CHIOME E IDENTITÀ
Maschi, arabi, giovani, un po’ vanitosi
Barbe scolpite, tagli alla moda, maschere per il viso; in Medio Oriente sempre più uomini (non solo ricchi) si preoccupano del proprio aspetto. Nei saloni di bellezza si fa strada una nuova idea di mascolinità, in bilico tra conservatorismo e gusto occidentale
SE VUOI LA BARBA BEN RIFINITA, praticamente scolpita, vai al Salon Al Raqi di Beirut: pizzetti, basette e tintura nera sono le specialità del proprietario, Abdel Atheem, scappato da Raqqa quando la città siriana fu conquistata dall’Isis. Tamer Shehadeh, invece, ha un salone di bellezza per uomini a Ramallah che offre anche maschere dorate per il viso e cerette. Ha cominciato da ragazzo dodici anni fa nel campo profughi palestinese di Qalandia, in Cisgiordania; oggi cerca di convincere i clienti a farsi crescere una barba hipster come la sua. Al Salon Tamer i tagli di capelli più di moda sono tre – spiega a 7 – : rasati ai lati con ciuffo lungo, il man bun da samurai e un terzo
stile più sfumato, con il ciuffo più corto. Alcuni ragazzi chiedono highlight ( colpi di sole, ndr) e acconciature alla Ronaldo o alla El Shaarawy, ma lui sottolinea orgogliosamente di aggiungere sempre un tocco personale. Ai barbieri e parrucchieri per uomo del Medio Oriente come Tamer Shehadeh e Abdel Atheem la fotografa Tamara Abdul Hadi ha dedicato il servizio The People’s Salon che sarà in mostra dal 12 aprile al 31 maggio al Festival Middle East Now presso la Fondazione Studio Marangoni di Firenze (un progetto a cura di Alessandra Capodacqua, con layout di Roï Saade). Lo scopo è celebrare il talento creativo dei proprietari, ma anche esplorare la vanità maschile e i diversi modi di esprimersi come uomo in Medio Oriente. È un progetto che la fotografa di origine irachena ha iniziato dieci anni fa, anche attraverso altri lavori prima di questo, perché sentiva che «nella nostra regione la mascolinità era un tema assai meno esaminato della femminilità».
IN REALTÀ la bellezza degli uomini – dalla cura dei capelli alla ceretta al petto fino al botox – è
ormai un grosso business da Dubai al Libano, e molti preferiscono sottoporsi ai rituali del salone piuttosto che usare i prodotti a casa. Ma Abdul Hadi non esplora il più prevedibile mondo dei ricchi: sceglie invece di concentrarsi su quartieri shaabi, cioè popolari, come Naba’a a Beirut, «dove una donna non entra mai dal barbiere». Qui scopre che molti giovani sono pronti a spendere l’equivalente di 10-15 euro ogni settimana per farsi belli. «Un lato gentile che non ti aspetti dall’uomo arabo, che evidentemente oggi non si sente meno uomo se si fa una maschera», ci dice la fotografa al telefono dal Libano. «Quel che è trendy in un campo profughi non lo è nell’altro. E i parrucchieri spesso si ispirano l’uno all’altro e vogliono superarsi a vicenda. Nel 2017, quando ho scattato queste foto, andava di moda creare delle linee sui lati della testa; ora i ciuffi sono sempre più alti, ispirati allo stile afroamericano degli Anni 90». A Qalandia ci sono almeno 50 parrucchieri per uomini – su 25mila abitanti –, a riprova della grande attenzione per la moda e la bellezza soprattutto tra i più giovani. Lo fanno un po’ per le ragazze, un po’ per se se stessi – e anche
perché è un luogo di socializzazione dove «si passa il tempo e si raccontano storie», spiega Tamer. Andare dal barbiere è tradizionalmente un momento di crescita, che fa parte del diventare uomo. Da piccoli si va accompagnati, ma quando si viene considerati abbastanza grandi si va da soli. Aspetti, chiacchieri con il proprietario, che è del tuo quartiere e quindi sa tutte le ultime notizie. E forse c’è anche qualcosa di più.
