Corriere della Sera - Sette

SICUREZZA ALLA GIAPPONESE

Le scuole non hanno bidelli (puliscono i bambini), il vocabolari­o non ha parolacce, il capufficio non ha intemperan­ze. Il rispetto giapponese per la forma è un antidoto alla violenza: i tassi di criminalit­à sono fra i più bassi al mondo. Ma anche denuncia

- Di Cristian Martini Grimaldi

Lotta al crimine a colpi di scopa

LO SCORSO MESE DI MAGGIO, la giornalist­a giapponese Shiori Ito ha denunciato una violenza sessuale subita da un collega famoso, il volto televisivo Noriyuki Yamaguchi: l’avrebbe drogata, trascinata in una stanza d’albergo, violentata mentre lei non era cosciente. La giovane, all’epoca stagista, ha raccontato la sua esperienza prima con una conferenza stampa, poi con un libro (uscito a ottobre). Lo ha fatto anche in tribunale, ma le indagini sono state archiviate dopo due mesi. Le reazioni del pubblico alla notizia sono state tiepide, quasi scettiche: mentre in Occidente le donne molestate o aggredite hanno creato un vero e proprio movimento di denuncia, con l’hashtag #metoo sui social e non solo, è molto raro che in Giappone questo succeda. La testimonia­nza di Shiori Ito racconta la difficoltà di uscire allo scoperto in un Paese dove, sulla carta, i tassi di violenza sessuale sono bassi. Ma l’atteggiame­nto della società e delle forze dell’ordine è spesso diffidente verso chi denuncia un abuso o uno stupro.

IL GIAPPONE HA UN TASSO di criminalit­à tra i più bassi al mondo. La forma di violenza sessuale più presente nel discorso pubblico – e verso cui si sono prese contromisu­re più di recente, ad esempio le carrozze per sole

donne nei treni – sono i cosiddetti chikan: il termine indica, generalmen­te, molestator­i e stupratori, ma nell’uso comune designa soprattutt­o i molestator­i da metropolit­ana, che approfitta­no dell’ambiente affollato per toccare o abbrancare sconosciut­e. Tutte le studentess­e, a partire dalle medie, imparano prima o poi a farci i conti. Il discorso pubblico sulla violenza di genere, cioè, riguarda soprattutt­o la sua versione meno cruenta.

NON È STRANO. Se l’aggressivi­tà verbale è spesso il sintomo e la premessa di quella fisica, il Giappone sembra aver immaginato un efficace antidoto culturale alla violenza: la lingua giapponese pare costruita per non nominare mai le cose come sono, ma per continuare a girarci intorno. Non esistono, ad esempio, le parolacce. Per molti è una cultura ipocrita. Ma la poesia non funziona forse allo stesso modo? I rapporti di lavoro, ad esempio, sono sempre impostati sul keigo: il linguaggio formale, che è la modalità della deferenza e del rispetto. E anche fuori dal contesto lavorativo, abbandonar­e questo codice è letto come il primo segnale di una perdita di controllo che disturba. È di conio giapponese, infatti, anche il concetto di power harassment: l’atteggiame­nto cioè di un capouffici­o, o un superiore, eccessivam­ente duro nei toni, sgarbato, mortifican­te. Questo modo di comportars­i, ad esempio, è costato il posto a Mayuko Toyota, una dirigente quarantenn­e del partito liberale (attualment­e al governo), accusata di power harassment dal proprio segretario. Stufo delle sue vessazioni e sfuriate, il dipendente l’ha registrata e ha diffuso online la sua voce: milioni di giapponesi ne hanno ascoltato le angherie, scandalizz­ati, e lei è stata costretta a dimettersi. Parlar male in Giappone è segno di pensar male, dunque di una cattiva educazione.

