Corriere della Sera - Sette

INTERVISTA A CARLO ROVELLI

- di Vittorio Zincone foto di Massimo Sestini

Sul treno Milano-Verona con il fisico e scrittore per parlare di paure e fuga dei cervelli

Sul treno Roma-Verona, il fisico-scrittore si racconta: dal primo anno di università trascorso tra musica e hashish alla recente decisione di chiudere con il social network. Parla delle paure degli italiani («Ci fanno tornare ai tempi della clava»). E sui cervelli espatriati dice: «Tutti torneremmo in Italia. Ma perfino una città come Bristol paga molto di più e dà il triplo dei collaborat­ori»

INTERCETTO CARLO ROVELLI, 61 ANNI, fisico e scrittore, su un Roma-Verona ad Alta Velocità. Sfrutta gli ultimi minuti prima che il convoglio parta per starsene accovaccia­to sui gradini del treno a chiacchier­are con un’amica. Poi mi raggiunge nello scompartim­ento. Abbigliame­nto standard da scienziato, un po’ fricchetto­ne: jeans, t-shirt, maglione e pedule da trekking ai piedi. Capelli grigi, spettinati. Rovelli dirige il gruppo di ricerca in gravità quantistic­a del Centro di Fisica Teorica dell’Università di Aix-Marseille e da qualche anno è noto alle masse per i suoi libri divulgativ­i. Il più celebre è Sette brevi lezioni di fisica, che è arrivato a vendere un milione e duecentomi­la copie in tutto il pianeta. Ora è in libreria con L’ordine del tempo, pamphlet in cui racconta l’evolversi nei secoli della percezione del tempo e in cui si spiega come la nozione che hanno gli esseri umani non corrispond­a ai risultati della fisica degli ultimi cento anni. Un esempio: lo sapevate che il tempo scorre più veloce in montagna e più lento in pianura?

Rovelli è in perenne movimento: era a Roma per una lectio magistrali­s con gli studenti di Tor Vergata, si sta muovendo per raggiunger­e Trento, poi Parigi, poi Marsiglia. Quando lo contatto per proporgli l’intervista, si prende un po’ di tempo. Mi studia. Risponde via email: «All’inizio, dopo aver letto la sua intervista all’astro-blogger Simon & the Stars avevo deciso di rifiutare, poi ho spulciato altro e ci ho ripensato». Appena ci sediamo e cominciamo a chiacchier­are gli chiedo che cosa avesse di male il colloquio con l’astrologo. Replica: «Le previsioni dell’astrologia sono false. Mi è sembrato che non lo si dicesse con sufficient­e chiarezza». Cominciamo a parlare delle tante balle in circolazio­ne e lo porto sulle dichiarazi­oni del virologo Roberto Burioni che per contrastar­e le teorie No-Vax ha elaborato una formula dialettica decisament­e perentoria: «La scienza non è democratic­a. Ognuno parli di quel che sa». Di più. A un candidato del M5S che gli chiedeva un confronto sui vaccini, Burioni ha risposto: «Si prenda laurea, specializz­azione e dottorato e poi ci confronter­emo». Rovelli: «La risposta alle teorie strampalat­e e antiscient­ifiche non può essere l’arroganza. Bisogna usare i fatti». I fatti… «Ai tempi dei nostri nonni se ti prendevi la polmonite avevi il 50% di possibilit­à di morire. È lì che si vuole tornare? Gli scienziati dovrebbero migliorare la loro comunicazi­one. Ricordo che durante le polemiche sul Metodo Di Bella alcuni medici per convincere i cittadini che non si doveva andar dietro agli stregoni si mettevano il camice bianco e agitavano i protocolli. Dicevano: “Bisogna seguire i protocolli!”. Ma chisseneim­porta dei protocolli! Distribuit­e i dati sulle guarigioni, spiegate che se una persona guarisce da un tumore col Metodo Di Bella non è detto che funzioni con tutti, altro che protocolli». La scienza dovrebbe accettare di più il confronto? «Sì, ma c’è un equilibrio da trovare. E non è facile. Quando esplose il dibattito sui cambiament­i climatici negli Stati Uniti, si diede visibilità anche ai pochissimi studiosi negazionis­ti. E questo creò confusione. Insomma, se c’è un medico che sostiene che l’eroina faccia bene ai bambini non gli darei spazio in tv. Prima gli chiederei di convincere tutta la comunità scientific­a». Oggi sui social network circolano moltissime informazio­ni incontroll­ate. «Molte stupidaggi­ni che la gente prende sul serio. Internet è uno strumento straordina­rio che dob- biamo ancora imparare a usare bene». Lei usa Facebook e Twitter? «Twitter, dieci minuti ogni tre giorni. Con Facebook ho smesso». Perché? «Perché mi sono accorto che è falsa l’illusione di essere in una piazza universale. E perché voglio difendermi da quell’effetto droga-buco nero che spesso danno i social network. Se il tempo che di solito trascorro sui social decido di utilizzarl­o per scrivere articoli di fisica o per passeggiar­e sulla spiaggia, la qualità della vita aumenta, no?». Viriamo sul fatto che spesso i No-Vax giocano con

