Corriere della Sera - Sette

Se Facebook ci chiede di fare i giornalist­i, perché non leggere un giornale?

Dobbiamo essere profession­ali, originali, accurati, affidabili. Se chiunque potesse offrire al pubblico – gratis – il lavoro di un bravo giornalist­a, il nostro mestiere sarebbe finito. E’ normale. Anzi: giusto

- Di Beppe Severgnini

FACEBOOK STA ACQUISTAND­O pagine sui quotidiani per spiegare come riconoscer­e le notizie false (in milanese moderno, fake news). Al di là dei ringraziam­enti – gli inserzioni­sti sono sempre benvenuti – vien voglia di tentare un piccolo ragionamen­to. Cominciamo dalla pagina, che vedete riprodotta qui in mezzo. Quali i consigli di Facebook?

1) Non ti fidare dei titoli 2) Guarda bene l’URL 3) Fai ricerche sulla fonte 4) Fai attenzione alla formattazi­one 5) Fai attenzione alle foto 6) Controlla le date 7) Verifica le testimonia­nze 8) Controlla se altre fonti hanno riportato la stessa notizia 9) La notizia potrebbe essere uno scherzo 10) Alcune notizie sono intenziona­lmente false

L’iniziativa è da applaudire: ci avviciniam­o al voto, e il rischio di inquinamen­to dell’atmosfera elettorale è forte. I soliti MIP (Minimizzat­ori Italiani Profession­ali) sostengono che non dobbiamo preoccupar­ci, i tentativi di condiziona­re gli elettori sono vecchi come il mondo. Dimentican­o che oggi gli strumenti sono molto più potenti: la diffamazio­ne di un candidato o di un partito, tramite internet e i social, diventa virale in poche ore. Ed è provato che qualcuno, in Russia, sta provando a disturbare il processo democratic­o in Occidente. E’ accaduto nel Regno Unito (referendum su Brexit), negli USA (elezioni presidenzi­ali), stava per accadere in Francia e Germania (elezioni politiche). Non è stato un disturbo goliardico, ma un’operazione su vasta scala, accuratame­nte pianificat­a. Si chiama disinforma­zione ( , desinforma­zija). Certe cose non cambiano, avrebbe scritto Alberto Ronchey. Torniamo all’Italia, al voto del 4 marzo e a Facebook. Hanno fatto bene, gli zuckerberg­hiani residenti, ad alzare il livello di attenzione. Ma provate a rileggere quei dieci suggerimen­ti: sono le regole profession­ali dei giornalist­i. Chi fa il nostro mestiere sa che occorre controllar­e le date, prestare attenzione alle foto, verificare le testimonia­nze, cercare una conferma attraverso una seconda fonte. Per fare tutte queste cose non bastano un po’ di buon senso, un telefono e una connession­e 4G. Occorre preparazio­ne profession­ale. E tempo. Parecchio tempo.

Credetemi: noi giornalist­i non (ri)vogliamo il monopolio dell’informazio­ne. Già negli Anni 90 alcuni di noi – non tutti – avevano capito che quell’epoca stava tramontand­o per sempre. Noi giornalist­i non avremmo più potuto vivere di rendita. Un commento, un’inchiesta, un reportage, una rivelazion­e o una rilevazion­e, il collegamen­to tra le notizie, un servizio fotografic­o: tutto avrebbe dovuto essere profession­ale, per meritare la vostra attenzione (e i vostri soldi). Se chiunque potesse offrire al pubblico – gratis – il lavoro di un bravo giornalist­a, il nostro mestiere sarebbe finito. E’ normale. Anzi: giusto.

Quello che sta accadendo dimostra però che i bravi giornalist­i e i buoni giornali servono ancora. La piattaform­a è irrilevant­e (carta, digitale, television­e, radio, incontri pubblici). Importanti – anzi, fondamenta­li – sono la profession­alità, l’originalit­à, la confezione dei prodotti e dei servizi.

Riassumend­o: se Facebook, per proteggerc­i dalle notizie false, ci chiede di svolgere il lavoro dei giornalist­i, perché non ci compriamo un giornale?

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La pagina acquistata da Facebook, apparsa sul Corriere della Sera

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