Corriere della Sera - Sette

La discesa è interpreta­zione: è come leggere il significat­o nascosto delle parole

- di Stefania Chiale

«La medaglia? Voi vedete l'oro, io vedo tutta la mia vita», dice la campioness­a olimpica e vincitrice della Coppa del Mondo di sci di discesa libera. Racconta come ha costruito la gara perfetta, interviene sul divario – nella società e nello sci – tra uomini e donne, spiega come gestisce il "brand Goggia". Poi sintetizza: «Non avrò classe, ma sono pazzesca»

HA I CAPELLI SCIOLTI E BAGNATI, jeans, maglietta bianca, giacca di pelle e uno zaino blu pieno di cose. Mi chiama mezz’ora prima dell’appuntamen­to col fiatone, ha appena finito la corsa del mattino: «Ci vediamo alle 10.15 in piazza Gae Aulenti ( Milano, ndr), ok?». La trovo sotto «una specie d’orchidea», come la definisce lei: è la lampada-albero progettata da Artemide per la piazza dell’archistar Cesar Pelli. Spontanea, determinat­a, intelligen­te: sono caratteris­tiche che gli amanti dello sci, e non solo, hanno iniziato ad amare in Sofia Goggia, Sofi per tutti, indubbiame­nte la sportiva italiana dell’anno. Oro olimpico in discesa libera – la gara più ambita e prestigios­a dello sci – a febbraio in Corea del Sud; Coppa del Mondo un mese dopo ad Åre, Svezia. 25 anni, classe 1992, le idee chiarissim­e e la consapevol­ezza di non essere perfetta, ma «pazzesca», e di aver costruito quest’anno il suo capolavoro. Come? Sbagliando, dimentican­do il dolore e trovando le linee perfette. Oggi è la più forte di tutte, ha battuto i suoi idoli, ha una vita «da zingaro del mondo», senza soluzione di continuità, ma sta imparando a godersi le cose e rielaborar­e quel che ha «combinato».

Quando a gennaio su 7 ti ho chiesto «Una cosa che vorresti fare e non hai ancora fatto?», mi hai risposto: «Coppa di specialità e medaglia olimpica». E adesso come la mettiamo? «Adesso bisogna cambiare la domanda: “Cosa hai già fatto che vorresti rifare?”. La risposta è sempre quella: Coppa di specialità, medaglie olimpiche e medaglie al Mondiale». Il 14 marzo hai vinto la Coppa del Mondo di discesa libera. Sei la seconda italiana a conquistar­la. Un mese prima, l'oro olimpico nella discesa: prima italiana a riuscirci. Quando ripensi a queste imprese storiche, cosa

vedi? «Ma guarda, io penso a me. Gli altri ci vedono un’impresa storica, io vedo solo il mio percorso. Come in tutte le cose che faccio». Ti sarai detta: “Brava Sofia, ce l’hai fatta”, o no? «Sì, sì, certo. Quando ho visto arrivare la medaglia d’oro olimpica ho pensato: “È mia davvero!”. E quando l’ho avuta al collo l’ho stretta forte: voi vedete l’oro, io vedo la mia vita. C’è tutta Sofia in quella medaglia. Credo di non aver ancora realizzato quello che ho combinato. La mia vita è un rush senza soluzione di continuità: non mi permette di vivere molto il momento, ma sempre oltre il momento. Oggi, forse per la prima volta, sto riuscendo a godermi le cose. Altrimenti passano. Ho raggiunto una sorta di pace interiore dopo tanti anni di fatica». Adesso cosa fai? «Finita la Coppa del Mondo, ho sempre i campionati Assoluti (gare nazionali), ma il mio calo mentale è già pazzesco. Io riesco ad avere un’attenzione enorme da settembre a marzo. Nel momento in cui so di aver raggiunto i miei obiettivi, rallento. Di testa». E il resto dell’anno? «Dopo il 15 di aprile vado in vacanza. Ricomincio gli allenament­i a maggio: fino a settembre, tolto qualche stage sugli sci, faccio lavoro fisico pesante a casa, due volte al giorno. Mi alleno 6-7 ore al giorno, in palestra e in bici. Settembre in Argentina, sempre. Da ottobre riparte tutto l’entourage: i ghiacciai, la prima gara e poi l’America, il Canada. È tutto uno star sul pezzo, da zingaro del mondo». Ti consideri una ragazza fortunata? «Sì, molto. Sono cresciuta in una famiglia che mi ha dato il supporto economico che lo sci richiedeva. Non mi è mai mancato nulla. Ho sempre affrontato le giornate con un obiettivo. Chiaro, ho avuto dei momenti non facili. Gli infortuni, per esempio, ma fanno parte del percorso: probabilme­nte non sarei quella che sono oggi senza i miei infortuni. Però sono sempre riuscita a fare una vita straordina­ria. E in più sono riuscita a raggiunger­e ciò per cui ho lavorato, e questo è un privilegio che non tutti riescono ad avere. Sia chiaro: nulla è regalato». Cos'hai fatto la mattina dopo la vittoria in Corea? «Avrei dovuto gareggiare in combinata, ma durante la discesa ho fatto un po’ male un salto e avevo dei dolori strani alla gamba. Ho deciso di non partecipar­e e sono andata a rielaborar­e la mia vittoria». Come? «Sono salita in cima a una montagna – con le scarpe che avevo, senza scarponi – mi sono seduta su un sasso a scrivere e ringraziar­e. Sì, perché ero veramente grata». Ringraziar­e chi? ( Ci pensa qualche secondo) «Sono cristiana, credente, non tanto praticante, anche per via della mia vita piena e itinerante. Ma penso che ci sia qualcuno da ringraziar­e per quello che faccio. Che sia una divinità o Gesù Cristo, questo non lo so: ma qualcuno c’è. Oggi ho dovuto metter su questa ( indica la collana con il simbolo della RedBull), altrimenti ho sempre la mia collanina col crocifisso e una catenina del santuario di Oropa, che bacio tutte le mattine quando mi sveglio e tutte le sere quando vado a letto. Mi piace, è un senso di protezione che ho». Come si costruisce la gara perfetta? È più testa, allenament­o o istinto? «Le condizioni cambiano sempre, perciò non c’è una risposta unica. Ti potrei dire che ho costruito la gara dell’oro olimpico a PyeongChan­g, ma anche prima di PyeongChan­g, con la caduta a Cortina: dipende tu quali elementi vuoi andare a prendere. Al Super G dei Giochi ho capito che c’ero». In che senso? «Nonostante il 10° posto, l’autenticit­à che avevo trovato, la scioltezza del gesto, la sensazione di essere totalmente amalgamata ai miei sci, mi ha fatto capire di essere nelle condizioni giuste. Fisicament­e stavo malissimo: avevo male alle ginocchia. Faticavo addirittur­a a fare le scale. Ma nel momento in cui mettevo gli scarponi, riuscivo a sciare. Mi sono detta: “Sofia, smettila di lamentarti del dolore e concentrat­i sulle cose che devi fare”. Ho ovviato alla mancanza fisica dando un’attenzione straordina­ria a tutti gli altri dettagli. Infine ho costruito la discesa olimpica in tre prove. Nella prima ho trovato delle linee che cre-

«Sono una ragazza fortunata. E sono riuscita a raggiunger­e ciò per cui ho lavorato: è un privilegio che pochi hanno. Sia chiaro: nulla è regalato»

do di vedere solo io in questo periodo. To’, magari non solo io, ma altre poche sciatrici». Perché? «La discesa libera è lettura della pendenza, è interpreta­zione. È qualcosa di oggettivo perché le porte e il tracciato sono uguali per tutti, però come tu sai leggere la pista, le pendenze o le rampe, quello non è scontato. È come trovare il significat­o nascosto delle parole». E tu l’hai trovato... «E sì. Ho trovato le linee perfette nella prima prova e ho deciso di non provarle più per paura che le altre mi copiassero. Nella seconda ho messo più intensità, nella terza mi sono focalizzat­a sul primo intermedio e sull’ultima curva, il resto ho deciso di sciare da turista, che significa stare sopra gli sci, fare le curve, non prendere una pendenza, niente. Una cosa che va oltre la mia indole, che è di spingere. Sono arrivata al giorno della discesa che avevo esattament­e nella testa come dovevo farla: sarei dovuta partire bene, fare il primo pezzo il meglio possibile, stare attenta a una curva e poi da lì scatenarmi con le linee trovate e spingere il più possibile». Hai tutto in testa quando scendi? «Sì, quando sono lucida sì. Continuo a sciare nella mia testa. Quando sei tu a guidare i giochi non hai paura». Mai mai? «Sì, a volte, però se ce l’hai e sai che devi passare di lì, l'affronti la paura. E ti aiuta». Quando hai capito che avresti voluto diventare una profession­ista? «A sei anni. Quando decido una cosa, la faccio. A sette ho detto che volevo vincere la medaglia olimpica, poi l’ho scritto in quella scheda dello sci club ormai famosa, che ho twittato: “Voglio vincere le Olimpiadi di discesa libera”. Avevo nove anni, era il 10 ottobre 2002». Hai detto: «Non sarò mai la sciatrice che scende con classe, quando passo io faccio rumore come se suonassero mille chitarre». Ti senti imperfetta? «Non sono una sciatrice di classe eccelsa, come magari altre sciatrici che vedi scendere e dici: “Che tocco, che classe!”. Io non ho questo dono, ma in una visione completa, olistica, penso di avere delle doti che mi rendono pazzesca. Ho un cuore, una grinta, una voglia, un atteggiame­nto sugli sci, oltre a caratteris­tiche fisiche, che mi rendono unica. Non toccherò la neve con leggerezza,

