DERBY POLITICO
Terza Repubblica: sì o no?
A cosa assomiglierà la Terza Repubblica nata dal voto del 4 marzo? Alla Prima Repubblica (1946-1994) o alla Seconda (1994-2018)? Un giornalista del Corriere, che ha iniziato come cronista con la Prima, punta sulla Seconda. Il collega più giovane, che ha esordito con la Seconda, sceglie la Prima
PAOLO CONTI Caro Tommaso, eccoci qui ad almanaccare (avrebbe detto il sommo Alessandro Manzoni) di Terza Repubblica. Magnifica occasione per chi, come me, da cronista sul campo dal 1975 ha attraversato una considerevole parte della Prima e l’intera Seconda. Non c’ero, ovviamente, agli albori della Prima. Però ho visto i terremoti e le passioni che hanno portato alla Seconda. Ti dirò che, rimettendo tante pedine politiche e narrative al loro posto, c’è da augurarsi che la Terza Repubblica si ispiri alla Seconda per la voglia di girare pagina. Nel 1994 assistemmo alla dissoluzione della Dc e del Psi: nei primi vent’anni del mio lavoro, erano stati due dei tre piloni del Mondo Politico di
Riferimento. Nel 1989 era crollato il sistema comunista, minando subito il Pci (il terzo pilone): dovette, lo sappiamo, cambiare più nomi e più vesti. Sarebbe salutare se il panorama 2018 esprimesse la stessa fiducia di allora. Quando si ripensa al marzo 1994, ci si concentra sulla maschera di Berlusconi, che lui ha perpetuato fino a oggi. Ma si mette da parte il meglio: la percezione di un orizzonte rinnovato. Poi le cose sono andate come sono andate. Però oggi si riparte, e lo spirito con cui si innesta la marcia è essenziale.
TOMMASO LABATE Ti sembrerà strano, caro Paolo. Ma spero con tutto il cuore che quella “Cosa” (oddio, così sa troppo di post Pci-Pds-Ds) nata dopo il 4 marzo assomigli di più alla Prima Repubblica che alla Seconda. Quando ho iniziato a frequentare il Palazzo nel 2004, all’epoca facevo lo stagista al Riformista di Antonio Polito, i protagonisti della Seconda Repubblica – nata ch’ero al liceo – non mi davano alcun brivido. Spogli del peso delle ideologie cadute insieme al Muro e a Tangentopoli, i protagonisti di quella fase mi sembravano alberi senza foglie. Invece, per quanto distanti dai miei orizzonti culturali di riferimento, nelle pause dalla caccia di notizie passavo il tempo con Ciriaco De Mita (alla Camera) e Francesco Cossiga (al Senato), che vedevo in tv da bambino. Avevano una chiave per leggere
«Sarebbe salutare se il panorama 2018 esprimesse la stessa fiducia del 1994: la percezione di un orizzonte rinnovato»
«Nel ‘94 c’era bisogno di gambe nuove su cui far correre nuove idee. Invece, a conti fatti, le gambe c’erano, le idee no. Tutto un grande “boh”, la Seconda Repubblica»
il mondo, anche se non era più il loro, che i frontmen della Casa delle Libertà e del centrosinistra sembravano non avere. Hai ragione, l’orizzonte era rinnovato. C’era bisogno di gambe nuove su cui far correre nuove idee. E invece, a conti fatti, le gambe c’erano, le idee no. Come declinare la globalizzazione? Come rispondere ai nuovi processi produttivi? Come proteggere il lavoro? Come rifondare le relazioni industriali? Tutto un grande “boh”, la seconda Repubblica. A volte penso che, tolto il fatto che non si fumi più nei locali pubblici e che siamo obbligati a mettere la cintura quando guidiamo, non sia rimasto nulla. Gli Usa sono diventati protezionisti, la Cina tifa per la globalizzazione e noi, in fondo, solo il codice della strada abbiamo cambiato…
PC Una delle caratteristiche della Seconda Repubblica era un contrappasso. Quanto la Prima Repubblica diffidava intimamente della tv, tutta la Seconda (dai vagiti alla morte) ha agito “in diretta”. Aspetto essenziale, per chiunque si senta in sintonia con la contemporaneità. Ecco un altro motivo di ispirazione per la Terza Repubblica: il collegamento con i nostri tempi. Lo so, c’è l’argomento del Movimento 5 Stelle, dei Casaleggio, dell’onnipresenza della Rete, dei dubbi che ne possono giustamente nascere. Ma nessuno può pensare di governare,
a un passo dal 2020, senza sintonizzarsi col futuro. Qui, la Seconda Repubblica fu imbattibile. Basterebbe il duello tra Silvio Berlusconi e Achille Occhetto, condotto da Enrico Mentana la sera del 23 marzo 1994, che decretò il tramonto di un mondo (un intimidito Occhetto in completo marroneUrss) e la nascita di quello nuovo (un effervescente Berlusconi in blu-Usa). Fu grazie anche alla istintiva simpatia con i media che la Seconda Repubblica cancellò la Prima. Insieme alla tempesta giudiziaria, fu il grande motore di un addio.
