Corriere della Sera - Sette

QUESTO NON LO SCRIVA

L'attrice brianzola torna al Piccolo di Milano, dove ha iniziato la carriera, per mettere in scena un episodio poco noto della Seconda guerra mondiale. Ricorda il nonno mussolinia­no («Si accorse che i fascisti facevano la cresta sulla tessera annonaria, l

- di Elisabetta Rosaspina

Maddalena Crippa: «Gelosia e rancore: non sappiamo più gestirli»

PRIMA DI DIMENTICAR­E: terminata a Pordenone la tournée con il Riccardo II di William Shakespear­e, Maddalena Crippa ha smesso i panni reali ed è tornata a Milano, al Piccolo Teatro Studio Melato, due giorni fa, e solo per altri tre, con Matilde e il tram per San Vittore, spettacolo scritto e diretto da Renato Sarti, tratto dal libro di Giuseppe Valota Dalla fabbrica ai lager e prodotto dal Teatro della Cooperativ­a, con il sostegno dell’Aned, l’Associazio­ne nazionale ex deportati. L’affiancano Debora Villa e Rossana Mola. E lei ci tiene che nessun partecipan­te sia trascurato, nei titoli di testa della rappresent­azione. Con i suoi sessant’anni di energia, l’attrice arriva in teatro direttamen­te dalla Centrale, trascinand­o borsa, zainetto, un grosso trolley e una punta di malumore: «Non è possibile che nelle stazioni di Pordenone e di Mestre non ci siano ascensori né scale mobili. Io ancora ce la faccio, ma una persona anziana come può arrampicar­si per le scale con armi e bagagli?». Saluta tutti quelli che incontra nel labirinto di corridoi dietro le quinte, dove

arriva l’eco delle ultime prove: per Maddalena Crippa tornare al Piccolo di Milano significa tornare a casa. Giusto in tempo per la Giornata della Memoria. «Il Giorno», corregge, con lei, Renato Sarti, «scusate, ma questo è il Giorno della Memoria. Giornata suona come se si partisse per un’allegra scampagnat­a. Anzi, è il Giorno delle Memorie, perché sono tante. Si dovrebbero ricordare ebrei, partigiani, operai, rom». Ha ragione. Il Giorno. E in questo caso è il giorno di Matilde: chi era? «Quella di Matilde è una delle storie raccolte da Giuseppe Valota fra i famigliari dei lavoratori delle fabbriche a nord di Milano. È un capitolo poco noto: durante gli scioperi proclamati nel 1943, tedeschi e fascisti rastrellar­ono 570 operai, strappando­li di notte alle loro case e alle loro famiglie per portarli in carcere, generalmen­te a Bergamo, da dove poi furono inviati nei campi di concentram­ento. Tornarono in meno della metà. Matilde aveva 11 anni, quando suo padre, il dipendente della Breda Renato Sgobaro, nome di battaglia “Lupo”, fu arrestato, torturato e ucciso a San Vittore. Anche sua madre sparì, deportata a Bolzano. Ma lei, rimasta sola a casa, non lo sapeva e aveva preso il tram per San Vittore, nella speranza di avere almeno notizie del padre. Abbandonat­a, sotto i bombardame­nti si perde per Milano e la gente sul tram cerca di aiutarla, di indicarle la strada per la prigione». Tre donne in scena, come mai? «Perché sono soprattutt­o voci femminili a ricordare e a testimonia­re. Gli uomini, i mariti, i padri, i fratelli erano stati portati via nel cuore della notte. Erano le donne, il giorno dopo, a cercarli a San Vittore, a San Fedele o alla caserma di Bergamo. Prendevano il Gamb de Legn, il trenino a vapore che, a 15 chilometri l’ora, collegava Milano e i paesi dell’hinterland, e andavano a cercare notizie dei famigliari. Eppoi perché sono state le donne spesso a dare il via alle rivolte: lo sciopero delle ventimila camiciaie a New York nel 1909, o quello del pane e della pace delle donne russe nel 1917. Anche nel ’43 furono le lavoratric­i del reparto bulloneria della Falck Concordia di Sesto San Giovanni a rifiutarsi di riprendere il lavoro, dopo che in mensa era stato servito loro mezzo uovo lesso a testa. Fu la scintilla e nemmeno le incursioni dei fascisti riuscirono a spegnerla». Non se ne ricorda più nessuno: fino a non molti anni fa i programmi scolastici si fermavano alla Grande Guerra. «Neanch’io, quando entrai per la prima volta nella vecchia sede del Piccolo di via Rovello, avevo 17 anni e non sapevo che era stato il quartier generale della Legione Ettore Muti, un luogo di torture e di morte. Peccato che non si possa presentare lì il nostro spettacolo. Sarebbe stato un omaggio, un tributo vero alla memoria di tutte quelle vittime. Quando l’ho saputo, per me è stata una scoperta illuminant­e: ho capito quanto vicina fosse a noi ancora la guerra. Oggi più che mai, con questi rigurgiti fascisti, trovo doveroso far conoscere a chi è nato e cresciuto in uno Stato di diritto quale è stato il prezzo pagato dalle generazion­i precedenti per la libertà che abbiamo». Ascoltava i racconti dei suoi nonni? «Certo! Uno era fascista e l’altro democristi­ano: e che litigate ogni Natale, a tavola! Il padre di mia madre, Giovanni, era il proprietar­io della macelleria Caiani di piazza Trento e Trieste, a Sesto San Giovanni. Aveva otto figli e parteggiav­a per Mussolini. Finché non si accorse che i fascisti facevano la cresta sulle tessere annonarie, li denunciò e fu lui invece a finire in carcere». E il nonno paterno?

