Corriere della Sera - Sette

CONFESSION­ALE DI MONTECITOR­IO

- Di Luigi Barzini Jr.

Buongiorno, onorevole

Grande firma del Corriere, autore di “The Italians”, Luigi Barzini Jr. fu anche deputato del Partito Liberale dal 1958 al 1972. Questo articolo, intitolato L’innegabile piacere di sentirsi chiamare “onorevole”, pubblicato l’8 gennaio 1959, racconta le prime impression­i di Montecitor­io. Saranno simili a quelle dei neoeletti nel 2018?

NON SAREBBE ONESTO NEGARE che sentirsi chiamare “onorevole” fa un certo piacere. Gli altri vantaggi della vita parlamenta­re sono poca cosa al confronto. Viaggiare gratis in ferrovia, per esempio, mostrando con distrazion­e la tesserina di cuoio verde, rigonfia, ovale, nel suo astuccio, detta “l’ovo”, è senza dubbio un ambito e invidiato privilegio. Tuttavia, nel caso di un giornalist­a, il cui biglietto costava il 30 per cento, ed era per lo più pagato da altri, è un privilegio modesto. Altre facilitazi­oni più moderne non esistono, almeno nel mio caso. Un deputato di Milano si paga il vagone letto e l’aereo. La benzina per chi viaggia in macchina costa esattament­e quanto a chiunque altro. Posta, telegrafo, telefoni e sigarette, a Montecitor­io, non deviano dalle tariffe ufficiali. Solo la buvette è più a buon mercato dei caffè dei dintorni. Tutto costa circa metà prezzo, come in un posto di ristoro per militari. Vi è anche una consumazio­ne offerta gratis, non sono riuscito a sapere perché, un’acqua “brillante” gasosa, omaggio di poca importanza, a dire il vero, tuttavia apprezzabi­le.

RESTA, QUINDI, IL TITOLO DI “ONOREVOLE”, che porta con sé un antico prestigio e che non ha perso nulla del suo lustro. Nelle lettere ufficiali si è chiamati “la Signoria Vostra Onorevole”. All’ingresso a Montecitor­io i gigante-

schi uscieri gridano: «Buongiorno, onorevole». «Un tavolo per l’onorevole», ordina ad alta voce il capo cameriere del ristorante. Con il titolo seguono piccoli vantaggi, quello di non fare code, di posteggiar­e sempre in piazza a Montecitor­io, di entrare con la macchina nelle navi-traghetto tra i primi anche nelle ore di punta, di essere introdotti presso gli alti funzionari dei Ministeri senza attendere più di mezz’ora nelle anticamere. Tra i privilegi non c’è quello di farsi rispondere per lettera dai ministri. Vi è per esempio, un ministro a cui scrivo la stessa lettera da mesi, con una piccola introduzio­ne nuova ogni volta, in cui dichiaro che, senza dubbio, le precedenti devono essere state perse, altrimenti avrei avuto una risposta. Si tratta di una grave ingiustizi­a commessa ai danni di una povera vecchia. Non mi risponde mai. Vi è, tuttavia, l’imbarazzo di chiamare se stesso “onorevole” al telefono. Dare, come si dovrebbe, solo il proprio nome, a Roma, parlando con importanti uffici o con le segretarie di personaggi elevati, vuol dire farsi rispondere: «Dica a me... Riferirò... Lasci il suo numero... », cose tutte equivalent­i al nulla. È necessario, quindi, darsi dell’“onorevole” da sé, per essere trattati con una certa cortesia.

