CRITICO ROTANTE
I piatti gentili di Jin portano la Corea a Milano
IL CENTRO DI MILANO, una cucina etnica, arredi minimal. Tre indizi che potrebbero far pensare all’ennesimo locale con molta tendenza e poca anima. Invece Bab, piccolissimo ristorante coreano in via San Marco, di anima ne ha molta. Merito del filosofico Jin, titolare di Seoul, attento e scrupoloso, che racconta ogni piatto con la cura e la passione di uno chef stellato. In cucina c’è la moglie Emma. Il menù è contenuto, ma con diverse curiosità. Gli ingredienti sono tutti scelti: carne piemontese, verdure di stagione a chilometro zero, tofu e spezie. Da provare i mari, rotolini di manzo, e i mandu, tipici ravioli coreani. Tra i contorni merita il gaji, a base di melanzane con salsa di soia. Gli amanti del piccante avranno soddisfazioni dalle zuppe, perfette nelle giornate di pioggia. Tra queste la più interessante è nero, una crema di soia con carne e verdure. Va detto: non è il ristorante ideale per una cena romantica, ci sono solo tre tavoli con sgabelli e il bancone. È perfetto invece per una pausa pranzo informale, ma non frettolosa. C’è anche un menù ad hoc, di carne o vegetariano, con ramion ( nome coreano dei noodles, ndr), insalata e due kimbab: bocconcini di riso e alghe, versione coreana dei maki giapponesi. Sono fatti con pesce, carne, manzo, pollo o bacon, e verdure. I più buoni sono quelli di riso nero. Il dessert di gelato con fagioli rossi è per i più arditi. Per tutti, da bere ci sono il tè verde con riso integrale e la birra coreana.
ALL’INGRESSO SI VIENE ACCOLTI da una frase di Ippocrate, scritta su una lavagna con gessetti colorati: «Una malattia che non può essere curata con il cibo non può essere curata nemmeno con la medicina». Perché, come spiega Jin, «in Corea la cucina può diventare una cura. Esistono veri e propri “cibi medicinali”, pietanze preparate con fini terapeutici». I piatti di Bab, però, si possono gustare senza prescrizione medica. Anche in versione take away.