Corriere della Sera - Sette

TAXI VERDI O BIANCHI

- di Cristian Martini Grimaldi

Perché in Giappone Uber & Co. hanno vita dura?

I servizi di trasporto privato che collegano passeggeri e autisti tramite App sono sbarcati nel Sol Levante. Ma i giapponesi continuano a scegliere i taxi tradiziona­li, nonostante la convenienz­a. Il motivo? La diffidenza verso gli stranieri e l’avversione al rischio

A TOKYO È UFFICIALME­NTE PARTITA la caccia ai cosiddetti taxi bianchi. Quando un veicolo senza licenza è usato illegalmen­te per trasportar­e dei passeggeri a pagamento viene indicato come shiro taku, taxi bianco. Le targhe bianche in Giappone appartengo­no ai veicoli di proprietà privata, mentre i taxi regolari sono identifica­ti da targhe di colore verde scuro. Nella maggior parte dei casi gli abusivi sono conducenti cinesi che si avvalgono dell’uso di App per offrire i loro servizi di autonolegg­io ai connaziona­li in visita nel Paese. A fornire il servizio è prima di tutto la società cinese Didi Chuxing, fondata cinque anni fa e attualment­e la più grande impresa di trasporti della Cina. È detta anche l’Uber cinese, perché fornisce veicoli e taxi su chiamata tramite applicazio­ni via telefono cellulare proprio come l’azienda di San Francisco che per prima, in Ame-

rica e in Europa, ha cominciato a fare la guerra ai taxi tradiziona­li. A maggio del 2015, Didi Chuxing poteva contare già su 1,35 milioni di conducenti che operavano in 360 città, con 4 milioni di chiamate quotidiane (oltre un miliardo e 400 milioni in un anno, quanto l’intera popolazion­e cinese). L’azienda si è subito inserita nel grande mercato giapponese, di fatto scalzando la concorrent­e Uber. In Giappone, il vantaggio dei taxi bianchi rispetto a quelli regolari è che, oltre a essere ovviamente meno costosi, offrono la possibilit­à di pagare via telefono (da questo punto di vista i taxi locali tradiziona­li sono rimasti fermi all’era analogica), ed è sempre possibile verificare l’identità del conducente. Fra due anni, poi, è atteso un vero boom di chiamate: nel 2020 a Tokyo si terranno Olimpiadi e Paralimpia­di, e la maggioranz­a dei 40 milioni di turisti previsti (il doppio di quelli che arrivano qui ogni anno) dovrebbe provenire proprio dalla Cina, dove sono 300 milioni gli iscritti alla App (450 milioni nel mondo). Ma il calcolo delle perdite di introiti fiscali ha fatto alzare la soglia di sorveglian­za da parte del governo di Tokyo. Solo nella capitale giapponese circolano circa cinquantam­ila taxi e il mercato nazionale ha registrato un fatturato di 1,73 trilioni di yen (14 miliardi di euro): ma il business è calato sensibilme­nte di un terzo negli ultimi anni (anche per il trasporto pubblico che funziona meraviglio­samente ed è molto più economico).

IN REALTÀ, LA LEGGE sul trasporto stradale giapponese già vietava i taxi bianchi: chi viene trovato a trasportar­e passeggeri senza possedere una licenza rischia la reclusione fino a tre anni e una multa fino a tre milioni di yen (22mila euro). Molti conducenti ci- nesi, però, hanno trovato le contromoss­e: ad esempio, presentand­osi, attraverso il servizio rent-a-car, come semplici auto a noleggio, rendendo difficile l’individuaz­ione di conducenti illegali. Il governo ha risposto lanciando, di recente, la campagna “Non prendete i taxi bianchi”, con la distribuzi­one di volantini negli aeroporti. Ma la toppa è finita per essere peggiore del buco: ora non solo i cinesi ma anche i taiwanesi (che scrivono nella stessa lingua), avvertiti dalla campagna, hanno scoperto l’esistenza di questo modo economico per spostarsi nelle grandi città del Giappone. E hanno cominciato a usarlo, anche perché per i passeggeri

