QUESTACITTÀ ÈNELMONDO, NON FUORI DALMONDO
Paolo Baratta, presidente della Biennale, è convinto che non si deve «cancellare la Venezia del Novecento: moderna, all’avanguardia e creativa. Rifarsi solo a un passato distante è un errore»
PAOLO BARATTA HA FINITO per somigliare a questa città: cosmopolita, ironica, colta, liquida e mobile. L’uomo due volte ministro, alla guida della Biennale per il quarto mandato quadriennale, si è scoperto romantico: «In tutti questi anni ho sempre fatto il pendolare con Roma, mai preso casa a Venezia e addirittura cambio spesso albergo. Perché? Perché mi piace costeggiare a piedi il Canal Grande alla sera, partendo dalla stazione ferroviaria. Le calli, il rumore delle gondole, la luce acquatica che cambia e mi seduce a ogni ritorno. È sempre la stessa strada e non è mai la stessa». Non è un po’ troppo sentimentale, il professor Baratta? La città si dibatte tra problemi evidenti: la gestione (e l’occasionale sfruttamento) dei turisti, le grandi navi in laguna, vicende gravi come gli scandali legati al Mose. Cosa pensa Baratta al riguardo? Preferisce non parlarne. Ma Venezia è una seduttrice implacabile. Questo pomeriggio ci regala un sole basso, riflessi color pesca. Le cose sfumano, belle e meno belle.
SIAMO AL TERZO PIANO di Ca’ Giustinian, sede della Biennale, alla finestra di un palazzo che un tempo (con il nome di Albergo Europa) ospitò Giu- seppe Verdi e regalò a William Turner lo scorcio perfetto per le sue vedute. Baratta punta il dito verso l’isola di San Giorgio, da qui simile a una miniatura: «Questa è una delle poche città in cui l’architettura nasce da un atto che fu insieme di arroganza e altruismo. Palazzi magnifici voluti non solo da nobiluomini, ma anche da mercanti senza scrupoli. Eppure l’interesse del singolo e della collettività coincidevano. L’architettura, senza generosità, non è niente».
Venezia, generosa, ha continuato ad esserlo. A modo suo: ha accolto sia i Futuristi che volevano abbatterne (metaforicamente) il côté passatista, cioè in pratica quasi tutto, sia una donnina esile ma tenace come Peggy Guggenheim, che venne qui negli Anni 40 e si recò da un mercante: «Senta, ho con me un po’ di opere d’arte, le vorrei lasciare alla città, dove le posso esporre?».
QUANDO SI PARLA di personaggi che hanno scelto Venezia come patria d’elezione, Baratta si scalda: «Qui le cose o sono eccezionali o non sono. E con il termine ‘eccezionale’ intendo qualcosa che esce dall’ordinario, dal locale. Qualcosa capace di dialogare con il mondo. Giustamente si parla del numero esagerato dei turisti e della fuga dei residenti. Però non dobbiamo fermarci a questo. Bisogna pensare a che cosa mettere accanto al flusso dei turisti, come far crescere la città attirando qui le competenze giuste, nazionali e internazionali».
E LE GRANDI NAVI sul Canal Grande? Baratta se la cava con una bat-
«Bisogna pensare a cosa mettere accanto al flusso dei turisti e come far crescere la città attirando qui le competenze giuste»
tuta: «Quelle sì che sono futuriste! Marinetti non sarebbe mai arrivato a immaginare tanto...».
PRENDIAMO UN MOTOSCAFO, alla nostra destra si para il Seminario Patriarcale, accanto alla Basilica della Salute. «Appartiene al Patriarcato veneziano. A Venezia ci sono tante strutture come questa dove potrebbero trovare posto istituzioni di prim’ordine, italiane e straniere. La Scuola di Sant’Anna come una sede dell’università di Princeton, per fare due esempi. Questa città, un tempo, era un piccolo Stato, con luoghi preposti a ogni funzione, governativa, religiosa, scolastica. Perché non riutilizzare questo patrimonio?».
TAGLIAMO LE ACQUE della laguna, il sole si fa arancione dietro filamenti di nebbia. Andiamo verso il cimitero di San Michele, sull’isola con lo stesso nome. Baratta parla del compositore Igor Stravinsky, molto legato a Venezia, sepolto qui nel 1971 per sua volontà. «Fino a qualche decennio fa tutti o quasi sapevano che Stravinsky, come Ezra Pound e altri intellettuali del Novecento, erano sepolti
qui. Negli ultimi tempi, sempre meno. È come se si cercasse di cancellare la Venezia del Novecento: una città moderna, all’avanguardia, creativa. Oggi molto è cambiato, certo. Ma dimenticare che questa è stata una città moderna, e rifarsi solo a un passato distante, è un errore. Questa città è nel mondo, non fuori dal mondo».
TORNIAMO VERSO il Canal Grande. Un altro palazzo storico, Ca’ Vendramin Calergi. Ci abitò Richard Wagner, il musicista. Racconta Baratta: «Venne qui d’inverno, quando non stava bene. Infatti morirà a Venezia non molto tempo dopo. Il motivo per cui scelse la brutta stagione è un mistero». Accademie, scuole di alta formazione, agenzie? «Le cose qui devono essere il più possibile indipendenti», dice il presidente della Biennale. Baratta si è adoperato per portare a Venezia l’agenzia per l’ambiente e l’ufficio europeo brevetti. «La Serenissima nel 1474 aveva istituito una legge che tutelava le opere di ingegno. Con una politica precisa: fare arrivare le migliori competenze». Sogna un Rinascimento veneziano fondato sulla cultura e sul cosmopolitismo, per dare nuova vita a questo giardino di pietre e acqua? «Guardi, ho visto avvicendarsi sindaci e giunte e mi sento di dire che l’ambizione di risolvere i problemi di Venezia è sempre stata alta. Ma l’impresa è ardua, c’è chi dice irrealizzabile».
PASSEGGIAMO nella zona dell’Arsenale, in calle Paludo, dove resistono colori vivaci e fili di panni stesi a collegare una casa con l’altra. «Da tempo» afferma Baratta «si parla di realizzare un nuovo quartiere residenziale nella zona circostante. Ma non è facile essere concreti. Venezia sfugge». L’istituzione presieduta da Baratta si occupa di arte, architettura, cinema: non solo un laboratorio culturale, anche un cantiere che prova a recuperare aree cittadine e inventarne di nuove. Siamo all’ultima tappa della passeggiata: la Biblioteca della Biennale, ai Giardini. Dice Baratta: «Un luogo dove venire a leggere o a riposarsi. Qui l’architettura ha rispettato la struttura originaria. Venezia merita queste attenzioni. Come altre città, forse di più».
«L’ambizione di risolvere i problemi di Venezia è sempre stata alta. Ma l’impresa è ardua. C’è chi dice irrealizzabile»