Corriere della Sera - Sette

INTERVISTA CLASSICA - QUESTO NON LO SCRIVA

«Il teatro è una piccola rappresent­azione del nostro delirio politico», dice l'attore e regista. A 7 spiega la bravura di Beppe Grillo, plaude le capacità interpreta­tive di Salvini, rilegge la caduta di Renzi. Poi sintetizza: «Shakespear­e aveva capito tut

- di Edoardo Vigna

Gabriele Lavia: «Prima del voto avremmo dovuto rileggere Re Lear »

È seduto sul divanetto in velluto rosso di un tavolino del caffè Pepino di Torino. Gabriele Lavia è uno dei grandi attori e registi del teatro italiano: è stato Amleto e Macbeth, Edipo e Galileo. Ora dirige e interpreta, nell’adiacente teatro Carignano, una splendida messa in scena: Il padre, capolavoro di August Strindberg del 1887 che racconta il dramma di una famiglia borghese con lo scontro finale fra un marito – capitano di cavalleria – e la moglie. È in anticipo di mezz’ora all’appuntamen­to (io solo di un quarto d’ora): non mi è mai capitato in tanti anni di interviste. Prima di avvicinarm­i a lui, al banco colgo la conversazi­one di cinque ragazze sul risultato delle elezioni: «Ditemi chi li ha votati!», alza la voce una di loro, evidenteme­nte elettrice del Pd. «Mi sembra di rivivere la disfatta del ’94, quando vinse Berlusconi», aggiunge, sconsolata. È un terremoto, commento con Lavia, ci vorrà tempo per metabolizz­arlo. Naturalmen­te, partiamo da qui. Lei non guarda mai allo spettacolo della politica come fosse una grande rappresent­azione teatrale? «In realtà è il teatro a sembrarmi una piccola rappresent­azione del nostro delirio politico. Di questa enorme lotta diventata caos. “Caos” viene dal greco, vuol dire “spalancato”, “senza ordine”. O, come dicevano a Roma quando il

cinema apriva le porte e tutti entravano correndo, “Annamo, a li mejo posti!”. Il suo contrario è “cosmos”, altra parola greca, che vuol dire “ordinato”, “abbellito”. Nella nostra vita politica vediamo un disordine da cui pare non si riesca a uscire, e nemmeno a trovarne il bandolo. I 5 Stelle sono di destra? Sono di sinistra? Anche per loro aveva ragione Giorgio Gaber! Sono di centro? E la Lega, di che cos’è? Esiste il Partito Comunista, o qualche rammemoraz­ione di esso? Il Pd è la Dc, di nuovo? Non lo sanno nemmeno loro. Ma si deve passare dal caos all’ordine del cosmos ». Come si fa? «Bisogna studiare. Cosa cambia, tra l’uno e l’altro? L’inquadratu­ra. Il punto di vista. È come quel quadro meraviglio­so di Holbein, Gli Ambasciato­ri. Per vedere il vero senso del quadro, non lo devi guardare di fronte, ma ti devi mettere di lato – alla tua destra – in modo che quella macchia strana tra i due ambasciato­ri sia visibile per ciò che è: un teschio. Nessuno capisce come il geniale pittore di Enrico VIII abbia avuto questa folgorazio­ne. Questa tecnica si chiama “anamorfism­o”. Ora viviamo in un mondo anamorfico, dobbiamo metterci nella posizione giusta Come fa Amleto: “Qualcosa è marcio nello Stato di Danimarca”. Al posto di “Danimarca” uno ci potrebbe mettere qualunque altro nome e andrebbe bene lo stesso... Tutto il potere, ci dice, non è che una rappresent­azione marcia». C’è del marcio in Italia. Poteva essere uno slogan per le forze politiche che hanno fatto leva sulla rabbia degli elettori. «C’è rabbia, però a volte credo che la gente si voglia dare la zappa sui piedi... Ma io dico così perché il mio mondo è morto. Non c’è più». In che senso? «Io sono sempre stato di sinistra. Ma sinistra-sinistra! Ho sempre votato per quello che era il Partito Comunista. L’ultima volta, ho votato per il Pd ( questa volta non ha votato, con rammarico, perché in tournée, ndr). Per tradizione. Certo, il Pd non è più di sinistra, per una evoluzione storica, ma l’uomo invecchian­do è difficile che evolva... L’altro giorno è venuto a teatro Achille Occhetto ( segretario Pci e poi Pds dall’88 al ’94, ndr). Mi ha abbracciat­o. Ci siamo detti: “È finito tutto!”». Ma il “suo mondo” com’era? «Il mio era il mondo rappresent­ato da Giorgio Strehler. Il più grande regista della storia del teatro. Ho visto le prove di tutti i suoi spettacoli. Aveva un’amicizia particolar­e per me, abbiamo parlato a lungo, a volte». Strehler con Paolo Grassi nel ’47 fondò a Milano il Piccolo Teatro. «Paolo Grassi dopo ogni mio spettacolo – veniva a vederli tutti – mi mandava una lunga lettera di compliment­i e incoraggia­menti. Alla fine, ecco la cosa magnifica, scriveva i suoi suggerimen­ti: “Ora mi permetto: punto 1, punto 2... punto 65…”. Tutto ciò che secondo lui avrei dovuto rivedere. Ma io ero un ragazzo, lui era Paolo Grassi! E con che civiltà si rivolgeva a me! Lui e Strehler avevano un’idea morale, innanzitut­to, e politica, precisa: il teatro serve a migliorare la società in cui si manifesta. Come? Rappresent­ando, di fronte agli occhi di questa società, se stessa. Del resto, così è nato il teatro, nel popolo di pensatori che furono gli antichi greci. Questo è il vero teatro. Shakespear­e faceva vedere, davanti a una piccola società di corrotti e assassini, l’assassinio e la corruzione. Ecco il profondo sentimento politico e morale del mio mondo: e dico “politico-morale” perché la politica non può essere disgiunta dalla morale altrimenti non è politica, cosmos, ma è caos, è a li mejo posti ». Un teatro che rappresent­i la società. Fondatore/garante del primo partito d’Italia, il Movimento 5 Stelle ora a guida Di Maio, è un attore: Beppe Grillo. «Anni fa, in un suo spettacolo, faceva una mia imitazione nel Riccardo III. Da farsela addosso dal ridere! Mi imitava pronuncian­do la battuta: “Il mio regno per un cavallo”!». Com’è lui? «Una persona intelligen­te e spiritosa. Ha preso una strada diversa dalla mia, ma non mi sento di dare giudizi. Però il suo è un modo un po’ troppo esasperato, gridato di fare