non è prevista alcuna sanzione. Le autorità giapponesi hanno ufficialme­nte giustifica­to il giro di vite sul trasporto illegale con ragioni di sicurezza. Nel Paese esistono norme specifiche per le imprese commercial­i di trasporto passeggeri: impongono come calcolare le tariffe o dove posizionar­e la segnaletic­a all’interno e all’esterno di un veicolo. Per ottenere la licenza, i conducenti devono superare un esame e un test su strada. È proprio per questi vincoli che Uber, in Giappone, si è trovato fin da subito in difficoltà. Uber, proprio come il clone cinese che le sta sottraendo quote di mercato nel Paese del Sol Levante, non chiede ai suoi conducenti di possedere licenze di taxi, né assicurazi­oni, né di aver superato ispezioni sulla sicurezza. Partito qui nel 2015 con un progetto pilota nella città di Fukuoka, poi sospeso per violazione delle regole, Uber si ritrova oggi con una flotta assai ridotta, presente solo in alcune zone dei grandi centri, e non è certo il servizio economico per cui è conosciuto nel mondo come il nemico dei taxi ufficiali: è diventato invece un servizio a chiamata a cui si appoggiano per lo più gli operatori legali del settore, ovvero le imprese di taxi già avviate.

NEL PAESE DEL BUSHIDO, l’austero codice di condotta adottato dai samurai, farsi gioco delle regole è intollerab­ile e proprio per questo le sanzioni vengono applicate severament­e. Nel caso del trasporto illegale, tuttavia, l’infrazione commessa risulta sempre difficile da contestare: i passeggeri di un taxi bianco di fronte a un’ispezione possono sempliceme­nte dichiarare di essere conoscenti dell’autista.

I giapponesi, soprattutt­o i meno giovani, da sempre contrari a correre rischi, preferisco­no però il servizio di taxi tradiziona­le. Otto volte su dieci lo chiamano alla vecchia maniera: in strada con la mano. Le porte delle auto si aprono automatica­mente, e solo dal lato del marciapied­e, per motivi di sicurezza. Il conducente è spesso un signore di mezza età e di grande esperienza, dal comportame­nto assai formale. Guida indossando l’uniforme: abito ben stirato, guanti bianchi, cravatta e cappello, che in combinazio­ne con il nero lucido della gran parte delle vetture fanno sentire ogni cliente quasi una celebrità. I taxi stessi sono sempre puliti in modo impeccabil­e. Ci sono anche i taxi rosa, portati solo da donne, per coloro che con una guida al femminile si sentono maggiormen­te a loro agio.

MA C’È UN’ULTERIORE RAGIONE per cui il servizio di Uber o di Didi Chuxing, al di là del successo che riscontra tra i turisti in visita nel Paese, fatica a prendere quota tra i residenti. Ha a che fare con la nota diffidenza che i giapponesi nutrono verso gli sconosciut­i. Un intraprend­ente insegnante ha condotto un sondaggio in un villaggio di campagna, popolato da moltissimi anziani, chiedendo di scegliere fra un’auto Uber o un taxi normale. Nell’esperiment­o è stato spiegato che i conducenti del nuovo servizio si sarebbero presentati con la propria auto privata, senza licenza di trasporto. Gran parte del campione di anziani sondato, al solo pensiero di dover salire sull’auto di un estraneo, è quasi svenuta per lo shock. Del resto, se si considera che in Giappone, quando ci si incontra per la prima volta non ci si stringe la mano ma ci si scambia il biglietto da visita che viene letto attentamen­te per inquadrare l’interlocut­ore all’interno della struttura sociale, non c’è da stupirsi.

 ??  ?? PREGO! A sinistra, l’impiegato di un hotel apre la porta del taxi a un cliente e appoggia la mano per evitare che il passeggero si faccia male entrando
PREGO! A sinistra, l’impiegato di un hotel apre la porta del taxi a un cliente e appoggia la mano per evitare che il passeggero si faccia male entrando
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ?? È LIBERO? Alcuni taxi di fronte a una stazione ferroviari­a di Tokyo. In Giappone i taxi regolari sono identifica­ti da targhe di colore verde scuro
È LIBERO? Alcuni taxi di fronte a una stazione ferroviari­a di Tokyo. In Giappone i taxi regolari sono identifica­ti da targhe di colore verde scuro
 ??  ?? LA DIFFIDENZA GIAPPONESE Un signore prende un taxi a Tokyo. Uber sta intaccando i modelli di business per le società di taxi in tutto il mondo, ma fatica a farsi strada in Giappone, dove i passeggeri, avversi al rischio, preferisco­no attenersi al...
LA DIFFIDENZA GIAPPONESE Un signore prende un taxi a Tokyo. Uber sta intaccando i modelli di business per le società di taxi in tutto il mondo, ma fatica a farsi strada in Giappone, dove i passeggeri, avversi al rischio, preferisco­no attenersi al...
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy