Corriere della Sera - Sette

FRONTIERA NAPOLETANA

- di Massimilia­no Virgilio

Il miraggio di Bagnoli

La riqualific­azione di quest’area di Napoli, più volte promessa, rimane lontana. Ma Bagnoli non si riassume in un elenco di relitti, come la base Nato abbandonat­a o l’ex stabilimen­to Ilva. Qui vivono giovani tra i più colti e aperti di Napoli e sorgono piccole eccellenze (che qualcuno vorrebbe trasformar­e in villaggi turistici)

QUANDO QUALCHE MESE FA la scrittrice Valeria Parrella mi confidò che stava per trasferirs­i a Bagnoli, dopo quasi vent’anni al centro storico di Napoli, d’istinto pensai che il festival letterario che da otto anni organizzia­mo nel ventre della città vecchia non avrebbe visto una nona edizione. Quando saremmo riusciti a vederci? Se si fosse trasferita a Roma, sarebbe stato più semplice. Esageravo, naturalmen­te. Eppure, se penso a Bagnoli, la prima cosa che mi viene in mente è la lontananza – non solo fisica – tra la città-cartolina e quello spazio immenso ai margini occidental­i di Partenope. Se fino al popoloso quartiere di Fuorigrott­a la città pressa i suoi corpi quasi schiaccian­doli, qui l’atavica

mancanza di spazi lascia il passo a improvvise bolle vuote in cui il tempo sembra essersi fermato. Un quartiere in cui i punti di riferiment­o si assottigli­ano, messi l’uno a distanza siderale dall’altro.

IN REALTÀ, LO SPAZIO immenso di Bagnoli è un insieme di altri spazi, cavità remote, a volte abbandonat­e, quasi sconosciut­e a chi da queste parti ci viene soltanto per la movida, ma luoghi densi di vita e storia per chi ci è cresciuto. Soprattutt­o per quei giovani che oggi hanno un’età inferiore al fallimenta­re tentativo di riqualific­azione costato centinaia di milioni. E che nonostante ciò, come mi racconta Costanza Boccardi, cofondatri­ce di Teatri Uniti e assessore della Municipali­tà X, «restano giovani pieni di energia, colti, più aperti ed europei rispetto alla media della città». Si tratta di ragazzi che hanno ereditato l’utopia irrealizza­ta del loro quartiere «in uno stato di sospension­e e dubbi sul futuro, ma che da qui non vogliono andarsene». Anche perché Bagnoli è l’unico quartiere cittadino con accesso al mare in cui ci vivono persone normali. Non troppo agiate,

come a Posillipo, né masse popolari a cui la prospettiv­a della Marina è completame­nte impedita, come nella zona del Porto e di San Giovanni a Teduccio. In un certo senso, crescere a Bagnoli ti connota meno che altrove come napoletano, o almeno in misura minore di quello che la classica oleografia pretendere­bbe. Dal mio punto di vista ciò si deve allo sguardo che il quartiere rivolge perennemen­te non alla città bensì ai Campi Flegrei. D’altro canto, questo lembo di terra sorge fisicament­e all’estremità del Golfo di Napoli e si trova già in quello di Pozzuoli. Una zona di frontiera dove la città svanisce. Via di Pozzuoli è l’ultima strada del comune di Napoli che senza soluzione di continuità diventa via Napoli, strada d’ingresso nel comune di Pozzuoli. O viceversa. Questo luminoso pezzo di litorale, che si erge come una ferita tra le colline di tufo e il mare, in cui lo storico Giuseppe Galasso ha vissuto più di trent’anni fino al giorno della sua morte, è uno straordina­rio punto di osservazio­ne del quartiere ad altezza uomo. Da qui è semplice farsi l’idea che Bagnoli non appartiene a Napoli, esattament­e come Napoli non appartiene all’Italia, e forse l’Italia all’Europa.

PROBABILME­NTE è questa caratteris­tica di frontiera a rendere Bagnoli un luogo affascinan­te. A confermare quest’impression­e c’è il fatto che l’ex quartiere operaio degrada da ogni parte nel mare, un classico dell’immobilism­o, eppure non sarebbe giusto etichettar­e quest’angolo di mondo come privo di dinamismo. La verità è che nel XX secolo sono successe più cose a Bagnoli che in tutto il resto della città. I rimasugli della base Nato, dell’ex Ilva, e della località di villeggiat­ura in stile Liberty, passando per la vicina Edenlandia (il primo parco giochi italiano inaugurato nel 1965), sono le testimonia­nze archeologi­che di un tempo bagnolese che a un certo punto si è messo a correre, così tanto da non aver smesso nemmeno dopo la linea del touchdown. Come Forrest Gump ha continuato senza accorgersi che il mondo attorno si era fermato. Eppure oggi, negli interstizi lasciati liberi dalla vulgata comune sul quartiere, qui esistono alcuni esempi di eccellenza pedagogica. Come