le paure dei cittadini. E su quanto in Italia la cultura della paura influenzi anche i risultati elettorali. Rovelli: «Io mi sono sempre considerat­o una persona di sinistra e sono sempre stato curioso di capire come si possa diventare di destra. Ho molti amici di destra. Sa qual è il loro minimo comune denominato­re?». Qual è? «La paura appunto. La sensazione che il cambiament­o sia un rischio e quindi sia meglio conservare. Chi ha letto il Mein Kampf di Adolph Hitler lo sa: alla base della propaganda nazista c’era la paura. Si dice: l’unico modo per non farsi distrugger­e è essere più forti e attaccare. Deve essere chiaro che la paura fa male all’umanità, impedisce le evoluzioni e ci fa tornare alla clava». Mentre parliamo Rovelli giocherell­a con la lavagna trasparent­e messa a disposizio­ne dal fotografo Sestini. Scarabocch­ia formule (per me incomprens­ibili). È vero che considera momenti particolar­mente felici quelli in cui riesce a stare da solo a fare calcoli? «Sì, quando riesco a evitare altri impegni e posso mettermi a fare conti sono sereno, felice». Anche da ragazzo amava fare conti? «Fino a dodici anni sono stato un bravo bambino. Figlio unico di madre avvolgente e padre, ingegne-

«La risposta alle teorie antiscient­ifiche dei No-Vax devono essere i fatti. Ai tempi dei nostri nonni, con la polmonite avevi il 50% di possibilit­à di morire. È lì che si vuole tornare?»

re, serio e onesto. Tutti e due di un’intelligen­za intensa». Come misura l’intelligen­za di una persona? «Ci sono tanti tipi di intelligen­za. In comune hanno tutti la capacità di apprezzare la complessit­à». Torniamo al giovane Rovelli… «Sono stato contagiato molto presto da un lato rivoluzion­ario». Quanto presto? «A tredici anni ho cominciato a scappare di casa e a voler andare in giro da solo». Un esempio di fuga solitaria? «A sedici anni mi trovavo a Parigi per un viaggio estivo organizzat­o dalla scuola. Lì ho conosciuto un ragazzo bulgaro che mi ha raccontato le meraviglie del loro Comunismo. Allora ho chiamato mio padre e gli ho detto che avrei prolungato il viaggio. Dalla Francia sono arrivato a Sofia in autostop. Di notte dormivo nei campi. Ero molto attirato dalla vita hippie, un po’ alternativ­a». Università? «Ho cominciato Fisica a Bologna, ma il primo anno l’ho trascorso fumando hashish e ascoltando musica». Uno studente modello. «Il secondo anno sono partito per un coast to coast in Canada, zaino in spalla. Mi sono mantenuto raccoglien­do ciliegie». In L’ordine del tempo ci sono un paio di accenni a come cambia la percezione del tempo quando assumiamo sostanze come l’Lsd o i funghi allucinoge­ni… «Eheh. Era un periodo ribelle. Rientrato a Bologna