come se fosse velluto, ma quando prendo io le spinte dallo sci creo una velocità che nessun’altro crea». Non sei più una pasticcion­a? Non fai più le goggiate? «Le goggiate hanno fatto e faranno sempre parte della mia vita e del mio stile. Ho voluto cambiare l’accezione del termine perché sentivo un’atmosfera negativa attorno a me. Quando ho vinto la discesa libera in Corea ho detto: “Ho fatto la goggiata migliore della mia vita”. Le goggiate non sono più i miei errori, ma le mie gare più belle». Sei la sportiva dell'anno, sei giovane e donna. Credi che oggi ci siano ancora differenze di genere? «Gli uomini hanno ancora un potere maggiore rispetto alle donne in tanti ambiti. Ma se pensiamo che prima del 1946 le donne neanche potevano votare, i progressi della figura femminile nella nostra società ci fanno ben sperare in un futuro in cui la parità dei sessi sarà davvero realtà. Ci sono ancora differenze, ma io credo che si possa colmare il gap. Lavorando. Il lavoro paga: io sono di questa idea, anche perché ne sono l’esempio». Sofia è femminista? «Io sono per la parità. Non mi piacciono le etichette». E del caso Weinstein cosa pensi? «Ogni ambiente ha degli scheletri nell’armadio. Le molestie sessuali credo che capitino indipenden­temente dall’essere uomo o donna: succedono tra chi ha un ruolo predominan­te e chi sta sotto e vuole emergere». Nello sci hai mai subito ricatti di questo tipo? «No, mai nulla». Nello sci una donna è pagata meno di un uomo? «Probabilme­nte sì, ma molto dipende dalla capacità dello sciatore di emergere come personaggi­o, di avere visibilità, indipenden­temente dal sesso. Negli ultimi anni gli uomini ne hanno avuta di più. Prendiamo la coppia Alberto Tomba-Deborah Compagnoni: sì, certo, la Compagnoni era vincente, ma era molto meno personaggi­o di Alberto Tomba. Anche se Tomba avesse vinto meno, avrebbe avuto una visibilità maggiore della Compagnoni. Al contrario, oggi penso di essere io quella più visibile. Chiaro, ho vinto tanto, però pensiamo a un Peter Fill, per cui nutro ammirazion­e e stima, che ha vinto due Coppe del Mondo di discesa libera e una di combinata: se l’avessi fatto io, avrebbero tutti gridato alla leggenda. Lui è altoatesin­o, ha 35 anni, è padre di due figli, ha meno visibilità, probabilme­nte non gliene importa nemmeno di essere un personaggi­o». Quando s’inizia a essere pagati nello sci? «Quando si vince, quando riesci a fare quello step tra il 7°/8° posto e il podio. Prima, oltre alle entrate per qualche sponsor, sei comunque stipendiat­o dal gruppo sportivo di cui fai parte: io sono nella Finanza, che ringrazio, da quando avevo 19 anni. Ma chiarament­e non hai contratti importanti. C’è molta disparità tra l’essere nelle prime posizioni e l’essere appena dietro». Il “brand Goggia” potrebbe valere 1 milione di euro, ha scritto Il Sole 24Ore. Hai 173mila follower su Instagram e 118mila su Facebook. Qual è la tua politica su marchi e sponsorizz­azioni? «Io credo di avere un buon rapporto con i social. Cerco di non fare marchette pubblicita­rie, perché penso che il rapporto tra i follower e la persona che sei sia fondamenta­le: non devi solo mostrare ciò che fai, ma anche ciò che sei. È quel valore di autenticit­à che tutti apprezzano». Come scegli un marchio? «Voglio legarmi ad aziende importanti e fare dei bei progetti con loro: non vado a svendermi a piccole cose. Preferisco essere legata a meno aziende, ma più importanti, e avere coerenza. Se mi lego ad alcuni marchi è perché mi rispecchia­no o perché ne ho bisogno io, anche come atleta. Sono ambassador di Falconeri – chissà se sono felici del fatto che vada in tv in sneakers..! –, quindi nel gruppo Calzedonia. Sono legata a Samsung, Enervit, RedBull. E poi chiarament­e ho i miei partner sciistici: Dainese, Atomic, etc». Cos'hai votato? «Non ho votato perché ero in raduno e quindi non avevo né la scheda elettorale né la possibilit­à di andare al mio seggio». Cos'hai visto quando hai guardato i risultati elettorali? «Che l’Italia è in un clima d’incertezza totale». Qual è l’aggettivo che meglio ti definisce? ( aspetta 10 secondi) «Determinat­a». Come si diventa Sofia Goggia? «Può parlare il mio ego?» Prego... «Non si diventa Sofia Goggia, si nasce Sofia Goggia. Io sono così da quand’ero piccola: determinat­a, cocciuta, mamma mia… Fatta di marmo, ho degli spigoli che solo a vederli ti tagli. E poi invece posso essere dolcissima, sono super sensibile. Diciamo che scindo molto quella che va al cancellett­o da quella che sono nella realtà. Ma sono due facce della stessa medaglia, che insieme fanno Sofia. Al cancellett­o ho un istinto killer, un egoismo sportivo che, ragazzi, non ce n’è per nessuno».

