MARATONA IN AEROPORTO
Un’addetta agli imbarchi di Malpensa è diventata una star dei social condividendo le bizzarre richieste dei passeggeri. L’abbiamo seguita al lavoro (e non solo) per due giorni, per scoprire come funziona la vita negli aeroporti
48 ore da hostess di terra
INTERNET (per adesso, non si sa per quanto) è ancora un luogo che esalta la creatività. Tra vecchie, presunte star che provano a riciclarsi in veste 2.0, ci sono persone capaci di inventare nuovi modi di comunicare. Ambra Garavaglia, una hostess che racconta su Twitter i dialoghi più assurdi con i passeggeri, sembra essere una di loro. L’ho scoperta per caso, qualche mese fa, per poi vederla trasformarsi in un piccolo fenomeno della rete: ha decine di migliaia di follower (più di 70mila fra Twitter, Instagram e Facebook), ha pubblicato un ebook e ha già partecipato a qualche trasmissione in televisione e in radio. Mi sono chiesta: è autentica? Racconta (bene) o inventa (benissimo)? Chi è? Come vive, quando non picchietta ironicamente sullo smartphone?
Martedì, ore 18.00
Faccio la cosa più semplice: vado sul suo profilo Twitter per contattarla. C’è un indirizzo email che sembra appartenere a un’agenzia di spettacolo. Storco il naso: il timore è di imbattermi in un prodotto pensato a tavolino per raccogliere seguaci e (poi) sponsorizzazioni. Decido di proseguire e le scrivo. Risponde subito. È gentile ed entusiasta quando le racconto il mio progetto. Mi spiega che l’indomani sarà di turno in aeroporto alle 8.15 del mattino.
Mercoledì, ore 6.30
Parto da Milano, in macchina, all’alba. Il cielo si accende di un raro azzurro e l’aria è fresca e tagliente. Un regalo se si guida in direzione di Malpensa: per gran parte del tragitto assisto allo spettacolo delle cime innevate. Mi mette di buon umore. Ho puntato verso
l’aeroporto perché Ambra abita in un paesino vicino. Quando entro in casa è quasi pronta: capelli stirati alla perfezione, divisa già indossata, trucco impeccabile, smalto senza una sbavatura. Sbircio le foto sul frigorifero. «Ci siamo sposati in chiesa perché siamo molto religiosi», racconta Fabio, il marito di Ambra, intento a fare la sua atipica colazione: integratori per i muscoli. È un ex personal trainer, ora imprenditore. Scherza sul suo fisico palestrato: «Mi devo tenere in forma, altrimenti adesso che è diventata famosa mi lascia». Arriva Leo, due anni e mezzo, con il pigiamino stropicciato. Leo, come il figlio di Chiara Ferragni: «Sì, la seguo. Sai che il tatuatore di Fedez è lo stesso di mio marito?», racconta Ambra mostrandomi un disegno che raffigura la dea Kalì sul corpo di Fabio. Anche lei, classe 1988, ha il braccio totalmente coperto da un tatuaggio. «Per fortuna la divisa lo copre», sorride.
Ore 7.15
Impieghiamo venti minuti scarsi per arrivare a Malpensa. E un quarto d’ora dal parcheggio riservato ai dipendenti alla saletta in cui Ambra lascia le sue cose. «Prima di andare in tv nessuno sapeva dei miei tweet. Adesso alcuni colleghi sono contenti. Altri un po’ invidiosi. Una sta cercando persino di emularmi», dice mentre camminiamo. Ha un turno di sei ore (lavora quattro giorni a settimana e ne ha due di riposo, che non capitano quasi mai nei weekend), senza pausa. È dipendente dell’aeroporto, dal 2008 (è passata da contratti con Globe Grounde, Sea Handling e, adesso, con Airport Handling), fa la hostess di terra. In sostanza si occupa di tutto quello che succede prima dell’apertura del portellone. Non vola per lavoro, e quando lo fa per piacere ha un po’ paura, mi confessa. Da quando siamo arrivate non ha mai preso
ALLE SEI E MEZZO DEL MATTINO AMBRA È QUASI PRONTA: CAPELLI STIRATI, DIVISA INDOSSATA, TRUCCO IMPECCABILE
«PRIMA DI ANDARE IN TV NESSUNO SAPEVA DEI MIEI TWEET. ORA ALCUNI COLLEGHI SONO CONTENTI. ALTRI UN PO’ INVIDIOSI. UNA STA CERCANDO DI EMULARMI»
in mano lo smartphone. «Durante l’orario di lavoro non posso, se succede qualcosa di divertente me lo appunto su un foglio e lo twitto dopo». Le hostess, scopro, in aeroporto e nelle zone circostanti non possono nemmeno fumare o sedersi al bar.
Ore 8.00
Assisto alla riunione pre-volo. La gestiscono le hostess della compagnia, che danno indicazioni alle colleghe “di terra” sul numero di passeggeri e sulle loro eventuali necessità. A bordo dell’Emirates Ek206 verso Dubai e in arrivo dagli Stati Uniti delle 13.05, ad esempio, c’è un signore che ha chiesto di essere spostato. L’aereo è mezzo vuoto e la responsabile dà il permesso. Sono tutte donne, elencano una serie di codici (per i disabili, ad esempio, “romeo” indica difficoltà a camminare e “charlie” l’impossibilità di farlo), ricapitolano gli orari (il check-in aprirà tra un’ora), assegnano i ruoli (due persone ai banchi economy, una al business, una all’online e una al first) e si congedano.
