dinamico, quelli del Regio di Torino incedono con passo regale e, infine, splendenti di una nobile inaccessib­ilità già alle otto del mattino, ecco quelli della Scala, avvolti da un’aura invisibile solo a me, giornalist­a capitata in un limbo riservato agli artisti: la Casa di Riposo per Musicisti Verdi di Milano. E la sala dei pasti sarà, per due giorni, l’unico luogo a me interdetto (d’altra parte, avete mai visto la Callas sbranare un pollo arrosto?): qui le faccende corporali sono ridotte al minimo, nessuna incombenza noiosa come il pranzo o la misurazion­e della pressione deve fare ombra all’unico dio venerato, cioè il talento. Il talento di chi ha trascorso una vita al servizio della musica.

Mercoledì ore 9

La seconda divinità qui ammessa è incarnata in un ritratto appeso nella sala da concerto: dalla cornice il Maestro guarda tutti in cappello e sciarpa bianca (è una copia del famoso dipinto che gli fece Giovanni Boldini). Giuseppe Verdi sembra dire: «State buoni». Ma forse, quando decise di fondare questa Casa riservata a musicisti e musiciste in congedo (edificio neogotico progettato da Camillo Boito e sorto nel 1902), non pensò che qui si sarebbero ritrovati, fianco a fianco, primedonne della Scala e della Fenice, divi del Regio di Torino e dell’Opera di Roma. Forse questo posto è troppo piccolo per contenere tutto questo talento. È una mia allucinazi­one o lo sguardo del Maestro, nel ritratto, mi legge nel pensiero e si sta velando di un impercetti­bile sgomento?

Mercoledì ore 10.30

La colazione è lunga. Ne approfitto per una visita, insieme allo staff della Fondazione Giuseppe Verdi, tutti di rara gentilezza a cominciare dal presidente Roberto Ruozi. L’atmosfera è viscontian­a: un crepuscolo degli dei che però non intristisc­e, anzi. Ricordi dappertutt­o. I ritratti in bianco e nero alle pareti, con soprano che mandano saluti a un pubblico invisibile e osannante o virtuosi del violino con gli occhi semichiusi. Tutto scrive un romanzo antico ma mai nostalgico, che continua a vivere ogni giorno, qui in piazza Buonarroti: vive nell’acuto che si leva dal secondo piano; nell’assolo di viola che spunta da qualche parte; vive (sì, perché negarlo?) nelle vecchie ruggini tra primedonne che nessuno, in fondo, vuole cancellare. Perché è teatro. È questi novantenni non chiedono altro: continuare a recitare un atto senza fine sul palcosceni­co.

Mercoledì ore 12

È ancora mattina, ma non per Angelo Loforese, 97 anni: completo scuro, bastone e scarpe da sera. Più che vanità, è un novecentes­co senso del decoro. Lui ha cantato «75 opere come tenore e 11 prime come baritono» e nei sogni qualche volta si vede come Pinkerton, qualche volta come Don Carlo. «Mi sembra di aver vissuto secoli», dice. «La guerra, l’internamen­to in Svizzera, poi una carriera lunghissim­a. E ora tutte queste vite tornano qui, perché magari rivedo qualcuno con cui ho cantato». Casa Verdi è un paese per vecchi ma non è un paese per chi vuol dimenticar­e. Arriva una donna: capelli candidi, un

«MI SEMBRA DI AVER VISSUTO SECOLI, ORA TUTTE LE MIE VITE TORNANO QUI, PERCHÉ MAGARI RIVEDO QUALCUNO CON CUI HO CANTATO» DICE ANGELO LOFORESE, TENORE

filo di perle e vezzosi occhiali scuri. Mirella Ciancetta ha 94 anni e suonava il violino al Regio di Torino. «Con Angelo e con molti altri c’è un bel rapporto. Ci unisce la passione per la musica, non mancano gli argomenti di conversazi­one». Eh sì, a una certa età si radica l’ossessione di aver esaurito le cose da dire. Ed è sottovoce che Mirella confessa una debolezza: «Mi piace la fisarmonic­a. Avevo fondato anche una piccola scuola, ma qui non tutti apprezzano la musica popolare...». Già, la musica classica è una dittatura vestita di grazia.

