SOGNO DI UNA NOTTE DI PRIMAVERA
Putin populista? No, il suo è neo-zarismo
Il presidente, al quarto mandato, piace a Le Pen e Salvini, ma non ci sono vere affinità. Il suo nazionalismo ha rilanciato la centralità di Mosca, recuperando il gettito fiscale verso la capitale, e della Russia, difendendone i confini. Anche con l’aiuto della Chiesa ortodossa
SEMBRA CHE VLADIMIR PUTIN piaccia a molti populisti europei. Dovremmo dedurne che fra il presidente russo, trionfalmente eletto per un quarto mandato, e la Lega o il Front National di Marine Le Pen vi siano alcune affinità? Quando succedette a Boris Eltsin, un giornalista della televisione russa chiese di intervistarlo e ottenne, qualche ora prima dell’incontro, il permesso di visitare lo studio presidenziale per installarvi le luci. Non fu sorpreso dalla presenza di un busto di Lenin (ve n’erano ancora parecchi negli uffici pubblici del Paese), ma constatò qualche ora dopo, quando tornò al Cremlino per l’intervista, che Lenin era scomparso. Si fece coraggio e chiese al nuovo presidente che cosa pensasse della Rivoluzione d’Ottobre. Putin gli rispose che era stata un errore: la modernizzazione economica del Paese ne era stata ritardata e la Russia, grazie al Trattato di pace stipulato con la Germania a Brest Litovsk nel marzo del 1918, era stata sconfitta da un Paese che avrebbe, a sua volta, perduto la guerra. Non aggiunse altro sul modo in cui avrebbe governato il Paese, ma fu chiaro, da quel momento, che l’ex colonnello del Kgb avrebbe perseguito almeno due obiettivi: restaurare il potere del governo centrale e restituire alla Russia, per quanto possibile, il ruolo internazionale che il suo Paese aveva avuto sino all’era di Gorbaciov.
QUANDO ENTRÒ AL CREMLINO, il suo Paese era ancora alle prese con due crisi. La prima era quella dello Stato centrale dopo la dissoluzione dell’Urss. Vi erano stati molti conflitti locali e moti indipendentisti
L’alleato immaginario delle destre europee
(da quello con la Cecenia, che si era proclamata indipendente, a quelli della Moldavia e del NagornoKarabakh), e vi erano autorità locali che avevano smesso di inviare a Mosca il gettito fiscale delle loro province. La seconda crisi era quella del passaggio dalla economia di comando del sistema sovietico a una economia di mercato. Durante la presidenza di Boris Eltsin, il governo aveva dato retta ai consigli di qualche economista occidentale e distribuito a ogni cittadino russo una “dote” di voucher che lo rendevano, almeno nominalmente, comproprietario della ricchezza nazionale. I voucher furono “collezionati” da alcuni intraprendenti personaggi della vecchia gioventù comunista (il Komsomol), e le maggiori attività economiche del Paese finirono nelle tasche di nuovi “boiari” chiamati oligarchi, enormemente ricchi e sfacciatamente spregiudicati. Per qualche anno, all’epoca di Eltsin, la Russia fu teatro di scorribande e sanguinosi conflitti fra magnati rivali. Alcuni di essi si erano già installati alla corte di Eltsin e gestivano a loro piacimento gli affari del Paese, quando Putin li convocò e dettò le nuove regole del gioco. Gli oligarchi non scomparvero, ma quelli che avevano i favori del nuovo presidente rispettavano le sue regole ed erano costretti a pagare le tasse.
PIUTTOSTO CHE DI POPULISMO, quindi, nel caso di Putin conviene parlare di nazionalismo russo, adattato ai tempi, ma con strategie che ricordano lo stile e il metodo degli zar più intraprendenti: consolidare il potere di Mosca; difendere e, se possibile, allargare le frontiere dello Stato; “proteggere” la Russia da quelle influenze occidentali che mettono continuamente in discussione i poteri tradizionali. Ne è una prova, tra l’altro, il rapporto che Putin ha instaurato con la Chiesa russa. Grazie alla sua personale relazione con Kirill, Patriarca di Mosca, la Russia di Putin ha alcuni dei tratti che erano propri della Russia zarista quando Mosca si proclamava “terza Roma”, legittimo erede di quelle sul Tevere e sul Bosforo.
LE CORRENTI DI SIMPATIA che sembrano legare la Russia al populismo europeo hanno altre motivazioni. Alcune forze politiche occidentali vedono nella Russia di Putin un modello post-liberal-democratico, una prova della crisi che affligge in questi anni le democrazie rappresentative; mentre Putin, di fronte a un Occidente che sembra considerarlo un potenziale nemico, vede nel populismo europeo una spina nel fianco delle democrazie e un utile compagno di strada. Se il clima politico cambiasse e le sanzioni fossero revocate, Putin, probabilmente, non esiterebbe a sbarazzarsene.