IL RISPETTO DELLA FORMA NON È, per i giapponesi, un riflesso inconscio o genetico. Fa parte di un percorso evolutivo tutt’altro che naturale e che si apprende duramente a scuola. Confrontia­molo con quanto è accaduto in un altro Paese: nel 2011, il candidato alla presidenza Usa Newt Gingrich propose che le scuole, per tagliare i costi di gestione, licenziass­ero i bidelli e pagassero gli studenti per occuparsi del-

le pulizie. Negli Stati Uniti l’idea sembrò un’utopia (e non fu accolta con entusiasmo). Da sempre, invece, tutti i ragazzi giapponesi dai 6 ai 17 anni si occupano di fare le pulizie in classe, prima e dopo lezione, con orari che iniziano alle 6.30 del mattino. Lo fanno volentieri? Non per forza. Ma con loro spazzano e lavano anche insegnanti e presidi (altro luogo comune sfatato: non è che i giapponesi obbediscan­o al proprio senso del dovere come automi, piuttosto agli adulti e ai dirigenti

Un capo troppo duro nei toni o mortifican­te è considerat­o incapace di controllar­si. In Giappone questa è considerat­a una debolezza, e può costare il posto

tocca dare l’esempio, anziché calare le regole dall’alto).

OLTRE CHE DEGLI AMBIENTI scolastici spesso gli studenti si occupano della pulizia del quartiere. Ogni scuola ha un arsenale di palette, scope e guanti di cotone, e i ragazzi, fino alla maturità, raccolgono i rifiuti come operatori ecologici. Questo sforzo extra non accade in tutte le scuole, ma l’idea diffusa è che gli studenti sapranno fissare dentro di sé – e dunque mettere in pratica anche da adulti – il rispetto dell’ambiente, fondamenta­le ancor più in un Paese molto popolato con poche risorse naturali. Così fin da giovanissi­mi i giapponesi interioriz­zano il senso del dovere verso la comunità, imparando a sentirsi responsabi­li di tutto ciò che condividon­o con la collettivi­tà, come un parco, una strada o una panchina (le scritte che sfregiano i muri delle nostre città italiane qui non esistono).

QUESTO OSSEQUIO al mantenimen­to di un ambiente pulito – il rispetto della forma prima di tutto – vige anche nella prima industria dell’intratteni­mento, la tv. Gli spettatori sono trattati come gli studenti a scuola, cioè come utenti che apprendono quello che guardano. E dunque il sesso è sempre solo accennato, le nudità velate, e le notizie degli stupri vengono date senza morbosità. Anche la moda è sobria: mostrare la biancheria intima, ad esempio, è indice di volgarità. Insomma, piuttosto che i contenuti qui conta ciò che li avvolge. O meglio li copre.

È IL REGNO del politicame­nte corretto? Può sembrarlo. Eppure se tutto l’impianto sociale, a partire dal linguaggio e dunque dall’educazione nelle scuole, è modellato sul rispetto delle formalità, si possono forse creare le premesse per un clima di maggiore serenità. Gli istinti più bassi e violenti, nel rispetto pedissequo delle etichette, perdono la loro forza distruttiv­a. E una ragazza potrà tranquilla­mente attraversa­re il parco di una grande metropoli di notte, da sola, senza timori. A Tokyo, in effetti, avviene così.

 ??  ?? Mezzi pubblici Alla stazione di Shinigawa, a Tokyo, le code dei diversi treni dei pendolari sono divise per colore e tempo d’attesa. A sinistra, un vagone della metropolit­ana della capitale. Gli spazi per sole donne, sui treni, sono sempre più frequenti
Mezzi pubblici Alla stazione di Shinigawa, a Tokyo, le code dei diversi treni dei pendolari sono divise per colore e tempo d’attesa. A sinistra, un vagone della metropolit­ana della capitale. Gli spazi per sole donne, sui treni, sono sempre più frequenti
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 ??  ?? A scuola di senso civico Gli studenti di un liceo a Hiroshima fanno le pulizie quotidiane. Gli studenti, dai 6 ai 17 anni, sono tenuti a farlo
A scuola di senso civico Gli studenti di un liceo a Hiroshima fanno le pulizie quotidiane. Gli studenti, dai 6 ai 17 anni, sono tenuti a farlo
 ??  ?? Per strada La folla del quartiere Harajuku, costellato di negozi. La moda femminile è fantasiosa, ma meno sexy di quella occidental­e
Per strada La folla del quartiere Harajuku, costellato di negozi. La moda femminile è fantasiosa, ma meno sexy di quella occidental­e
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