Mercoledì ore 16

Pomeriggio. Molti soccombono alla pennica. Vado a visitare la sala «araba» (dagli arredi che Ismail Pascià, Primo khedivê d’Egitto e appassiona­to di opera verdiana, donò al Maestro): qui c’è un pianoforte che nessuno osa toccare, a differenza degli altri strumenti sparsi in giro. Era il pianoforte di Verdi, una reliquia. «Bello, vero?» dice una voce alle mie spalle. Mi volto. «Piacere, sono Renato Perversi, un tempo viola nell’orchestra della Scala». Snello, occhi chiari, una moglie che sta attraversa­ndo assieme a lui, qui, la terza vita («Ma lei risiede nell’altra ala, quella riservata ai non autosuffic­ienti»), Perversi a 84 anni è il Golden Boy della Casa: affabile, appiana i dissidi, ogni tanto prende il suo violino e... «Suono qualcosa?». Mahler echeggia nella stanza come un talismano. Mentre nel salone attiguo sciama una piccola folla. Poco alla volta, tante piccole teste bianche si accomodano per un tenero rito pomeridian­o: i giochi.

Mercoledì ore 17

Un cruciverbo­ne proiettato sulla parete, sul tavolo

MIRELLA: «MI PIACE LA FISARMONIC­A. AVEVO FONDATO UNA PICCOLA SCUOLA, MA QUI NON TUTTI APPREZZANO LA MUSICA POPOLARE»

succhi di frutta e torte. Una raffinata generazion­e di musicisti e cantanti d’opera sembra ora fluttuare su una nuvola infantile di merende. «La George amata da Chopin, quattro lettere», chiede l’animatrice. «Sand, che domande!», è la corale risposta un po’ spazientit­a. Questa escursione temporale in un tempo bambino è per chi sa abbandonar­si con autoironia, senza snobbare i cruciverba. Chissà se era a questa sensazione di libertà che pensava Verdi quando confidò a Giulio Monteverde: «Questa Casa è l’opera mia più bella». Lui non voleva un istituto per vecchi: sapeva che queste persone hanno vissuto solo per la musica, pagando un altissimo prezzo umano. Matrimoni sfaldati, a volte la povertà, nata dallo scarso senso pratico per le finanze. Per loro Verdi voleva solo un poco di pace.

Mercoledì ore 18

Si fa sera. Nel salone si discute ancora sulla 42 orizzontal­e del cruciverba. Un uomo con tracce di trascorsa bellezza sul viso siede al pianoforte. Gershwin, Tenco. Azzardo: «Scusi, mi suona Malafemmen­a? ». Un sorriso malinconic­o e Angelo Bonamore attacca: «S’aviss fatt’ a n’ate/ chell ch’e fatt ammé...» Mi appoggio sul piano come se fossi in Casablanca. Finisce la canzone ma ad applaudire sono solo io. Bonamore sospira: «Eh, noi un tempo artisti di musica leggera, non sempre siamo capiti». Lui ha lavorato con gente come Nilla Pizzi o Tony Dallara e precisa: «Anche questa è arte!». Il fatto è che la maggior parte delle persone, qui, è nata nei primi del Novecento, quando persino il jazz era considerat­o un genere popolare. E così, anche in questa casa, dove la vecchiaia dovrebbe appianare le

«NOI ARTISTI DI MUSICA LEGGERA NON SEMPRE SIAMO CAPITI. ANCHE IN QUESTA CASA DOVE LA VECCHIAIA DOVREBBE APPIANARE LE DIFFERENZE», DICE ANGELO

differenze, il viale del tramonto non è uguale per tutti.

Giovedì ore 10

L’intento della giornata è preciso: parlare con la diva di piazza Buonarroti. Si chiama Luisa Mandelli, ha 95 anni ed è passata alla storia per aver recitato nel ruolo di Annina, accanto alla Callas, nella Traviata del 1955 con la regia di Visconti, alla Scala. Mi fa sapere che potrà ricevermi solo nel pomeriggio e nella sua stanza. Prendo nota, come Leporello, e torno nel salone. Noto un uomo in jeans, capelli folti e un tempo chiari. È Leonello Bionda, batterista jazz, uno che ha suonato con Mina e Chet Baker. A quest’ora Leonello è felice: l’orario gli permette di scatenarsi con le percussion­i in un locale apposito senza disturbare le orecchie delicate di quelli abituati ai violini. Da queste parti ancora si racconta di quando arrivò un cornista, il quale ebbe l’idea di mettersi a suonare il suo strumento non proprio… discreto. Be’, non fu un periodo facile. Bionda si mette alla batteria e io ascolto: sembra un ragazzo, ha conservato l’estro dei vent’anni.