È DIVENTATO di moda parlare di una crisi dell’essere uomo. In realtà in Medio Oriente – secondo un recente sondaggio commissionato dalle Nazioni Unite, intitolato Understanding Masculinities – sia gli uomini che le donne si trovano oggi a ridefinire i propri ruoli, anche di genere, in un mondo in cambiamento e pieno di tensioni (alta disoccupazione, incertezze politiche, instabilità economica). Sia gli uomini che le donne riconoscono che “essere maschio” non è più quello che era una volta, e i primi in particolare sono spesso incerti se accettare o meno cambiamenti (già in corso) che possono allentare il peso sia dei diritti che dei doveri patriarcali. Il significato dell’“essere uomo” per la popolazione giovane e globalizzata del Medio Oriente di oggi è sempre più il risultato di un percorso di definizione e negoziazione che tiene conto sia di modelli locali che di modelli internazionali. Al Salon Tamer c’è grande attenzione alle ultime tendenze occidentali, ma i clienti «chiedono sempre qualcosa di nuovo e non troppo estremo», spiega il proprietario. «Siamo una comunità conservatrice e può capitare che non tutti siano aperti ad alcuni tagli. Non puoi sfoggiarli nei piccoli villaggi o nelle vecchie cittadine, nei grandi centri è più facile».
DI RECENTE il mondo accademico ha cominciato a prestare attenzione al legame tra l’aspetto estetico e la costruzione delle identità maschili in Medio Oriente, il che non stupisce: dopotutto, nel corso della Storia, i capelli sono spesso stati utilizzati per indicare l’appartenenza a un gruppo, dagli skinhead rasati ai capelloni hippie. In un articolo intitolato Doing Masculinity: The
Look of Unaccompanied Male Migrant Teenagers from the Maghreb ( Costruire la mascolinità: il look degli adolescenti maschi senza accompagnatore immigrati dal Maghreb, ndr), le studiose spagnole Karmele Mendoza Perez e Marta Morgade Salgado osservano che i tagli di capelli sono stati per loro «una fonte di conoscenza sulla costruzione di identità maschili transnazionali». I ragazzi marocchini intervistati dalle autrici in un centro di accoglienza di Bilbao vengono da villaggi conservatori dove mode come quella degli highlight o dei disegni tracciati sui capelli rasati – linee, stelle o altro – possono essere visti come effeminati o volgari. Ma scelgono di trasgredire le norme culturali del luogo d’origine e di sperimentare cose nuove (fino a un certo punto: i piercing e i tatuaggi esibiti dai coetanei spagnoli sono spesso off-limits per i giovani migranti in quanto considerati haram, vietati dall’Islam). «Per me i capelli sono la cosa più importante» spiega uno di loro, al punto che quando non ha il tempo di pettinarsi con il gel esce di casa con il cappello. La moda diventa dunque uno strumento di empowerment, di autodeterminazione e presa di coscienza per questi giovani migranti, che a volte hanno alle spalle storie terribili, di violenza e stupri. Nei momenti di stress e di ansia, prendersi cura del proprio aspetto li aiuta a mettere ordine nelle loro vite e identità irregolari. Il look è «uno spazio di resistenza e di azione, e in alcuni casi uno strumento di scambio reciproco o una forma di partecipazione alla cultura locale», scrivono Perez e Salgado, che hanno contattato la fotografa Abdel Hadi dopo aver visto il suo lavoro. Anche i loro ragazzi, come i giovani fotografati da Hadi, investono molti loro risparmi in prodotti e sedute dal parrucchiere per coltivare tagli cool, alla moda. Lo fanno per le grandi occasioni ma anche per i selfie che condividono sui social media, i quali a loro volta contribuiscono al dibattito transnazionale sull’essere uomo e alla lenta trasformazione delle identità maschili in Medio Oriente.
Molti giovani sono pronti a spendere l’equivalente di 10-15 euro ogni settimana per farsi belli. «Un lato gentile che non ti aspetti dall’uomo arabo, che oggi non si sente meno uomo se si fa una maschera»