TL Tutto vero, Paolo. La Seconda Repubblica è stata il contenitore spaziotemporale dei leader e della tv. Secondo me, oggi, siamo alle prese con una fase diversa. Tornano le idee, arretrano i leader. Sopra la cartina dell’Italia divisa a metà non ci sono le facce di Salvini e Di Maio. Che piaccia o meno, là sopra ci sono gli orizzonti di due pezzi di Paese che si muovono a velocità diversa. La paura di chi arriva da fuori, là dove ci sono barlumi di prosperità; la voglia di cambiare tutto, invece, là dove c’è disperazione. Se ci pensi bene, siamo nelle mani di un gigantesco voto di opinione a cui la tv e la Rete – quest’ultimo, ahinoi, spesso senza controllo – danno anima, corpo, voce.
PC Un’altra pagina scritta dalla Seconda Repubblica è stata l’Epifania
«La Prima Repubblica diffidava intimamente della tv, tutta la Seconda ha agito “in diretta”, collegata ai tempi»
«La Seconda è stata il contenitore spaziotemporale dei leader e della tv. Ma oggi siamo in una fase diversa: tornano le idee, arretrano i leader»
dell’Alternanza. Fino a quel 1994, il Fattore K, inventato dal grande Alberto Ronchey nel 1979 per spiegare il mancato ricambio delle forze di governo in Italia (il legame Pci-Mosca, ovviamente), bloccava tutto. Nella Seconda Repubblica accadde ciò che era ovvio per tante democrazie: l’avvicendamento al Potere. Il centrosinistra tornò a Palazzo Chigi due volte con Romano Prodi, oggettivamente meno carismatico di Berlusconi. La riprova che l’Italia era già allenata alla ginnastica dell’alternanza. L’averlo scoperto lo dobbiamo alla Seconda Repubblica.
TL A volte penso, caro Paolo, che l’elettorato sia complice silenzioso di chi governa meno oculatamente. Il garantire soldi a pioggia dagli Uni porta voti e manda la baracca in malora. Poi arrivano gli Altri,
«La Terza Repubblica non prenda però i vizi della Seconda: l’eccesso di protagonismo, la leggerezza verso la forma partito»
«L’aver distrutto i partiti è stato un crimine contro la democrazia perpetrato dai loro stessi dirigenti»
fanno le formiche, riassestano le finanze e vengono mandati a casa. E quindi tornano gli Uni… Alternanza sì, ok. Ma che non sia così.
PC Fin qui, Tommaso, ho proposto un possibile elogio della Seconda Repubblica. Sarebbe bene che la Terza però ne evitasse i vizi. L’eccesso di protagonismo. La debolezza verso un clientelismo decadente (Nani e Ballerine). L’eccesso di fiducia verso la leggerezza della forma partito. La gestione duratura del potere impone presenza e legami sul territorio. I due vincitori del 4 marzo 2018, Movimento 5 Stelle e Lega, hanno ritrovato il sentiero che porta alla base. Dunque, ben venga l’entusiasmo iniziale della Seconda Repubblica ma non l’arroganza finale: il fatale errore di reputarsi autosufficiente. Un conto è la
fiducia nei media e nella Rete. Un conto è guardare in faccia chi ti vota. Solo così (all’antica) capisci chi sei tu politico/a per loro. Cioè per noi, elettrici ed elettori.
TL Be’, caro Paolo. Qua c’è il rischio che gli ultimi minuti del nostro derby si trasformino in un’amichevole. Perché anche io credo che la Terza Repubblica debba allontanarsi dai vizi della Prima e della Seconda. Tu parli di leggerezza verso la forma partito. Ecco, d’accordo con te faccio un passo in avanti: penso che l’aver distrutto i partiti sia stato un crimine contro la democrazia perpetrato dai loro stessi dirigenti. In fondo, se ci pensi, la tecnologia avrebbe offerto ai partiti un’opportunità storica. Ricordo, all’epoca in cui facevo lo studente universitario, delle grandi assemblee del centrosinistra a cui partecipava Ettore Scola. Per la sezione Ds di Piazza Verbano, a Roma, Scola era un militante esemplare. Non mancava mai. Pensavo, a volte, «ma quando Scola sarà più vecchio e magari non potrà muoversi da casa, come farà questa comunità ad andare avanti senza di lui?». Scola non c’è più. Ma i vecchi militanti, grazie alla tecnologia, oggi avrebbero potuto partecipare alla vita pubblica dei circoli e delle sezioni anche stando a casa. E questo succede, ahinoi, quando sono quei luoghi, ad essere scomparsi. Attenzione, quando penso alla tecnologia applicata alla vita dei partiti non penso alla democrazia diretta. Penso a un’altra parola: partecipazione. Terza Repubblica o no, ne abbiamo tutti un gran bisogno.