FRONTIERA NAPOLETANA
Il miraggio di Bagnoli
La riqualificazione di quest’area di Napoli, più volte promessa, rimane lontana. Ma Bagnoli non si riassume in un elenco di relitti, come la base Nato abbandonata o l’ex stabilimento Ilva. Qui vivono giovani tra i più colti e aperti di Napoli e sorgono piccole eccellenze (che qualcuno vorrebbe trasformare in villaggi turistici)
QUANDO QUALCHE MESE FA la scrittrice Valeria Parrella mi confidò che stava per trasferirsi a Bagnoli, dopo quasi vent’anni al centro storico di Napoli, d’istinto pensai che il festival letterario che da otto anni organizziamo nel ventre della città vecchia non avrebbe visto una nona edizione. Quando saremmo riusciti a vederci? Se si fosse trasferita a Roma, sarebbe stato più semplice. Esageravo, naturalmente. Eppure, se penso a Bagnoli, la prima cosa che mi viene in mente è la lontananza – non solo fisica – tra la città-cartolina e quello spazio immenso ai margini occidentali di Partenope. Se fino al popoloso quartiere di Fuorigrotta la città pressa i suoi corpi quasi schiacciandoli, qui l’atavica
mancanza di spazi lascia il passo a improvvise bolle vuote in cui il tempo sembra essersi fermato. Un quartiere in cui i punti di riferimento si assottigliano, messi l’uno a distanza siderale dall’altro.
IN REALTÀ, LO SPAZIO immenso di Bagnoli è un insieme di altri spazi, cavità remote, a volte abbandonate, quasi sconosciute a chi da queste parti ci viene soltanto per la movida, ma luoghi densi di vita e storia per chi ci è cresciuto. Soprattutto per quei giovani che oggi hanno un’età inferiore al fallimentare tentativo di riqualificazione costato centinaia di milioni. E che nonostante ciò, come mi racconta Costanza Boccardi, cofondatrice di Teatri Uniti e assessore della Municipalità X, «restano giovani pieni di energia, colti, più aperti ed europei rispetto alla media della città». Si tratta di ragazzi che hanno ereditato l’utopia irrealizzata del loro quartiere «in uno stato di sospensione e dubbi sul futuro, ma che da qui non vogliono andarsene». Anche perché Bagnoli è l’unico quartiere cittadino con accesso al mare in cui ci vivono persone normali. Non troppo agiate,
come a Posillipo, né masse popolari a cui la prospettiva della Marina è completamente impedita, come nella zona del Porto e di San Giovanni a Teduccio. In un certo senso, crescere a Bagnoli ti connota meno che altrove come napoletano, o almeno in misura minore di quello che la classica oleografia pretenderebbe. Dal mio punto di vista ciò si deve allo sguardo che il quartiere rivolge perennemente non alla città bensì ai Campi Flegrei. D’altro canto, questo lembo di terra sorge fisicamente all’estremità del Golfo di Napoli e si trova già in quello di Pozzuoli. Una zona di frontiera dove la città svanisce. Via di Pozzuoli è l’ultima strada del comune di Napoli che senza soluzione di continuità diventa via Napoli, strada d’ingresso nel comune di Pozzuoli. O viceversa. Questo luminoso pezzo di litorale, che si erge come una ferita tra le colline di tufo e il mare, in cui lo storico Giuseppe Galasso ha vissuto più di trent’anni fino al giorno della sua morte, è uno straordinario punto di osservazione del quartiere ad altezza uomo. Da qui è semplice farsi l’idea che Bagnoli non appartiene a Napoli, esattamente come Napoli non appartiene all’Italia, e forse l’Italia all’Europa.
PROBABILMENTE è questa caratteristica di frontiera a rendere Bagnoli un luogo affascinante. A confermare quest’impressione c’è il fatto che l’ex quartiere operaio degrada da ogni parte nel mare, un classico dell’immobilismo, eppure non sarebbe giusto etichettare quest’angolo di mondo come privo di dinamismo. La verità è che nel XX secolo sono successe più cose a Bagnoli che in tutto il resto della città. I rimasugli della base Nato, dell’ex Ilva, e della località di villeggiatura in stile Liberty, passando per la vicina Edenlandia (il primo parco giochi italiano inaugurato nel 1965), sono le testimonianze archeologiche di un tempo bagnolese che a un certo punto si è messo a correre, così tanto da non aver smesso nemmeno dopo la linea del touchdown. Come Forrest Gump ha continuato senza accorgersi che il mondo attorno si era fermato. Eppure oggi, negli interstizi lasciati liberi dalla vulgata comune sul quartiere, qui esistono alcuni esempi di eccellenza pedagogica. Come
NON È GIUSTO ETICHETTARE BAGNOLI COME PRIVA DI DINAMISMO. NEL NOVECENTO SONO SUCCESSE PIÙ COSE QUI CHE NEL RESTO DELLA CITTÀ
l’istituto comprensivo Madonna Assunta e l’Istituto Penale Minorile di Nisida. Quest’ultimo è l’isolotto delle meraviglie che di tanto in tanto qualcuno propone di sottrarre all’impegno rieducativo per farne un resort a cinque stelle con tanto di casinò e di porto per imbarcazioni di lusso. Fantomatici progetti che prima, però, dovrebbero fare i conti con le sontuose grigliate di pesce che i napoletani sono soliti organizzare a Pasquetta sul degradato pezzo di spiaggia a ridosso del carcere. E ai napoletani, si sa, puoi togliergli tutto, ma non le loro tradizionali occasioni di socialità. È una sorta di resilienza immarcescibile al progresso. Da queste parti un vecchio proverbio dice: ’O napulitano se fa sicc’ ma nu’ more, il napoletano dimagrisce ma non muore mai.