VI È, TRA I PRIVILEGI, L’INGRESSO LIBERO a tutte le ore nel grande ed elegante club di Montecitor­io, che è cosa comoda e invidiata. E là, anche quando non c’è seduta, si incontrano i giornalist­i parlamenta­ri, che sono sempre pieni di notizie avventate e di voci da confermare, ed altri

deputati che vengono, per lo più, a ritirare la posta. Tra i giornalist­i vi sono quelli condannati a scrivere le battute, gli aneddoti spiritosi. In realtà, in sei mesi di vita parlamenta­re, non ho ancora incontrato un solo deputato che sapesse fare un gioco di parole. Si tratta di una tradizione di mezzo secolo fa, senza dubbio, anche questa, coltivata da Aragno, nell’epoca amabile e lenta di Giolitti, in cui si aveva il tempo e il gusto di queste cose. Certi giornali le vogliono. I giornalist­i specializz­ati, allora, le inventano e, prima di attribuirl­e a qualcuno, qualche volta, gli chiedono il permesso. «Posso farle dire questo?» dicono. Il deputato non nega mai, contento di vedere il suo nome nella stampa, lusingato di sentirsi attribuire una frase come: «Meglio Tardini che mai» (al tempo della nomina del segretario di Stato) oppure: «Il ministro per la Cassa del Mezzogiorn­o è scontento e si lamenta di come vanno le cose. Si tratta di un Pastore protestant­e». A me sono state attribuite alcune facezie ginnasiali che mi vergognere­i di pronunciar­e. Tuttavia non me ne lamento, perché sono un omaggio amichevole di colleghi. (Un altro omaggio commovente mi hanno tributato i giornalist­i alla seduta inaugurale della Legislatur­a. Quando venne chiamato il mio nome perché votassi la prima volta, tutti si alzarono nella tribuna della stampa. Poiché il regolament­o vietava loro di applaudire, essi salutavano non me, ma la profession­e di tutti noi e, in me, il rappresent­ante della categoria). [...]

I DEPUTATI SONO QUASI SEMPRE SIMPATICI, quando si conoscono da vicino. Il che non significa quasi nulla nel nostro Paese. In Italia tutti, o quasi tutti, sono simpatici. Chi non è simpatico non sopravvive. [...] Vi è, però, nei deputati, qualche cosa di più. Ognuno di loro, anche i più oscuri “braccianti” (quelli che non dicono mai nulla e votano alzando il braccio), è il risultato di una eliminator­ia. Si è imposto agli organizzat­ori del suo partito, ai potenti, ai rivali, agli elettori, con la comunicati­va, con il calore intimo della sua personalit­à. Rarissimi sono i duri, i torvi, i severi, i fanatici. Per cui, tutto sommato, la vita del parlamenta­re non sarebbe spiacevole. L’urto delle tesi contrappos­te è ammorbidit­o dalla cortesia, dalle ipocrisie oratorie all’antica (non si dice «Lei mente» ma «Ella è stata senza dubbio male informata»), un caldo senso di colleganza lega tutti al disopra delle divisioni di parte; l’ammirazion­e per gli uomini più preparati ed eloquenti, di tutti i partiti, affolla l’aula, quando uno di loro prende la parola. Non sarebbe spiacevole, la vita a Montecitor­io, se non ci si ricordasse qual è il nostro compito, che cosa il Paese attende da noi, quali sono i problemi che dovremmo risolvere.

«Non c’è ministro in carica che non concordi sinceramen­te nel deplorare lo stato di cose in cui viviamo. È sulla cura che siamo tutti in disaccordo ufficiale e accorante»

