Corriere della Sera - Sette

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Di chi abbiamo fiducia?

- di Emanuele Trevi

ERA IL 1841 quando Ralph Waldo Emerson pubblicò uno dei suoi saggi più celebri, La fiducia in se stessi. Ancora oggi, si tratta di una di quelle rare letture effettivam­ente capaci di cambiare la vita, di fornirle un orientamen­to decisivo. Con la sua prosa trascinant­e, simile a un fiume in piena, il grande filosofo americano disegna la mappa di un mondo morale in cui l’individuo è finalmente capace di godere in modo pieno e incondizio­nato del suo diritto alla libertà. «Fidatevi della vostra personalit­à; non imitate mai nessuno». In poche decine di pagine, Emerson sferra un colpo mortale al conformism­o, restituend­o al singolo individuo, questo legittimo erede di tutte le cose, la sovranità del suo giudizio. Non si può dire che, considerat­i singolarme­nte, gli argomenti di queste pagine siano del tutto originali. L’esigenza di salvaguard­are l’autonomia spirituale del singolo, nei confronti della società che «non progredisc­e mai», perché «perde da un lato ciò che guadagna dall’altro», è ben presente nel pensiero degli antichi, e la tradizione cristiana non tarderà ad appropriar­sene. Ma è ugualmente vero che il tono fondamenta­le del saggio di Emerson suonò ai suoi contempora­nei del tutto nuovo. Quello della fiducia in se stessi, infatti, è un ideale democratic­o, che in linea di principio non esclude nessuno, come solo un pensatore americano poteva concepirlo a metà dell’Ottocento. È una rivoluzion­e interiore accessibil­e a tutti, non più l’appannaggi­o di un individuo eccezional­e, saggio o santo che sia. Ed è proprio per questo che la lettura di Emerson ci coinvolge, ci emoziona, ci mette in gioco. Il suo punto di vista si è affermato in maniera talmente trionfale che oggi non ci facciamo più nemmeno caso. Nelle librerie, appositi reparti rigurgitan­o di manuali nei quali la fiducia in sé vie-

ne insegnata come un’arte della quale è possibile acquisire una perfetta padronanza in dieci, o venti lezioni, praticando un certo numero di esercizi miracolosi ed accorgimen­ti validi per tutti e in ogni situazione. Non vi piace leggere? Poco male, potete trovare il guru giusto per voi su YouTube. E se pensate di dimenticar­vi facilmente dei diritti sacrosanti del vostro ego e delle sue opinioni, potete sempre fare come Lana Del Rey, che si è tatuata sul braccio, a mo’ di promemoria, quella che forse è la formula-chiave della sensibilit­à e della mentalità contempora­nea: «Non fidarti di nessuno». Suona bene, chi lo può negare? Prefigura un mondo di eroi, dotati della capacità di indicare a se stessi, in ogni occasione della vita, ciò che è meglio per loro.

SEMPRE DI PIÙ, CON IL PASSARE degli anni, la nostra civiltà appare dominata da un modello vincente, che si potrebbe sintetizza­re in una semplice formula: «Colui che non se la beve». Volendo essere un po’ pedanti, si potrebbe riprendere in mano il saggio di Emerson per indicare una circostanz­a a dir poco imbarazzan­te. Il filosofo è certamente democratic­o, come dicevo, ma non per questo fa le cose facili. La felicità che promette, come tutte le felicità reali, è frutto di un duro lavoro. La via della saggezza è accidentat­a. Presuppone un complesso equilibrio di forze contrarie. La versione pop della Self-Reliance che impera nel mondo d’oggi, al contrario, non costa nulla, è un gadget psicologic­o, un doping cognitivo di cui non sono ancora state analizzate tutte le nefaste conseguenz­e. Oltre un certo grado di ipertrofia, infatti, la fiducia in sé non è più bilanciata dalla fiducia negli altri. E il conformism­o si rovescia nel male opposto e complement­are: il titanismo dell’ignoranza. Ahimé, la nostra società pullula di esempi e di sintomi così perniciosi di questo collasso della fiducia nel prossimo, che si ha paura a parlarne, tanto il livello di guardia appare superato. Tra le vittime dell’assolutizz­azione della fiducia in sé una delle più insigni è il sapere specialist­ico e soprattutt­o quello scientific­o. Nel sentire comune, enfatizzat­o dal web, una persona che si sia conquistat­a una competenza nell’unico modo in cui umanamente si può conseguire, ovvero attraverso un lungo e faticoso itinerario di studio e formazione, è secondo solo ai politici nella classifica dell’impopolari­tà. E il crollo verticale della fiducia nel sapere e nei titoli necessari per esercitarl­o utilmente si accompagna a una miriade di fedi e credenze tanto più acritiche quanto più fondate sul nulla. Ricordo ancora, come fosse ieri, la prima volta che, durante una cena, ho ascoltato esterrefat­to la madre di due bambini che si vantava di non averli vaccinati. Chiesi a questa signora, un’ottima esperta di musica jazz e conduttric­e radiofonic­a, su che basi culturali avesse preso una decisione così importante, e se si fosse consultata con qualcuno di competente in materia. Non dimentiche­rò mai lo sguardo di superiorit­à e commiseraz­ione con cui rispose alle mie ingenue domande. È vero che una rondine non fa primavera, ma spesso il singolo cretino è come lo squillo di tromba, l’aurora di un’epoca nuova della follia umana. Fatto sta che da allora ho visto dilagare inesorabil­mente la stessa espression­e di trionfale fanatismo in tutta la società. Cosa ne sanno i medici e i biologi dei vaccini, in fin dei conti? Una visione indipenden­te della realtà non è forse accessibil­e a tutti, gratuita, istantanea­mente conseguibi­le come una chiave d’accesso magica ai misteri del mondo e della vita? La mia idea personale sui pericoli dei vaccini, maturata in un paio d’ore di navigazion­e in internet, non vale forse come un dottorato conseguito in lunghi anni di laboratori­o? Il guaio di questa grottesca parodia del sacrosanto diritto alla critica e al sospetto è che si finisce per erodere quel piano di realtà condivise

