COVER STORY
Di chi abbiamo fiducia?
ERA IL 1841 quando Ralph Waldo Emerson pubblicò uno dei suoi saggi più celebri, La fiducia in se stessi. Ancora oggi, si tratta di una di quelle rare letture effettivamente capaci di cambiare la vita, di fornirle un orientamento decisivo. Con la sua prosa trascinante, simile a un fiume in piena, il grande filosofo americano disegna la mappa di un mondo morale in cui l’individuo è finalmente capace di godere in modo pieno e incondizionato del suo diritto alla libertà. «Fidatevi della vostra personalità; non imitate mai nessuno». In poche decine di pagine, Emerson sferra un colpo mortale al conformismo, restituendo al singolo individuo, questo legittimo erede di tutte le cose, la sovranità del suo giudizio. Non si può dire che, considerati singolarmente, gli argomenti di queste pagine siano del tutto originali. L’esigenza di salvaguardare l’autonomia spirituale del singolo, nei confronti della società che «non progredisce mai», perché «perde da un lato ciò che guadagna dall’altro», è ben presente nel pensiero degli antichi, e la tradizione cristiana non tarderà ad appropriarsene. Ma è ugualmente vero che il tono fondamentale del saggio di Emerson suonò ai suoi contemporanei del tutto nuovo. Quello della fiducia in se stessi, infatti, è un ideale democratico, che in linea di principio non esclude nessuno, come solo un pensatore americano poteva concepirlo a metà dell’Ottocento. È una rivoluzione interiore accessibile a tutti, non più l’appannaggio di un individuo eccezionale, saggio o santo che sia. Ed è proprio per questo che la lettura di Emerson ci coinvolge, ci emoziona, ci mette in gioco. Il suo punto di vista si è affermato in maniera talmente trionfale che oggi non ci facciamo più nemmeno caso. Nelle librerie, appositi reparti rigurgitano di manuali nei quali la fiducia in sé vie-
ne insegnata come un’arte della quale è possibile acquisire una perfetta padronanza in dieci, o venti lezioni, praticando un certo numero di esercizi miracolosi ed accorgimenti validi per tutti e in ogni situazione. Non vi piace leggere? Poco male, potete trovare il guru giusto per voi su YouTube. E se pensate di dimenticarvi facilmente dei diritti sacrosanti del vostro ego e delle sue opinioni, potete sempre fare come Lana Del Rey, che si è tatuata sul braccio, a mo’ di promemoria, quella che forse è la formula-chiave della sensibilità e della mentalità contemporanea: «Non fidarti di nessuno». Suona bene, chi lo può negare? Prefigura un mondo di eroi, dotati della capacità di indicare a se stessi, in ogni occasione della vita, ciò che è meglio per loro.
SEMPRE DI PIÙ, CON IL PASSARE degli anni, la nostra civiltà appare dominata da un modello vincente, che si potrebbe sintetizzare in una semplice formula: «Colui che non se la beve». Volendo essere un po’ pedanti, si potrebbe riprendere in mano il saggio di Emerson per indicare una circostanza a dir poco imbarazzante. Il filosofo è certamente democratico, come dicevo, ma non per questo fa le cose facili. La felicità che promette, come tutte le felicità reali, è frutto di un duro lavoro. La via della saggezza è accidentata. Presuppone un complesso equilibrio di forze contrarie. La versione pop della Self-Reliance che impera nel mondo d’oggi, al contrario, non costa nulla, è un gadget psicologico, un doping cognitivo di cui non sono ancora state analizzate tutte le nefaste conseguenze. Oltre un certo grado di ipertrofia, infatti, la fiducia in sé non è più bilanciata dalla fiducia negli altri. E il conformismo si rovescia nel male opposto e complementare: il titanismo dell’ignoranza. Ahimé, la nostra società pullula di esempi e di sintomi così perniciosi di questo collasso della fiducia nel prossimo, che si ha paura a parlarne, tanto il livello di guardia appare superato. Tra le vittime dell’assolutizzazione della fiducia in sé una delle più insigni è il sapere specialistico e soprattutto quello scientifico. Nel sentire comune, enfatizzato dal web, una persona che si sia conquistata una competenza nell’unico modo in cui umanamente si può conseguire, ovvero attraverso un lungo e faticoso itinerario di studio e formazione, è secondo solo ai politici nella classifica dell’impopolarità. E il crollo verticale della fiducia nel sapere e nei titoli necessari per esercitarlo utilmente si accompagna a una miriade di fedi e credenze tanto più acritiche quanto più fondate sul nulla. Ricordo ancora, come fosse ieri, la prima volta che, durante una cena, ho ascoltato esterrefatto la madre di due bambini che si vantava di non averli vaccinati. Chiesi a questa signora, un’ottima esperta di musica jazz e conduttrice radiofonica, su che basi culturali avesse preso una decisione così importante, e se si fosse consultata con qualcuno di competente in materia. Non dimenticherò mai lo sguardo di superiorità e commiserazione con cui rispose alle mie ingenue domande. È vero che una rondine non fa primavera, ma spesso il singolo cretino è come lo squillo di tromba, l’aurora di un’epoca nuova della follia umana. Fatto sta che da allora ho visto dilagare inesorabilmente la stessa espressione di trionfale fanatismo in tutta la società. Cosa ne sanno i medici e i biologi dei vaccini, in fin dei conti? Una visione indipendente della realtà non è forse accessibile a tutti, gratuita, istantaneamente conseguibile come una chiave d’accesso magica ai misteri del mondo e della vita? La mia idea personale sui pericoli dei vaccini, maturata in un paio d’ore di navigazione in internet, non vale forse come un dottorato conseguito in lunghi anni di laboratorio? Il guaio di questa grottesca parodia del sacrosanto diritto alla critica e al sospetto è che si finisce per erodere quel piano di realtà condivise
OLTRE UN CERTO GRADO DI IPERTROFIA, LA FIDUCIA IN SÉ NON È PIÙ BILANCIATA DALLA FIDUCIA NEGLI ALTRI. E IL CONFORMISMO SI ROVESCIA NEL MALE OPPOSTO E COMPLEMENTARE: IL TITANISMO DELL’IGNORANZA
che è necessario proprio ad ogni critica e a ogni sospetto. E così come non abbiamo più fiducia nel sapere e nei complessi e laboriosi meccanismi della sua acquisizione, non abbiamo più fiducia nel passato, smantelliamo pezzi sempre più importanti della tradizione in nome di umori soggettivi e transitori. Così, il singolo responsabile di un ente lirico o di una rassegna musicale può decidere che il finale della Carmen di Bizet va cambiato, mentre il direttore di un museo rimuove un quadro famoso perché ritiene che sia lesivo di qualche presunto diritto di qualche chiassosa minoranza.
