Torino, Porta Palazzo: «Curo pazienti di 54 nazionalità»
«IN QUATTRO, CINQUE anni, i miei pazienti sono passati da meno di mille a oltre duemila. Come? La zona popolare di Porta Palazzo, a Torino, dove esercito, è sempre stata abitata da famiglie grandi, con molti figli. E quando la popolazione originaria stava iniziando a invecchiare, tutto è cambiato. Per un’anziana che se ne andava e lasciava un appartamento, arrivavano a occuparlo famiglie di 7, 8 persone. La maggior parte dal Nord Africa, soprattutto dal Marocco. Ma anche dall’Asia e dal Sud America. Ho contato le nazionalità dei miei pazienti: sono 54».
IL MEDICO DI FRONTIERA Paolo Gambetta ha 65 anni e da 35 lavora nella stessa zona. E lavora molto. «Un medico di famiglia non dovrebbe seguire più di 1.500 pazienti», spiega, «ma ci sono molte deroghe: e chi ha un permesso di soggiorno a tempo determinato non entra nel novero dei pazienti a tempo indeterminato, quindi non conta». Risultato: Gambetta è quel che si dice un “super-massimalista”. Per contratto deve essere in studio almeno tre ore al giorno. Ma ci sta parecchio di più: in genere arriva un’ora prima dell’orario e poi, per legge, deve visitare tutti quelli che sono entrati in studio entro i limiti di tempo prestabiliti. «Quindi si sfora sempre. In media ho sei visite l’ora, ma non lavoro con il cronometro in mano. Un colloquio dura anche mezz’ora se serve; una ricetta si fa in pochi minuti ». E poi ci sono le email e la segreteria telefonica. Bisogna rispondere al cellulare. «Ho pensato a organizzare le visite su appuntamento, ma i miei pazienti, molto anziani o stranieri, non sono abituati. Così faccio alla vecchia maniera: arrivano e li visito. Per convincerli a fissare un appuntamento ci vorrebbero anni. E io, nel 2023, vado in pensione». LA PENSIONE. I medici che ci vanno, nessuno li sostituisce. Un tasto dolente ovunque, anche in Piemonte. «Ho tanti pazienti», conferma Gambetta, «anche perché un collega è andato in pensione. Nella mia area ci sono venti medici, la più giovane ha cinquant’anni. Sarà necessario tornare a fare sostituzioni e rendere più appetibile il corso di studi. Durante la specializzazione in Medicina di base la retribuzione è molto inferiore rispetto alle altre specializzazioni ». Viene il dubbio che questa sia vista dai giovani come una specializzazione di serie B, soldi a parte. «Probabile», riflette Gambetta. «Ma io mi diverto ancora tanto, specie con questi pazienti giovani e stranieri. Se fossero tutti italiani non ce la farei. Già me lo immagino: qualcuno che ha letto su Internet che i vaccini fanno male, e vuole discuterne. Gli stranieri si fidano: cure e medicine nei loro Paesi sono roba da ricchi, qui sono gratis. E poi non chiedono quasi mai visite a domicilio. Vero che le visite a casa sono a giudizio del medico, cioè mio, ma sarebbe mai possibile dire di no a una novantenne, che mi telefona e dice che ha l’influenza? Non sono uno all’antica, uso anche WhatsApp. Ma la professione deve restare la stessa».