Ore 13.00
Il volo sta per decollare, mi sono appuntata le situazioni particolari. Una band di 18 musicisti. Stanno andando a Dubai per un festival. Si chiamano De tamarros e suonano musica da discoteca Anni 70 (appena se ne vanno guardo i loro video su YouTube: simpatici). Un signore malese con un enorme aquilone. Ha partecipato a una gara a Spotorno. Una ragazza con il nome sul biglietto diverso da quello del passaporto: pensa che l’errore sia nel visto e perde dieci minuti.
Poi una con un insetticida potentissimo. Per capire se potevano imbarcarlo, Ambra e le sue colleghe cercavano il «simbolo del pesce morto, che vuol dire che è tossico». Non c’era, ma il prodotto non poteva comunque salire a bordo in quanto infiammabile. La passeggera si è informata sulla possibilità di lasciarlo in un deposito. Ambra le ha spiegato con pazienza che avrebbe speso più del costo del prodotto e lei si è rassegnata. Io, intanto, scalpitavo per sapere se c’era materiale buono da tweet.
Ore 16.00
Ho sonno. Ambra è ancora impeccabile. Abbiamo pranzato in aeroporto alla fine del suo turno, con un panino, e siamo tornate a casa. «Ambra, ti piacerebbe sfruttare quest’onda di popolarità per cambiare lavoro?», le domando. «Sì, certo, ma sto con i piedi per terra. Vediamo cosa succede», risponde. Anche perché si è già resa conto di come il percorso sia tutt’altro che lineare e in discesa: «Mi sono affidata all’agenzia perché non so come muovermi. Per chiedere un rimborso spese, ad esempio: c’è una trasmissione che non mi ha ancora ripagato il treno. E sono passate tre settimane».
Ore 18.00
Portiamo Leo a lezione di rugby. Rugby si fa per dire: sono scricciolini di pochi anni cui viene insegnato a correre dritto e a lanciare palloni di gommapiuma. Noto con gioia che ci sono anche delle bimbe: non viene considerato uno sport per soli maschi. Ambra fa qualche foto. Le chiedo se non la preoccupi pubblicare
il volto di Leo così spesso: «Non dovrei mandarlo neanche a scuola o al parco allora: chiunque potrebbe fotografarlo e metterlo online. Evito di coinvolgerlo quando non ha voglia e spero che in futuro capisca che io e il suo papà, io soprattutto, usavamo anche questo modo per fargli capire quanto è importante per noi». Aggiunge: «Poi sto attenta a non dare dettagli sulla posizione in cui mi trovo, se c’è lui».
Giovedì, ore 7.30
Ieri sera, causa traffico, ho impiegato un’ora in più per tornare a casa. Oggi Ambra ha di nuovo il turno del mattino. In macchina mi racconta di quanto la faccia star male subire attacchi in rete: «Appena twitto qualcosa controllo tutte le risposte. Non capisco davvero chi si accanisce e mi accusa di cose assurde». Tipo? «Di prendere un sacco di soldi, come se twittare facesse guadagnare, o di inventarmi i dialoghi».
Ore 10.00
Sosta al bar. Prendo una ciambellina, una spremuta e un pacchetto di gomme da masticare: 8,60 euro. Chiacchiero con un’amica di Ambra. Non lavorano insieme, ma vengono dallo stesso paese. Scopro che la maggior parte delle persone che lavorano qui abita nei dintorni.
Ore 11.00
Decido di vivermi un po’ l’aeroporto alla The Terminal, il film: quando il non-luogo di passaggio diventa luogo di permanenza e osservazione. Non avevo mai notato, ad esempio, la struttura per il book crossing: puoi pescare un libro o lasciarne tu uno agli altri passeggeri. Non ci sono prese dell’elettricità, mi si scarica la batteria del telefonino. Ed è un bene, così posso godermi la noia sulle scomode poltrone guardando rapita un decollo dopo l’altro. Raggiungo Ambra,
che sta gestendo tre voli Lufthansa (per Monaco, Francoforte e Zurigo), giusto in tempo per vedere un tweet prendere forma: una signora, straniera, le chiede a che ora deve partire. «Con quale compagnia?» «Lastanza». «Scusi?». «Lastanza, parto con Lastanza». «Ok». Lo twitterà ore dopo generando migliaia di interazioni. Incrocio una coppia di scandinavi con gli sci – «Ci sono voli in cui ne imbarchiamo fino a 50 paia» – e un’altra cui viene consigliato di dividere il bagaglio in due per evitare di pagare il sovrapprezzo per l’eccessivo peso. Un classico.
Ore 14.00
Oggi pomeriggio stiamo a casa. Fabio e Leo sono usciti, Ambra deve buttare giù il testo per il TEDx di San Giovanni in Persiceto. È emozionatissima: i TED talks sono eventi organizzati in tutto il mondo per dar modo a persone di qualità o influenti di raccontarsi in 18 minuti al massimo. La osservo senza disturbarla. Ha la fronte aggrottata e si distrae spesso con il cellulare. «Poi quando attacco non smetto più di scrivere», mi assicura un paio di volte. Va come ha detto, e dopo un paio d’ore ha una bozza pronta.
Ore 18.00
Vado verso casa. Continuo ad aggiornare Twitter per vedere se altri momenti della mia giornata sono diventati un micro-racconto efficace della ragazza semplice, aperta e autentica – o almeno così mi è sembrata dopo due giorni gomito a gomito – che ho conosciuto. Guardo verso il cielo e vedo un aereo decollare. L’ennesimo delle ultime 48 ore. E penso: sul prossimo ci voglio salire.
SITUAZIONI PARTICOLARI DEL GIORNO: UNA BAND DI 18 MUSICISTI, UN MALESE CON UN ENORME AQUILONE, UNA RAGAZZA CON IL NOME SUL BIGLIETTO DIVERSO DA QUELLO DEL PASSAPORTO