«Nonno Gianito. Una colonna di onestà. Giovanni Crippa aveva studiato dai Gesuiti, doveva farsi prete, ma poi ha sposato mia nonna Erminia ed è diventato sindaco di Besana Brianza, dove sono nata io. L’unico sindaco che non si è mai arricchito». Nessun segreto di famiglia, in casa Crippa? «La memoria non può essere d’ingombro. I segreti, i silenzi diventano muri che dividono, bloccano le persone. Anche se su fronti opposti, se si è onesti si può stabilire una relazione. Quello che più mi ha impression­ato nelle testimonia­nze raccolte da Giuseppe Valota, figlio di un deportato a Mauthausen, è la dirittura morale di quelle persone. Che, con il diploma di quinta elementare e una stanza da dividere in otto, non si sono piegati a prendere la tessera fascista. Quella spina dorsale lì oggi è andata perduta». Beh, non aiuterebbe a far carriera. «La cancellazi­one del passato, della memoria, mi volge pazza. La vita non è solo guadagno e felicità. Continuiam­o a essere abitati dalle passioni e dalle pulsioni degli antichi greci, ma i sentimenti che ci invadono da dentro, come la gelosia e il rancore, non sappiamo più gestirli. I fallimenti, tanto, prima o poi arrivano». Perché ha privilegia­to il teatro e si è concessa così poco a cinema e tv? «Forse perché ho un viso poco cinematogr­afico e sono un animale teatrale. Quanto alla tivù, ne ho fatta un po’ all’inizio, con Salvatore Nocita, ma il teatro mi piaceva di più. La qualità, per me, è sempre stata prioritari­a rispetto alla popolarità. Ma la qualità in questo Paese viene premiata poco». E per non uscire dal seminato si è sposata con un regista del calibro di Peter Stein. «Un momento. Non siamo una ditta, la premiata Crippa e Stein. Siamo Peter e Maddalena e, in 28 anni di vita in comune, abbiamo lavorato insieme in appena sei opere. Quando l’ho conosciuto, davanti alla chiesa di Santa Maria della Catena, in Sicilia, ho pensato: “Questo è l’uomo mio”. Ma era come pensare di andare con il Papa. Lui era sposato e non mi filò». Finché…? «Finché non mi scritturò nel Tito Andronico, per il ruolo di Tamora. E s’innamorò di lei. Il vero successo per me non è solo di aver fatto tante cose con lui, ma di averne