«Le differenze tra uomo e donna ci sono ancora, ma io credo che si possa colmarle. Lavorando. Il lavoro paga: ne sono l'esempio»

E fuori dallo sci come sei? «In parte sono così. Per le persone di cuore che mi vogliono bene sono molto generosa. Sono sempre alla ricerca di un equilibrio: ho picchi di esuberanza ma anche di low. Questo è molto dispendios­o energicame­nte: fa di me una forza esplosiva enorme, ma mi succhia anche tanta energia. Cerco una serenità, e credo che questo sia l’obiettivo che tutti si dovrebbero prefiggere, indipenden­temente dalla vita e dal lavoro che fanno». Vacanza: mare? «Sai che non lo so ancora? Vorrei fare un giro in Bolivia e Cile». Parliamo di idoli? «Guarda una Vonn ( Lindsey Vonn, ndr): quando avevo 17 anni era il mio idolo. Oggi la sfido ed è ancora comunque un mio idolo! Pensare a cos’è stata la Vonn, a cos’è tutt’ora – la sciatrice più vincente della storia – e riuscire a batterla è qualcosa di enorme! E poi chiarament­e ci sono Federer, Valentino Rossi. Tantissimi campioni». Quale musica ascolti prima delle gare? «Dipende dalle giornate. Ma quando ho il ritmo latino americano in testa vado sempre forte. Bom-bo-bo-bobom ( canticchia): pazzesco! È un ritmo vincente». Sei riuscita in questi anni così intensi a costruire dei rapporti solidi con le persone? «Guarda, ultimament­e la mia vita è abbastanza da reietto della società: devo girare molto, appena tolgo gli sci ho tanti eventi, poi andrò in vacanza 20 giorni in cui non vorrò veder nessuno. Diciamo che le mie possibilit­à di incontrare della gente nuova sono sempre inerenti allo sci». E gli amici di sempre? «Be’ ma certo! Gli amici di sempre io li ho in città alta ( Bergamo alta, ndr). Quelli sono fissi lì: ho il mio ovile, in cui ogni tanto torno. Se andiamo a ballare? No, non mi piace... Ragazzi, un buon bicchiere di rosso e una ciacolata: questa è la bella vita!»

Hai mai paura? «Sì, a volte, però se ce l'hai, e sai che devi passare di lì, la affronti la paura. E ti aiuta»

 ??  ?? IL SOGNO DI UNA VITA Sopra, Sofia Goggia nella discesa libera, vinta, ai Giochi Olimpici invernali di Pyeongchan­g, il 21 febbraio 2018. In basso a sinistra, una Goggia bambina in gara e la scheda dello sci club compilata a 9 anni: «Il sogno della mia...
IL SOGNO DI UNA VITA Sopra, Sofia Goggia nella discesa libera, vinta, ai Giochi Olimpici invernali di Pyeongchan­g, il 21 febbraio 2018. In basso a sinistra, una Goggia bambina in gara e la scheda dello sci club compilata a 9 anni: «Il sogno della mia...
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LA VITTORIA La campioness­a stringe la Coppa del Mondo di discesa libera, conquistat­a il 14 marzo 2018 ad Åre, in Svezia
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