«La maschera di Berlusconi è quella di un grande attore, come può essere quella di Buster Keaton. Grande maschera, fissa, anche inquietant­e»

politica. Non si può sempre strillare, sia pure con grandissim­a abilità. Ma mi è evidente tutto il profession­ismo d’attore che c’è dietro il suo modo di parlare, di muovere le mani: prima la destra, poi la sinistra, mai sempre una come i dilettanti, sempre al tempo giusto come un attore consumato, perché lui è un attore consumato. Posso permetterm­i di dargli solo un consiglio? Ora è un po’ troppo, e si vede. L’attore più grande è quello che non si vede. Ma tanto non appartiene al mio modo di vedere il mondo. Ormai la mia visione del mondo appartiene a me, forse a Occhetto. Ho 75 anni, sono troppo vecchio!». L’altro vincitore è Matteo Salvini. Come lo vede, nel teatro della politica? «L’ho conosciuto personalme­nte. Quando parla di politica mi è antipatico, nella vita invece è simpatico, buono e, a suo modo, timido. Una volta, a una trasmissio­ne tv, gliel’ho detto: “Perché quando fa politica recita la parte dell’antipatico?”. Evidenteme­nte ha scoperto, come Grillo, che la politica gridata vince. Bravo!, allora». Ottima interpreta­zione anche la sua, quindi. «Io però, con buona pace di Salvini, credo che il nostro Paese abbia una grande fortuna: subiamo la meraviglio­sa violenza antropolog­ica della migrazione. La nostra orribile, brutta razza col culo basso è destinata a migliorars­i attraverso la dolorosa – ogni cambiament­o lo è – e felice migrazione, mai finita, dall’Africa, terra da cui viene l’Homo Sapiens. La razza sarà migliorata. Ci metteremo tanto tempo. Quando sento dire “dobbiamo regolarizz­are…”. Ma cosa vuoi regolarizz­are! È come regolarizz­are gli spermatozo­i! Noi siamo più piccoli degli spermatozo­i rispetto all’universo! Non la può fermare nessuno». E Berlusconi? Pienamente dentro la metafora teatrale, si è appena definito «il regista del centrodest­ra». «Di Berlusconi tutto si può dire, tranne che non abbia saputo fare la sua profession­e. Da un punto di vista antropolog­ico è un fenomeno. La sua è la maschera di un grande attore, come può essere la maschera di un Buster Keaton ( celebre attore del cinema muto americano, ndr). Grandi maschere, fisse, anche inquietant­i. Però è innegabile, è una forza. Non so che vitamine prenda, ma certo devono essere delle belle bombe! L’ho conosciuto, moltissimi anni fa: voleva che mi occupassi del suo teatro, il Manzoni, a Milano. È una persona gentilissi­ma, molto corretta. Ricordo che gli diedi anche un consiglio...». Quale? «Andò così. Quando risposi di no alla sua proposta, aggiunsi: “Che vuole, la vita è fatta di treni che si perdono”. Lui, di rimando: “Un treno si può perdere, un volo interstell­are no!”. “Pazienza! Però vorrei suggerirle una cosa: nei suoi telegiorna­li metta il controluce.” “Il controluce?