superate molte altre: tradimenti, allontanam­enti. A 60 anni, posso dire di essere felice di aver resistito alla tentazione di lasciarlo». Maturando tutto si aggiusta? «Arriva un momento in cui questo amore decantato e distillato matura e tiene molto caldo. Probabilme­nte il segreto è che siamo in due, ognuno con il suo spazio. Non abbiamo nemmeno provato a fonderci in una persona sola». Ma vi riunite sempre a San Pancrazio, il vostro buen retiro umbro: è il suo luogo della memoria? «No. E non lo è nemmeno la mia casa d’infanzia a Montesiro, una vecchia filanda. È ancora nostra, ma è disabitata e abbandonat­a. Il mio luogo della memoria è Milano, perché è cambiata meno rispetto al panorama di Besana Brianza. Però non ho perso i contatti con i vecchi amici, con le compagne delle medie. Si viveva allo stato brado, sempre in gruppo. C’erano le compagnie, a cavallo tra gli Anni 60 e 70. Noi ci riunivamo in un granaio, tra montagne di granoturco. Si discuteva. C’erano le prime battaglie tra ragazzi e ragazze. Ci legammo a una colonia di sardi che lavoravano in una vetreria e che ci ospitarono tutti, un’estate, all’isola della Maddalena, a casa di zia Domeniched­da. Che grande generosità». E il teatro? «Mio padre manteneva la famiglia come commercian­te, ma faceva scuola di teatro alla mensa del salumifici­o Vismara di Casatenovo. Mio fratello Giovanni e io co-

minciammo a recitare alla biblioteca di Besana. Teatro vero, non solo amatoriale. A 12 anni piansi, dopo la mia prima papera, ma decisi che avrei fatto l’attrice». Con Strehler, naturalmen­te. «Risposi a un suo annuncio, quando cercava l’interprete di Anja per Il Giardino dei ciliegi. Eravamo in 400 candidate. Scelse Monica Guerritore, ma non mi dimenticò e, l’anno dopo, ricevetti una chiamata dal Piccolo: “Strehler la vuole per Il Campiello”. Piansi di gioia. Mi presentai al provino per il ruolo di Lucietta e la parte fu mia». Excelsior, 1988: che cosa le ricorda? « Excelsior? 1988? Nulla. Ah, sì: il nudo! Caddi come un luccio della Brianza nella rete di un fotografo che mi era stato presentato da un amico di cui mi fidavo. Non ho problemi a farmi ritrarre nuda, ma voglio decidere io dove, come e quando pubblicare le immagini. L’autore mi fece firmare una liberatori­a dicendo che erano per un giornale di alta fotografia e invece le vendette a una rivista erotica. Mi dispiacque soprattutt­o che l’anno dopo, quando interpreta­i La Lussuria nello Jedermann di Hugo von Hofmannsth­al, al festival di Salisburgo diretto da Peter, la foto riapparve su tutti i giornali. Ma, nella sua signorilit­à, Peter non mi ha mai detto nulla».

«A 60 anni, con mio marito, sono felice di avere superato tante cose – tradimenti e allontanam­enti... – e resistito alla tentazione di lasciarlo»

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 ??  ?? RUOLI IN COMMEDIA In alto, l'attrice con Gianrico Tedeschi nel 1980 nella commedia musicale Irma la dolce. Sotto, nel 2000 a Roma durante le prove de L'Opera da tre soldi, con Stefano Belisari, meglio noto come Elio (delle Storie Tese)
RUOLI IN COMMEDIA In alto, l'attrice con Gianrico Tedeschi nel 1980 nella commedia musicale Irma la dolce. Sotto, nel 2000 a Roma durante le prove de L'Opera da tre soldi, con Stefano Belisari, meglio noto come Elio (delle Storie Tese)
 ??  ?? LA GIORNATA DELLA MEMORIA Maddalena Crippa sul palcosceni­co del Piccolo Teatro di Milano con Debora Villa e Rossana Mola in Matilde e il tram per San Vittore. Testo e regia di Renato Sarti, tratto dal libro Dalla fabbrica ai lager di Giuseppe Valota, in scena fino al 28 gennaio
LA GIORNATA DELLA MEMORIA Maddalena Crippa sul palcosceni­co del Piccolo Teatro di Milano con Debora Villa e Rossana Mola in Matilde e il tram per San Vittore. Testo e regia di Renato Sarti, tratto dal libro Dalla fabbrica ai lager di Giuseppe Valota, in scena fino al 28 gennaio
 ??  ?? «SIAMO PETER E MADDALENA» A sinistra, l'attrice con il marito, il regista teatrale e lirico tedesco Peter Stein. A destra l'attrice interpreta Riccardo II nell'omonima tragedia di William Shakespear­e, per la regia di Stein
«SIAMO PETER E MADDALENA» A sinistra, l'attrice con il marito, il regista teatrale e lirico tedesco Peter Stein. A destra l'attrice interpreta Riccardo II nell'omonima tragedia di William Shakespear­e, per la regia di Stein
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