ERAVAMO STATI EDUCATI all’idea di trasmettere il passato a chi viene dopo di noi, con tutte le sue storie crudeli e le sue ingiustizie, deformandolo il meno possibile, proprio perché generazioni migliori della nostra potessero giudicarlo liberamente. Era questo il senso profondo, la ragion d’essere dell’umanesimo, dell’istruzione, della filologia. Oggi non ci fidiamo più delle nostre radici, e se qualcosa che proviene dal passato smentisce l’idea che ci siamo fatti di noi, preferiamo censurarla. Non crediamo più in nulla che ecceda il nostro orizzonte, e il nostro orizzonte è un mosaico di convinzioni momentanee, umori ingovernabili, purificazioni fasulle. Ricostruire il tessuto lacerato della fiducia nel prossimo diventa, in questo paesaggio di macerie, il più immane e insieme necessario dei compiti della cultura, dell’istruzione, della fantasia. Non si può vivere in un mondo in cui i significati coincidono senza margine con le capacità individuali, c’è sempre qualcosa che non comprendiamo, qualcosa che è più grande di noi, della nostra istintiva diffidenza. È tanto più urgente, questo compito, quanto più vediamo mutare sotto i nostri occhi le stesse strategie del consenso politico, che come si sa cavalca tutte le storture, da tutti i vizi del genere umano tenta di cavare il suo sporco vantaggio. Ed è proprio dalla crisi della fiducia che vediamo sorgere, come un astro che annuncia disgrazie, un tipo di dittatore inedito nella storia umana. Non avremo più a che fare semplicemente con l’usurpatore che impone la sua verità, adulterandola e manipolandola affinché quell’illusione diventi la verità di tutti. Il demagogo contemporaneo, a differenza degli Hitler e dei Pol Pot del passato, gioca su un terreno psicologico sensibilmente diverso. Trasforma l’ignoranza, l’incostanza, l’inquietudine nelle virtù ideali dell’uomo di governo. Se intende comandare su una moltitudine di singoli che non si fidano più di nulla e di nessuno, a poco può giovargli il suo grado effettivo di relazione con la realtà: semmai dovrà semplicemente dimostrarsi ancora peggiore di coloro che vuole sedurre. E così, se i suoi elettori sono convinti che l’antitetanica provochi l’autismo, lui, se un giorno d’inverno nevica da qualche parte, sarà pronto ad affermare che trent’anni di ricerche sull’effetto serra sono balle di intellettuali privilegiati. Qualcuno dubita seriamente dello sbarco sulla Luna? Lui forse non è così scemo, ma ad ogni buon conto ammicca, strizza l’occhio, lui non era lì, chi lo può dire? Tutte le forme di negazionismo, anche le più infami, portano acqua al suo mulino. Quanta fatica inutile hanno fatto i suoi predecessori! Chi l’ha mai detto che è così necessario persuadere gli altri? Molto meglio regnare su una moltitudine di singoli che non si fidano di nessuno, incitandoli a persuadere se stessi di qualunque cosa gli faccia più comodo, ne solleciti i rancori, ne stuzzichi la vanità. Ed è così che il più pirla di tutti, di tweet in tweet, può diventare il re del mondo. Senza prendersi il disturbo di chiudere un solo giornale, di mandare in galera un solo giornalista. Tanto lo sappiamo tutti: i giornali dicono solo bugie, sono al servizio dei banchieri, dei massoni, dei sionisti, delle industrie farmaceutiche... «Don’t trust anyone», non fidarti di nessuno, e vivi tranquillo. Emanuele Trevi Nato a Roma nel 1964, è autore di saggi e romanzi. Tra i titoli recenti, Qualcosa di scritto (Ponte alle Grazie, 2012) e Il popolo di legno (Einaudi, 2015).
NON CREDIAMO PIÙ IN NULLA CHE ECCEDA IL NOSTRO ORIZZONTE, E IL NOSTRO ORIZZONTE È UN MOSAICO DI CONVINZIONI MOMENTANEE, UMORI INGOVERNABILI, PURIFICAZIONI FASULLE