SUL DESTINO DI BAGNOLI ci aveva visto giusto un grande scrittore napoletano, Ermanno Rea. «Quanto oggi l’occhio è in grado di abbracciare tra Nisida e Capo Miseno è forse la prova definitiva che attesta simultaneamente l’esistenza di Dio e di Satana» scrisse oltre vent’anni fa in Mistero napoletano, il suo capolavoro. Si riferiva all’occupazione della grande conca di Bagnoli da parte della NATO, che avrebbe impedito lo sviluppo portuale e commerciale di Partenope, piegandola ai voleri di una potenza militare dai tratti diabolici. Occupazione che fu a sua volta contigua a quella industriale e che ancora oggi vanta il suo simbolo più ingombrante nell’acciaieria ex Ilva, monumento Anni Cinquanta della lotta operaia, ma anche luogo di sperpero pubblico e inefficienza, dove i politici locali iniziarono ad assumere personale dalla lista dei disoccupati organizzati, tra le cui fila non mancavano criminali, picchiatori fascisti e contrabbandieri. Allo smantellamento dell’acciaieria, nel 2002, Ermanno Rea dedicò La dismissione, a cui affidò lo smontaggio non solo della fabbrica ma dell’intera cultura politica industrialista della sua generazione. Non può essere un caso, dunque, che la storia di Bagnoli sia così intimamente intrecciata a quella della sinistra e di quel che ne resta. Valeria Parrella definisce questo quartiere una sorta di «ossessione per il napoletano di sinistra», priva dell’afflato operaista e più orientata alla speranza di una comunità che si
autorigenera. Nel 2003, nel racconto Montecarlo, pubblicato all’interno della raccolta Mosca più balena, affronta il tema dei finanziamenti che da Roma arrivavano per le grandi opere puntualmente irrealizzate. Oggi, a distanza di quindici anni da quel racconto, la bonifica dei 250 ettari rientranti nel progetto di riqualificazione è tutta nel masterplan frutto di una lunga trattativa tra istituzioni e cittadini, a partire dalla rimozione
IL TEMPO BAGNOLESE A UN CERTO PUNTO SI È MESSO A CORRERE. E HA CONTINUATO. SENZA ACCORGERSI CHE IL MONDO ATTORNO SI ERA FERMATO
della famigerata colmata, lo sfregio divenuto il simbolo del disastro ambientale. Sono diversi i pezzi di storia napoletana e nazionale passati da qui. A parte le fiamme che nel 2013 distrussero Città della Scienza, è cronaca degli ultimi anni la contrapposizione tra il sindaco De Magistris e l’ex premier Matteo Renzi, che sul rilancio di Bagnoli aveva puntato buona parte della sua reputazione al Sud. Il paradosso è che l’ultimo tentativo per salvare Bagnoli sembra essere diventato quello della meta-riqualificazione, cioè di una riqualificazione che riqualifichi se stessa. Forse l’ultima chance per quest’immenso spazio vuoto, che oggi come non mai ha la possibilità di veder trasformati i progetti in realtà.
«I VUOTI DI BAGNOLI
rappresentano non solo il fallimento di ciò che è stato, ma anche nuove opportunità da sfruttare» conclude Costanza Boccardi. «Il nostro è un quartiere infinitamente più complesso di quello che sembra, non tutto ruota attorno all’acciaieria. Ma dopo trent’anni anni i bagnolesi pretendono la bonifica.» Mentre annoto queste sue parole, inoltrandomi sul desolato stradone che dal rione Cavalleggeri porta a Coroglio, tagliando in due la conca, scorgo un gruppo di ragazzini infilarsi attraverso un buco nella recinzione dove un tempo lavorava a pieno regime l’altoforno. Uno di loro lancia il pallone e subito tutti partono al suo inseguimento. E all’improvviso quell’immenso spazio non mi sembra più così vuoto.