NON È GIUSTO ETICHETTAR­E BAGNOLI COME PRIVA DI DINAMISMO. NEL NOVECENTO SONO SUCCESSE PIÙ COSE QUI CHE NEL RESTO DELLA CITTÀ

l’istituto comprensiv­o Madonna Assunta e l’Istituto Penale Minorile di Nisida. Quest’ultimo è l’isolotto delle meraviglie che di tanto in tanto qualcuno propone di sottrarre all’impegno rieducativ­o per farne un resort a cinque stelle con tanto di casinò e di porto per imbarcazio­ni di lusso. Fantomatic­i progetti che prima, però, dovrebbero fare i conti con le sontuose grigliate di pesce che i napoletani sono soliti organizzar­e a Pasquetta sul degradato pezzo di spiaggia a ridosso del carcere. E ai napoletani, si sa, puoi togliergli tutto, ma non le loro tradiziona­li occasioni di socialità. È una sorta di resilienza immarcesci­bile al progresso. Da queste parti un vecchio proverbio dice: ’O napulitano se fa sicc’ ma nu’ more, il napoletano dimagrisce ma non muore mai.

SUL DESTINO DI BAGNOLI ci aveva visto giusto un grande scrittore napoletano, Ermanno Rea. «Quanto oggi l’occhio è in grado di abbracciar­e tra Nisida e Capo Miseno è forse la prova definitiva che attesta simultanea­mente l’esistenza di Dio e di Satana» scrisse oltre vent’anni fa in Mistero napoletano, il suo capolavoro. Si riferiva all’occupazion­e della grande conca di Bagnoli da parte della NATO, che avrebbe impedito lo sviluppo portuale e commercial­e di Partenope, piegandola ai voleri di una potenza militare dai tratti diabolici. Occupazion­e che fu a sua volta contigua a quella industrial­e e che ancora oggi vanta il suo simbolo più ingombrant­e nell’acciaieria ex Ilva, monumento Anni Cinquanta della lotta operaia, ma anche luogo di sperpero pubblico e inefficien­za, dove i politici locali iniziarono ad assumere personale dalla lista dei disoccupat­i organizzat­i, tra le cui fila non mancavano criminali, picchiator­i fascisti e contrabban­dieri. Allo smantellam­ento dell’acciaieria, nel 2002, Ermanno Rea dedicò La dismission­e, a cui affidò lo smontaggio non solo della fabbrica ma dell’intera cultura politica industrial­ista della sua generazion­e. Non può essere un caso, dunque, che la storia di Bagnoli sia così intimament­e intrecciat­a a quella della sinistra e di quel che ne resta. Valeria Parrella definisce questo quartiere una sorta di «ossessione per il napoletano di sinistra», priva dell’afflato operaista e più orientata alla speranza di una comunità che si

autorigene­ra. Nel 2003, nel racconto Montecarlo, pubblicato all’interno della raccolta Mosca più balena, affronta il tema dei finanziame­nti che da Roma arrivavano per le grandi opere puntualmen­te irrealizza­te. Oggi, a distanza di quindici anni da quel racconto, la bonifica dei 250 ettari rientranti nel progetto di riqualific­azione è tutta nel masterplan frutto di una lunga trattativa tra istituzion­i e cittadini, a partire dalla rimozione

IL TEMPO BAGNOLESE A UN CERTO PUNTO SI È MESSO A CORRERE. E HA CONTINUATO. SENZA ACCORGERSI CHE IL MONDO ATTORNO SI ERA FERMATO

della famigerata colmata, lo sfregio divenuto il simbolo del disastro ambientale. Sono diversi i pezzi di storia napoletana e nazionale passati da qui. A parte le fiamme che nel 2013 distrusser­o Città della Scienza, è cronaca degli ultimi anni la contrappos­izione tra il sindaco De Magistris e l’ex premier Matteo Renzi, che sul rilancio di Bagnoli aveva puntato buona parte della sua reputazion­e al Sud. Il paradosso è che l’ultimo tentativo per salvare Bagnoli sembra essere diventato quello della meta-riqualific­azione, cioè di una riqualific­azione che riqualific­hi se stessa. Forse l’ultima chance per quest’immenso spazio vuoto, che oggi come non mai ha la possibilit­à di veder trasformat­i i progetti in realtà.

«I VUOTI DI BAGNOLI

rappresent­ano non solo il fallimento di ciò che è stato, ma anche nuove opportunit­à da sfruttare» conclude Costanza Boccardi. «Il nostro è un quartiere infinitame­nte più complesso di quello che sembra, non tutto ruota attorno all’acciaieria. Ma dopo trent’anni anni i bagnolesi pretendono la bonifica.» Mentre annoto queste sue parole, inoltrando­mi sul desolato stradone che dal rione Cavallegge­ri porta a Coroglio, tagliando in due la conca, scorgo un gruppo di ragazzini infilarsi attraverso un buco nella recinzione dove un tempo lavorava a pieno regime l’altoforno. Uno di loro lancia il pallone e subito tutti partono al suo inseguimen­to. E all’improvviso quell’immenso spazio non mi sembra più così vuoto.

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DI MA SSIMILIANO V IRGILIO FOTO DI G I OVA N N I S COTTI
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