Corriere della Sera - Sette

C’ERAVAMO TANTO AMATI

Lasciarsi è spesso doloroso, esorcizzar­e una storia finita non è mai facile. Gli oggetti continuano a parlarci di momenti felici e sogni comuni. Così una coppia separata ha creato, a Zagabria, un luogo dove chiunque può lasciare il ricordo della propria s

- di Massimo Cotto

Il museo dei cuori infranti

èSEMPRE COSÌ, ma stavolta è diverso. Olinka e Drazen sono al capolinea. L’amore che strappa i capelli è perduto ormai. Si lasciano dopo quattro anni belli come la risata di un bambino e burrascosi come un temporale a primavera. Hanno mille ricordi e altrettant­i oggetti che sono come i sassi di Pollicino: se li metti in fila ritrovi la strada di casa. Olinka, che nella vita fa la produttric­e cinematogr­afica, e Drazen, scultore di talento, la buttano lì ridendo, perché a volte ci si può separare anche senza dilaniarsi: «Che bello sarebbe se ci fosse un Museo delle Relazioni Finite a preservare i nostri ricordi ed evitare che vadano perduti». Un giorno, nella sua nuova vita, Drazen ci ripensa e tre anni dopo, perché gli artisti hanno i loro tempi, va a bussare a casa di Olinka. Non per rimettersi insieme, ma per mettere su insieme quel Museo che oggi è considerat­o un gioiello di grazia e inventiva, premiato dal Kenneth Hudson Award come progetto più coraggioso e innovativo in Europa. Il Museo delle Relazioni Finite, o Museum Of Broken Relationsh­ips, perché in inglese suona meglio ed evoca quei Boulevards Of Broken Dreams dell’epica americana, ha una sede a Zagabria e una filiale a Los Angeles e si è concesso il lusso di andare in tour per il mondo come una rockstar, con esposizion­i in Argentina, Stati Uniti, Singapore, Sudafrica, Filippine e buona parte d’Europa.

NON ASPETTATEV­I niente di straordina­rio, come allestimen­to o oggetti conservati. L’elemento affascinan­te sono le storie. Perché le persone non si limitano a donare al Museo un oggetto simbolico che raggrumi una storia d’amore conclusa, ma scrivono e motivano, ricordano e riassumono. Spiegano perché quel ferro da stiro non è come gli altri (è stato usato per stirare l’abito da sposa ed è tutto ciò che resta di quel giorno), dicono perché il pupazzo conservato è diverso dagli altri. Come quello Snoopy di pezza donato da una donna olandese che racconta il suo dolore in poche righe: «È stato il suo primo regalo, quando ho compiuto 17 anni. Sei mesi dopo ci siamo innamorati (e lei ricorda con precisione chirurgica il giorno: 5 ottobre 1981). Ci siamo sposati, abbiamo fatto nascere tre figli. Dopo trent’anni mi ha detto che si è innamorato di un’altra, e questo forse sarei anche riuscita a sopportarl­o. Ma non riesco ad accettare quello che mi ha detto dopo: che non mi ha mai amata. Questo peluche è tutto quel che mi rimane di lui». Al Museo delle Relazioni Finite si lasciano oggetti per vincere la malinconia ed esorcizzar­e il dolore. Un uomo di Lubiana (tutte le donazioni sono anonime, risulta solo la città di provenienz­a) ha lasciato un apribottig­lie a forma di chiave «uno dei tanti regali che mi faceva il mio

amore. Ci amavamo alla follia, ma non ha mai voluto fare sesso; ho capito il perché solo quando è morto di Aids». Una donna di Parigi si è privata di una macchina da caffè: «Lui amava il caffè che gli preparavo e amava anche me. Poi ha smesso di amare entrambe e se n’è andato. Non riuscivo a sopportare la vista della macchinett­a, così l’ho messa in cantina, ma non smettevo di pensarci». Darla al museo è stata la scelta giusta per prendere, almeno in parte le distanze e provare a ricomincia­re, senza dimenticar­e. Non tutte le storie nascondono un dramma. Irresistib­ile, anche se ai confini dell’inverosimi­le, la storia di

Le persone non si limitano a donare al museo un oggetto simbolico ma scrivono e motivano, ricordano e riassumono

una dominatric­e di Amsterdam che, dopo 40 anni, ha riconosciu­to nel suo occasional­e slave il suo amore di bambina. Lui, dopo aver fatto il suo dovere di schiavo e ricevuto la desiderata dose di frustate, le ha chiesto in ricordo una delle due scarpe dal tacco a spillo che aveva adorato. La dominatric­e ha donato l’altra al Museo per ricordare quel bambino un tempo innocente e poi cresciuto con strani gusti.

LA PALMA DELLA STORIA più strana se l’aggiudica tuttavia una donna di Berlino. Nena, chiamiamol­a così per comodità di racconto, s’innamora per la prima volta di un’altra donna, immaginiam­o si chiami Adolfa. Le due progettano fin da subito una vita insieme. Dopo due mesi, Nena chiede ad Adolfa di trasferirs­i da lei e poi parte per un viaggio di lavoro in America. All’aeroporto, Adolfa versa torrenti di lacrime. Dice: «Non credo riuscirò a stare venti giorni senza di te». Tre settimane dopo, Nena torna a casa e trova Adolfa con le valigie in mano: «Mi sono innamorata quattro giorni fa di un’altra. Non potrai mai darmi quello che mi da lei. Ora andiamo insieme in vacanza, al mio ritorno passerò a prendere le mie robe». Nena è senza parole, vaga per

la città, entra in un grande magazzino e vede un’ascia. Ha un’illuminazi­one. Torna a casa e ogni giorno sfascia un pezzo della mobilia di Adolfa. Oggi quell’ascia è conservata al museo, come “strumento terapeutic­o”. Divertente, nel Museo delle Relazioni Finite, è lo shop che, oltre a vendere gli oggetti classici (magliette, borse, quaderni), propone anche una gomma per cancellare i brutti ricordi (si chiama Bad Memories Eraser) e una buffa matita a due punte, una per ogni estremità: quando sei stressato, nervoso, arrabbiato, quando ripensi alla storia finita non devi far altro che spezzare la matita in due. Proverai un immediato senso di sollievo e, in più, non avrai fatto danni. Anzi: in questo modo avrai ora due matite al posto di una. Geniale.

E GENIALE È DAVVERO L’IDEA di Olinka e Drazen. Apparentem­ente è solo un pretesto, uno “sfogatoio”. In realtà è come un baule da mettere in soffitta. Non lo aprirai mai, ma sai che lì dentro c’è un pezzo della tua vita. Un vecchio maglione, il giubbotto che portavi al liceo, il diario delle medie, le lettere che ti scriveva il primo amore. La differenza tra un baule e un museo è semplice: il primo lo puoi perdere in un trasloco, il secondo consegna idealmente all’eternità un oggetto e il suo contenuto. Perché ogni materia, come ricordano i fondatori, possiede le sue “caratteris­tiche integrate”, ologrammi di ricordi ed emozioni, uno spazio di memoria sicura, un ricordo protetto nel tempo. Qualcosa, insomma, che potrà ricordare per sempre una stagione del tuo amore.

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La casa dei ricordi Nella pagina di sinistra, in senso orario, l’esterno del Museo delle Relazioni Finite a Zagabria (Croazia), a palazzo Kulmer. Una sala di questo spazio che espone un’automobili­na, il bookshop, un barattolo di salamoia e un paio di...

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