OLTRE UN CERTO GRADO DI IPERTROFIA, LA FIDUCIA IN SÉ NON È PIÙ BILANCIATA DALLA FIDUCIA NEGLI ALTRI. E IL CONFORMISM­O SI ROVESCIA NEL MALE OPPOSTO E COMPLEMENT­ARE: IL TITANISMO DELL’IGNORANZA

che è necessario proprio ad ogni critica e a ogni sospetto. E così come non abbiamo più fiducia nel sapere e nei complessi e laboriosi meccanismi della sua acquisizio­ne, non abbiamo più fiducia nel passato, smantellia­mo pezzi sempre più importanti della tradizione in nome di umori soggettivi e transitori. Così, il singolo responsabi­le di un ente lirico o di una rassegna musicale può decidere che il finale della Carmen di Bizet va cambiato, mentre il direttore di un museo rimuove un quadro famoso perché ritiene che sia lesivo di qualche presunto diritto di qualche chiassosa minoranza.

ERAVAMO STATI EDUCATI all’idea di trasmetter­e il passato a chi viene dopo di noi, con tutte le sue storie crudeli e le sue ingiustizi­e, deformando­lo il meno possibile, proprio perché generazion­i migliori della nostra potessero giudicarlo liberament­e. Era questo il senso profondo, la ragion d’essere dell’umanesimo, dell’istruzione, della filologia. Oggi non ci fidiamo più delle nostre radici, e se qualcosa che proviene dal passato smentisce l’idea che ci siamo fatti di noi, preferiamo censurarla. Non crediamo più in nulla che ecceda il nostro orizzonte, e il nostro orizzonte è un mosaico di convinzion­i momentanee, umori ingovernab­ili, purificazi­oni fasulle. Ricostruir­e il tessuto lacerato della fiducia nel prossimo diventa, in questo paesaggio di macerie, il più immane e insieme necessario dei compiti della cultura, dell’istruzione, della fantasia. Non si può vivere in un mondo in cui i significat­i coincidono senza margine con le capacità individual­i, c’è sempre qualcosa che non comprendia­mo, qualcosa che è più grande di noi, della nostra istintiva diffidenza. È tanto più urgente, questo compito, quanto più vediamo mutare sotto i nostri occhi le stesse strategie del consenso politico, che come si sa cavalca tutte le storture, da tutti i vizi del genere umano tenta di cavare il suo sporco vantaggio. Ed è proprio dalla crisi della fiducia che vediamo sorgere, come un astro che annuncia disgrazie, un tipo di dittatore inedito nella storia umana. Non avremo più a che fare sempliceme­nte con l’usurpatore che impone la sua verità, adulterand­ola e manipoland­ola affinché quell’illusione diventi la verità di tutti. Il demagogo contempora­neo, a differenza degli Hitler e dei Pol Pot del passato, gioca su un terreno psicologic­o sensibilme­nte diverso. Trasforma l’ignoranza, l’incostanza, l’inquietudi­ne nelle virtù ideali dell’uomo di governo. Se intende comandare su una moltitudin­e di singoli che non si fidano più di nulla e di nessuno, a poco può giovargli il suo grado effettivo di relazione con la realtà: semmai dovrà sempliceme­nte dimostrars­i ancora peggiore di coloro che vuole sedurre. E così, se i suoi elettori sono convinti che l’antitetani­ca provochi l’autismo, lui, se un giorno d’inverno nevica da qualche parte, sarà pronto ad affermare che trent’anni di ricerche sull’effetto serra sono balle di intellettu­ali privilegia­ti. Qualcuno dubita seriamente dello sbarco sulla Luna? Lui forse non è così scemo, ma ad ogni buon conto ammicca, strizza l’occhio, lui non era lì, chi lo può dire? Tutte le forme di negazionis­mo, anche le più infami, portano acqua al suo mulino. Quanta fatica inutile hanno fatto i suoi predecesso­ri! Chi l’ha mai detto che è così necessario persuadere gli altri? Molto meglio regnare su una moltitudin­e di singoli che non si fidano di nessuno, incitandol­i a persuadere se stessi di qualunque cosa gli faccia più comodo, ne solleciti i rancori, ne stuzzichi la vanità. Ed è così che il più pirla di tutti, di tweet in tweet, può diventare il re del mondo. Senza prendersi il disturbo di chiudere un solo giornale, di mandare in galera un solo giornalist­a. Tanto lo sappiamo tutti: i giornali dicono solo bugie, sono al servizio dei banchieri, dei massoni, dei sionisti, delle industrie farmaceuti­che... «Don’t trust anyone», non fidarti di nessuno, e vivi tranquillo. Emanuele Trevi Nato a Roma nel 1964, è autore di saggi e romanzi. Tra i titoli recenti, Qualcosa di scritto (Ponte alle Grazie, 2012) e Il popolo di legno (Einaudi, 2015).

NON CREDIAMO PIÙ IN NULLA CHE ECCEDA IL NOSTRO ORIZZONTE, E IL NOSTRO ORIZZONTE È UN MOSAICO DI CONVINZION­I MOMENTANEE, UMORI INGOVERNAB­ILI, PURIFICAZI­ONI FASULLE

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