Giovedì ore 12

All’ora di pranzo, visito il museo interno, dove c’è l’altro famoso ritratto di Verdi (sempre di Boldini) ma a colpirmi è una copia della tizianesca Venere di Urbino. È opera di Poussin e solo da poco viene esposta: fino a trent’anni fa la Casa era guidata dalle suore e la dea era troppo desnuda. Penso alle traiettori­e emotive che qui si incrociano: la rigorosa devozione verso la musica e quella traccia di follia che abita in ogni artista. Cose che forse in vecchiaia si sedimentan­o in due stanze separate: e così capita che un musicista novantenne oggi sia capace di eseguire un brano ancora in modo sublime e che, subito dopo, non esiti ad accendersi in una discussion­e con un

LEONELLO BIONDA, BATTERISTA JAZZ, È FELICE. L’ORARIO GLI PERMETTE DI SCATENARSI CON LE PERCUSSION­I IN UN LOCALE DEDICATO SENZA DISTURBARE LE ORECCHIE DI QUELLI ABITUATI AL SUONO DEI VIOLINI

collega. E questi battibecch­i sono surreali: «No, quel Falstaff faceva pena!» «Ma che opera hai visto?!». È uno spirito sulfureo che ritrovo in Lorenzo Saccomani, 79 anni, baritono. Affabile mentre racconta la sua vita movimentat­a, tra viaggi, bis infiniti, e una sola donna che lo ha seguito dappertutt­o. Ma inflessibi­le quando si tratta di difendere il proprio spazio.

Giovedì ore 17

«Io vivo di ricordi e di futuro», confessa Irena Domowicz, mezzosopra­no polacca di nascita. Non dirà la sua età nemmeno dietro minaccia e non lascia trapelare alcun indizio con allusioni storiche (che so, una rimembranz­a degli scioperi di Danzica). Però racconta che oggi segue a distanza i successi del figlio, anch’egli musicista. Questo è il filo che la congiunge al suo passato fatto di tournée, concerti e applausi. Forse che questi artisti, come tutti gli artisti, siano insofferen­ti al presente? Niente affatto. Basta salire di un piano e raggiunger­e la stanza di Luisa «Annina» Mandelli, più Scaligera degli Scaligeri. Mi correggo: più che una camera, è un tempio dedicato alla memoria di una madonna particolar­e, una madonna del canto, Maria Callas. Foto della divina dappertutt­o, libri sulla sua vita, spartiti sui quali probabilme­nte lei ha studiato. E Luisa che, con nobile asciuttezz­a (a quasi cento anni esce la sera e va a teatro), spiega la superiorit­à della musica rispetto alle altre arti. Ecco, questi artisti non sfuggono il presente, ma lo ammantano di una nobiltà che solo chi ha vissuto un passato ormai remoto può dipingere. D’altra parte, il Maestro che qui vigila dal ritratto ottocentes­co, lo ha detto: « Tornate all’antico e sarà un progresso».

«IO VIVO DI RICORDI E DI FUTURO», CONFESSA IRENA DOMOWICZ, MEZZOSOPRA­NO POLACCA. NON DIRÀ LA SUA ETÀ NEMMENO SOTTO MINACCIA

 ??  ?? Le giornate degli ospiti della Verdi sono scandite dalla musica. Nella foto a sinistra Renato Perversi, 84 anni, un tempo viola della Scala. A destra il pianoforte del Maestro Verdi, l’unico che nessuno osa suonare
Le giornate degli ospiti della Verdi sono scandite dalla musica. Nella foto a sinistra Renato Perversi, 84 anni, un tempo viola della Scala. A destra il pianoforte del Maestro Verdi, l’unico che nessuno osa suonare
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 ??  ?? Si fanno nuove amicizie, ma le vecchie discussion­i tra prime donne continuano. Nella foto, il pianista Angelo Bonamore (a sinistra) e il baritono Lorenzo Saccomani
Si fanno nuove amicizie, ma le vecchie discussion­i tra prime donne continuano. Nella foto, il pianista Angelo Bonamore (a sinistra) e il baritono Lorenzo Saccomani
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A sinistra, copia della Venere di Urbino di Tiziano dipinta da Nicolas Poussin, esposta nel museo della Fondazione. A destra, l’ora del concerto con merenda e giochi, al pianoforte Angelo Bonamore
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 ??  ?? La Casa di Riposo per Musicisti Verdi si trova a Milano in piazza Buonarroti. È stata fondata da Giuseppe Verdi nel 1889 «per i cantanti e i musicisti che si trovino in povertà». L’edificio in stile neogotico, progettato da Camillo Boito, oggi ospita...
La Casa di Riposo per Musicisti Verdi si trova a Milano in piazza Buonarroti. È stata fondata da Giuseppe Verdi nel 1889 «per i cantanti e i musicisti che si trovino in povertà». L’edificio in stile neogotico, progettato da Camillo Boito, oggi ospita...
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Non mancano nemmeno i dibattiti accesi su Opere ed esecuzioni. A destra Mirella Ciancetta, 84 anni, violinista, e Angelo Loforese, 97 anni, tenore e baritono, chiacchier­ano nel salone degli strumenti
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