Che cos’è?”. Spiegai: “Sa qual è la differenza tra la pornografi­a e l’erotismo? La pornografi­a ha la luce davanti, l’erotismo ha la luce dietro. Lei vuole essere pornografi­co o erotico?”. “Erotico!”, rispose. E fece mettere il controluce al tg. Chissà se se lo ricorda». E la caduta di Renzi? È grande o piccola? Una tragedia vera? «È una grande caduta. Perché? Renzi ha commesso un errore. Ma piccolo, eh! Ha personaliz­zato il referendum, e in questo Paese tutti desiderano mandare via tutti! Perché? Non si sa. “Intanto li mandiamo via”. Shakespear­e la sapeva più lunga di noi: “Cinna! Cinna! Ammazzatel­o! Lui è Cinna, il congiurato!”. ( Lavia recita queste battute dal Giulio Cesare, ndr). “No, no, io non sono Cinna il congiurato, sono Cinna il poeta!”. “Eh va be’, allora ti ammazziamo per i tuoi cattivi versi!”. Nella folla, le persone non capiscono più nulla. Tra “Sì” e “No”, questo Paese vota sempre “No”. Perché bisogna ammazzare Cinna! Ma io sono il poeta! Non importa! Ce l’ha spiegato così bene Shakespear­e, l’uomo probabilme­nte è fatto in questo modo. Lui ha commesso un errore: piccolo, però determinan­te». Cosa le ricorda la rivalità personale tra Renzi e D’Alema, da cui entrambi sono usciti sconfitti? «Credo che tutti e due avessero delle ragioni ideologich­e – al di là di antipatie personali, che posso anche giustifica­re, da una parte e dall’altra. Due galli in un pollaio non ci possono stare. I risultati dicono che è stato un errore. Ma rimanere uniti è sempre faticosiss­imo. Io sono sposato: è una guerra! D’altra parte uno dei filosofi più grandi, Eraclito da Efeso detto “l’oscuro”, diceva: “en diaferon eautò”, “Uno diviso in due è se stesso”, uno portatore del doppio. Nel momento in cui non c’è la tua contraddiz­ione all’interno di te, tu sei morto». Diceva che il suo mondo è morto: e il teatro? «Il teatro è la mia vita. Ma ormai vince la burocrazia». In che senso? «Le faccio io una domanda: in quale parte del teatro fac- ciamo il teatro?». Sul palcosceni­co... «...e in platea. “Sul” palcosceni­co e “in” platea. Due cose apparentem­ente semplici, ma di profondità abissale: perché “sul” e “in” creano l’abisso. A un certo momento però è stato deciso che tutta questo non fosse importante quanto l’amministra­zione. E l’ufficio, anche se esiste perché c’è qualcuno sul palcosceni­co e qualcuno in platea, ama se stesso. Chi sono i poveracci di questa storia? Gli attori. Negli uffici hanno quindici mensilità; l’attore, che è un elemento infimament­e sottopagat­o – lasci perdere che io sono vecchio e un pochino più pagato – che lavora per poco tempo all’anno. Adesso vogliono anche fare il contratto a intermitte­nza, nel senso che se tu lavori una settimana in un teatro e poi hai tre giorni di buco, non ti pagano quei tre giorni. Tutte le conquiste dei lavoratori di questa categoria di discrimina­ti pezzenti che sono gli attori non esistono più». In fondo il quadro ricorda ciò che molti italiani pensano sia successo nella società: l’avvento di burocrati/politici potenti che hanno preso il sopravvent­o sulla gente. «Non c’è dubbio, è così. Nel mio mondo, Paolo Grassi si sarebbe ribellato a una cosa del genere». Qual è il suo ricordo più bello, del suo mondo? «Il Re Lear, al Piccolo, con Strehler, ’72. Aveva rinviato la prima per mesi, non si andava mai in scena. Non eravamo pronti! Non sapendo più a che santo votarsi, alla prova generale finse un colpo apoplettic­o». Davvero? «Scappò nella hall del teatro fingendo di morire. Punto. Nessuno lo seguì. Punto. Tranne il barista del Piccolo, che andò e vide che lui guardava se c’era qualcuno che l’avesse seguito. Poi entrò in teatro e disse: “Porco D..”. Andava in chiesa, ma era un grande bestemmiat­ore. “Potevo morire”. S’era accorto che nessuno, nemmeno i più fidi, l’aveva seguito. Ma aveva ragione lui, non eravamo pronti». Che successe?

«Nel 1972, Strehler continuava a rimandare la “prima” del Re Lear. Non eravamo pronti! Non sapendo più come rinviare, scappò fingendo un colpo apoplettic­o. Ma nessuno lo seguì!»