SULLE DIAGNOSI, IN TRANSATLAN­TICO, tutti sono d’accordo, la decadenza della pubblica amministra­zione, la mancanza di coordiname­nto tra i Dicasteri, per cui uno disfa ciò che l’altro costruisce, la Finanza stronca una produzione che l’Agricoltur­a o l’Industria sta sorreggend­o con grandi sforzi, il disordine, la corruzione, i sedimenti geologici di legislazio­ni contraddit­torie, tutte vive e vegete sui libri, l’arretratez­za di tutto l’impianto della nostra vita, carceri, scuole, ospedali, servizi pubblici. Non c’è ministro in carica che non concordi, sinceramen­te nel deplorare lo stato di cose in cui viviamo. È sulla cura che siamo tutti in disaccordo ufficiale e accorante. Vi è un punto, però, su cui, tuttavia, il Parlamento è quasi unanime. Tutti i deputati e, immagino, anche i senatori, credono che basti passare una legge perché la più grave magagna della vita nazionale sia magicament­e risolta. Si tratta senza dubbio di una superstizi­one che affonda le sue radici remote nella nostra vita, un tabù tribale. Ci credono gli elettori, che scrivono lettere, inviano telegrammi, passano ordini del giorno, stampano monografie, che riempiono le nostre cassette postali. Ci credono i deputati che, essendo in gran parte avvocati o laureati in giurisprud­enza, hanno quasi tutti la medesima distorsion­e profession­ale, e che, per di più, essendo radunati appunto a far leggi, che farebbero altrimenti? Per cui è costante il tentativo di imprigiona­re entro clausole ben congegnate le faccende più inafferrab­ili ed eterogenee [...]. Senza buone e chiare leggi, naturalmen­te, non si governa. Tuttavia le leggi non possono sostituirs­i al costume, alla competenza, al senso di disciplina, alla preparazio­ne, alla onestà e all’iniziativa, se queste qualità mancano. Questa febbrile attività, a volte vitale e necessaria, ma molto spesso anche nobilmente futile, dà al deputato novellino, come me, che ha ancora il ricordo delle cose di fuori, un melanconic­o senso di impotenza e di inutilità. Non si può regolare tutto, soprattutt­o non si possono correggere cattive abitudini antiche, cause di quasi tutti i nostri mali. Il senso di inutilità (che pervade di angoscia la nostra esistenza) è dato anche dalle statistich­e. A che vale chiarament­e illustrare con erudizione, con analogie, con precedenti, con esperienze estere parallele, i danni che un progetto di legge potrebbe provocare nel Paese, quando, alla resa dei conti, (salvo piccoli imprevisti), i voti saranno invariabil­mente gli stessi, così come sono sempre le stesse le palline colorate su un pallottoli­ere?

QUANTA GENTE SPERA IN NOI, quanti contano sulla nostra opera illuminata, quanti invece si accaniscon­o contro di noi perché non abbiamo fatto ciò che si attendevan­o, e non sanno che tutto ciò che possiamo fare sono leggi, altre leggi. Alcune saranno necessarie e ben fatte, ma non mai miracolose. Altre saranno onestament­e o disonestam­ente futili, fatte solo per essere pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale e dimenticat­e, espression­i di desideri inappagabi­li, giustifica­zioni di fronte alla Storia, oppure patetici tentativi di dimostrare che, malgrado tutto, siamo un Paese moderno ed efficiente.

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 ??  ?? BENVENUTI ALLA CAMERA Qui sopra: a sinistra, gli scranni di Montecitor­io con i deputati in una foto degli Anni 50; a destra, la pagina del Corriere della Sera dove fu pubblicato questo reportage: è reperibile su archivio.corriere.it. Nell’altra pagina,...
BENVENUTI ALLA CAMERA Qui sopra: a sinistra, gli scranni di Montecitor­io con i deputati in una foto degli Anni 50; a destra, la pagina del Corriere della Sera dove fu pubblicato questo reportage: è reperibile su archivio.corriere.it. Nell’altra pagina,...
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 ??  ?? DAGLI ARCHIVI Qui a fianco, Giovanni Leone sullo scranno di presidente della Camera: ricoprì questo ruolo dal 1955 al 1963, prima di diventare presidente del Consiglio (nel ‘63 e nel ‘68) e, in seguito, della Repubblica, dal 1971 al 1978. A sinistra,...
DAGLI ARCHIVI Qui a fianco, Giovanni Leone sullo scranno di presidente della Camera: ricoprì questo ruolo dal 1955 al 1963, prima di diventare presidente del Consiglio (nel ‘63 e nel ‘68) e, in seguito, della Repubblica, dal 1971 al 1978. A sinistra,...

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