10-ZONE – DUELLO D’OPINIONI
Mangiare l’agnello il giorno di Pasqua: tradizione superata?
controversie civilmente sollevate
Paolo Trianni, 50 anni, è docente di Teologia alla Pontificia Università Urbaniana e vicepresidente del Centro Studi Cristiani Vegetariani. Niko Romito, 43 anni, è uno chef italiano che ha ricevuto il riconoscimento delle tre stelle Michelin. Il suo ristorante, il Reale, si trova nel suo paese d’origine, Castel di Sangro in Abruzzo
LA TRADIZIONE di mangiare l’agnello a Pasqua ha premesse bibliche: è innegabile che tanto nell’Antico quanto nel Nuovo Testamento la carne venga consumata, e che questa abitudine in particolare abbia origine ancora nella tradizione ebraica. Tuttavia, se non si può immaginare un’evoluzione della teologia, ritengo sarebbe comunque auspicabile uno sviluppo della dottrina in direzione diversa. Oggi la tutela degli animali è un tema importante, a livello legislativo e culturale. Anche papa Francesco, che pure non è vegetariano né animalista, nell’enciclica Laudato Si’, fa notare come l’alimentazione senza carne potrebbe aiutare il mondo dal punto di vista dell’ecologia, aiutando a risolvere i problemi d’inquinamento che gli allevamenti di bovini contribuiscono a creare. Gesù stesso si è immolato come un agnello, offrendo il suo corpo proprio per superare il sacrificio violento. A mio parere, accantonare l’abitudine dell’agnello pasquale aiuterebbe anche dal punto di vista pastorale, permettendo il riavvicinamento di tanti cattolici che si tengono lontani dalla Chiesa proprio perché vivono con disagio la scarsa sensibilità nei confronti degli animali, considerando barbaro uccidere un povero agnellino per celebrare una festività. Forse Gesù non ha parlato esplicitamente di vegetarianesimo, però ha fatto di più, predicando l’amore universale, mettendo nel cuore dell’uomo la capacità di scegliere. Oggi l’alimentazione carnivora non è più necessaria, mangiare agnello non è un atto religioso, quindi sarebbe bene abbandonarlo. Al limite, per non rinunciare all’atto simbolico, si potrebbe magari mantenere l’usanza offrendo agnelli di cioccolato. SE SI DECIDE di evitare qualunque tipo di consumo che abbia a che fare con gli animali è un conto. Se però gli appelli riguardano solo alcuni animali, ritengo che l’approccio sia molto superficiale. Certo, gli agnelli sono più carini dei maiali o dei polli, almeno secondo parametri che poco hanno a che fare con la zootecnia o con la zoologia, ma la logica sarebbe quella di mangiare solo gli animali brutti? Inoltre la produzione di carne è strettamente legata a quella dei latticini. Ogni pecora che produce latte, partorisce un certo numero di agnelli nel corso della vita. Le femmine vengono avviate alla riproduzione, e cosa dovrebbero fare i pastori e gli allevatori con i maschi? Paradossalmente, i vegetariani possono continuare ad acquistare formaggi anche grazie a chi compra la carne di agnelli, vitelli e capretti. Come sempre, non esistono comportamenti che è bene applicare universalmente, ma invece ognuno deve compiere liberamente le sue scelte, con consapevolezza. Il punto chiave resta la qualità complessiva dei prodotti, dal punto di vista organolettico, ambientale, sociale e culturale. Le carni che garantiscono questi livelli di qualità vanno pagate il giusto, essendo così magari portati a consumarne meno. E gli ovini in particolare, che mal sopportano gli allevamenti intensivi, sono spesso un’ottima scelta per chi, con moderazione, sceglie di mangiare carne. Senza dimenticare che spesso parliamo di zone spesso non adatte all’agricoltura o ad altro. Padroni qui sono gli allevatori di capre e pecore. Se non avessimo più quelle economie metteremmo a rischio anche quei territori, già fragili sotto tanti punti di vista.