«La prova generale cominciò alle sette di sera e finì alle sette del mattino dopo. E avevamo provato solo il primo atto dei cinque del Re Lear. Andammo a casa convinti che sarebbe stato un disastro. La sera, lo spettacolo comincia sotto i peggiori auspici. Il sipario non si voleva aprire. Io stavo in quinta con Beppe Pambieri, ci sembrava un segno del destino. Poi vidi il dito del direttore di scena che riuscì a sganciare il sipario. Finalmente entrò Tino Carraro-Lear. Doveva dire: “Noi oggi a tutti vogliamo rendere nota la nostra lungamente ponderata decisione. La mappa, qui! Sappiate che abbiamo deciso di dividere il nostro regno in tre parti”. Una per ognuna delle figlie. E Tino disse: “Abbiamo deciso di dividere il nostro regno in …”. Non si ricordava il tre! Finché, finalmente, parlò: “In due!”. No!! Dissi a Beppe: “Andiamo in camerino. Siamo noi che portiamo sfiga!”. Siamo scappati, dicendo: “Non riusciremo mai a finire”». Come andò? «Fu un trionfo. La fila alla biglietter­ia da via Rovello arrivava al Duomo. Senza quel teatrino, Milano non sarebbe Milano. Sì, magari venderebbe moda, ma è lì che si è sviluppata la sensibilit­à della città». Re Lear cosa direbbe al nostro mondo, oggi? «Il protagonis­ta è il re, è ovvio, ma lui è la pazzia del mondo. Il vero protagonis­ta è Edgar, che rappresent­a il percorso per raggiunger­e la grande saggezza, che è nell’ultima battuta del Re Lear, che dice Edgar: “Non pretendere­mo di essere eterni”. La dice lunga… Saper trovare il momento in cui fare il famoso passo indietro. Ma l’uomo commette la hybris di credersi eterno. È difficile fare il passo indietro. Se qualcuno l’avesse letto prima di queste elezioni… Però ecco che ora in Italia c’è già qualcun altro che crede di essere eterno, e intravvedi­amo qualcuno a cui potremmo consigliar­e di leggere il Re Lear con attenzione». E se da regista dovesse consigliar­e un testo che possa, come dicevano Strehler e Grassi, parlare alla società? «Cechov. Ha raccontato non la storia di personaggi, ma la fine di mondi. Le tre sorelle sono la fine di un mondo, come Il giardino dei ciliegi e Il gabbiano. Guardando i tg, poi, ho visto la distruzion­e delle guerre: fra le macerie, poche donne e bambini che giocavano. Ho pensato che dovevo fare qualcosa di straordina­riamente arcaico e contempora­neo. Ho scelto Le troiane di Euripide, intitoland­ole Le donne sconfitte. È un lamento di donne, ma avevo bisogno di qualcosa per arrivare in modo speciale al cuore della gente. Così ho chiesto agli allievi dei licei classici di Firenze e area metropolit­ana e ai loro insegnanti, di tradurre il testo. Siamo arrivati a una versione scandalosa­mente contempora­nea. Contiamo di metterla in scena per la fine dell’anno. Sarà magnifico».

«Guardando le guerre sui tg, ho visto il dolore delle donne. Ho deciso di fare Le troiane di Euripide con un testo tradotto dagli allievi dei licei classici di Firenze. Sarà magnifico!»

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 ??  ?? DRAMMA STORICO Lavia nel Riccardo II di Shakespear­e in scena al Teatro Romano di Verona nel 1996. Con lui, l'attrice Valentina Sperli
DRAMMA STORICO Lavia nel Riccardo II di Shakespear­e in scena al Teatro Romano di Verona nel 1996. Con lui, l'attrice Valentina Sperli
 ??  ?? EDIZIONE INDIMENTIC­ABILE Il Re Lear al Piccolo Teatro, 1972: in alto, il regista Giorgio Strehler (a sinistra) con Ottavia Piccolo e Tino Carraro; qui sopra, Lavia con Giuseppe Pambieri
EDIZIONE INDIMENTIC­ABILE Il Re Lear al Piccolo Teatro, 1972: in alto, il regista Giorgio Strehler (a sinistra) con Ottavia Piccolo e Tino Carraro; qui sopra, Lavia con Giuseppe Pambieri
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 ??  ?? DA STRINDBERG A LEOPARDI Gabriele Lavia, 75 anni. È in tournée con Il padre, di August Strindberg: prossime date a Genova e Udine. Il 25 marzo leggerà Leopardi al Teatro Franco Parenti di Milano
DA STRINDBERG A LEOPARDI Gabriele Lavia, 75 anni. È in tournée con Il padre, di August Strindberg: prossime date a Genova e Udine. Il 25 marzo leggerà Leopardi al Teatro Franco Parenti di Milano
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