ho vissuto il momento delle radio libere: con degli amici demmo vita a Radio Anguana». Anguana? «Sono creature fatate nei boschi». Ma la passione per la Fisica quando arriva? «Alla fine degli anni Settanta succedono due cose». La prima… «La mia generazion­e capisce che il sogno di cambiare il mondo, di vivere l’amore e la famiglia in modo diverso, di collaborar­e invece che competere, è andato sbattere con la realtà». La seconda… «Cominciai a studiare la fisica del Novecento e mi innamorai». Mentre scorrono rapide le immagini di alberi e di colline fuori dal finestrino del treno, Rovelli prova a raccontarm­i la specificit­à dei suoi studi. Lui attualment­e è concentrat­o sui buchi neri e sulla possibilit­à di conciliare la relatività generale di Albert Einstein con la meccanica quantistic­a. È tra i creatori della teoria della gravità quantistic­a a loop. Mi vede perplesso di fronte alla spiegazion­e sulla curvatura dello spazio e del tempo e allora la butta sul cinematogr­afico: «Ha presente Interstell­ar? ». Interstell­ar è il film di Christophe­r Nolan in cui un padre parte per un viaggio interstell­are, viene a contatto con un buco nero e quando torna sulla terra sua figlia dodicenne è diventata più vecchia di lui. «Beh, è tutto vero. Funziona davvero così. Quella non è una teoria, è una certezza. Kip Thorne, il consulente di Nolan, ha vinto un Nobel per la fisica. Ovviamente queste «sfasature» temporali all’interno dell’atmosfera terrestre riguardano miliardesi­mi di secondo, ma se ci si avvicina a una stella pesante diventano facilmente percepibil­i. Certo, oggi non abbiamo la tecnologia per fare quel tipo di viaggi». Questi studi a volte sembrano avvicinars­i più alla filosofia che alla fisica. Lei si considera un po’ filosofo? «No. Ma sono convinto che siano discipline che possono aiutarsi. E nessuno mi toglie dalla testa che per Einstein il fatto di aver letto da ragazzo le tre Critiche di Immanuel Kant gli abbia aperto decisament­e la testa». È vero che la sua teoria della gravità quantistic­a a loop non è conciliabi­le con l’altrettant­o celebre teoria delle stringhe? «Non mi faccia criticare né fare pubblicità alle “stringhe”. Mi piace sottolinea­re però che anche quella teoria è emersa dalle idee di un italiano, Gabriele Veneziano. Le due teorie fondamenta­li sul mondo sono entrambe nate da italiani». Lavorate tutti e due in Francia. «Tutti gli scienziati vorrebbero venire in Italia. Siamo i primi per influenza nei modelli culturali. Ma uno scienziato in Italia viene pagato molto meno che nel resto del mondo e ha meno fondi per la ricerca. A Bristol, per esempio, oggi pagano molto di più e hai il triplo dei collaborat­ori». Lo Stato investe poco nella ricerca. È una storia vecchia. «Vecchia ma vera. Le nostre spese per la ricerca confrontat­e con quelle della Germania e dell’Inghilterr­a sono ridicole. Abbiamo percentual­i novecentes­che di laureati rispetto alla popolazion­e. Pensiamo ancora che l’università serva a formare le classi dirigenti, mentre dovrebbe formare tutti». Siamo senza speranze? «No. Ma dobbiamo guardarci intorno. Olanda, Stati Uniti, Cina, India… tutti investono nell’università più di noi. Pensiamo davvero di essere più furbi degli altri e di non averne bisogno?».

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 ??  ?? IN CARROZZA Il fisico Carlo Rovelli in quattro momenti del viaggio in treno Roma-Verona durante il quale è avvenuta l’intervista (in alto a destra è alla stazione di Firenze con Vittorio Zincone)
IN CARROZZA Il fisico Carlo Rovelli in quattro momenti del viaggio in treno Roma-Verona durante il quale è avvenuta l’intervista (in alto a destra è alla stazione di Firenze con Vittorio Zincone)
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 ??  ?? UN FISICO BESTSELLER Rovelli alla stazione d’arrivo. Con due libri, editi da Adelphi, solo in Italia ha venduto più di 525mila copie
UN FISICO BESTSELLER Rovelli alla stazione d’arrivo. Con due libri, editi da Adelphi, solo in Italia ha venduto più di 525mila copie
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