FUTURO TRADIZIONALE
La hostess, la manager, la pediatra. Per farsi fotografare hanno scelto di indossare gli abiti tradizionali delle tribù d’origine: con sguardo orgoglioso rivendicano le proprie radici e un ruolo nella modernità
Le donne africane, antiche e fiere
CHE COS’È L’AFRICA? E chi sono le donne africane? Il continente, enorme, popoloso (un miliardo e 200mila abitanti), variegato, vitale, spesso percepito come un tutt’uno vago e distante, cambia rapidamente. Entro il 2050 avrà un quarto della popolazione mondiale, nella sola Nigeria vivranno 400 milioni di persone. E, al di fuori di ogni retorica, le donne giocheranno un ruolo sempre più importante. Non che oggi non lo facciano, beninteso. Basta passeggiare per le capitali africane, da Nairobi a Kinshasa, da Abidjan fino ad Addis Abeba, così come nei villaggi più sperduti delle zone rurali: l’economia e il ménage familiare sono retti dalle donne. Figli da crescere (in media 4,6 a testa), lavori spesso umili,
sottopagati e lontani da qualsiasi standard occidentale. Donne che sempre più spesso però combattono l’abbandono scolastico che in alcune aree ha tassi elevatissimi e si affacciano sulla scena pubblica, politica, economica, culturale. Togliendosi di dosso quel commiserevole sguardo che europei ed occidentali spesso rivolgono loro.
LO STEREOTIPO della donna africana, in abiti logori, con un bimbo avvolto con una fascia sulla schiena, e china sui campi, è pericolosamente sempre presente (benché il 60% della forza lavoro in agricoltura sia femminile). Ma quello stereotipo minaccia di non farci vedere chi sono realmente le donne d’Africa. L’opera di Joana Choumali, artista e fotografa ivoriana, è stata da poco in mostra a Milano, a Palazzo Litta con Adorn, una serie di ritratti sostenuta da BonelliErede, nell’ambito di AfricaAfrica, exploring the Now of African design and photography: con questo lavoro sulle donne senegalesi, la Choumali esplora il tema della bellezza e dell’identità. Più in generale, la fotografa ivoriana scatta, osserva, indaga e ci restituisce le donne africane nella loro attuale dimensione: donne legate alla storia, e allo stesso tempo proiettate verso la modernità. Sospese fra le dinamiche di villaggio, spesso religiose, e la globalizzazione. Le foto di queste pagine sono parte del progetto Les Résilients, le resilienti: professioniste, manager, avvocati, avvolte nei loro abiti tradizionali. Icone della più seducente e fiera tradizione estetica, acconciature elaborate e sublimi, spalle accarez-
zate e scolpite dalla luce, rilucenti di burro di karité, sono donne moderne e impegnate, cittadine del mondo che lavorano e viaggiano. Come ha scritto Azu Nwagbogu, direttore dell’African Artists’ Foundation e del Lagos Photo Festival, presentando il lavoro della Choumali: «La percezione delle donne africane, storicamente e nella cultura visuale contemporanea, è limitata da quelle tradizioni comunemente considerate sacre. Ma c’è un’evoluzione graduale nella realtà della vita delle donne africane. Una capacità di mutare e adattarsi, restando al tempo stesso ancorate alle proprie origini e tradizioni, capaci di rimanere fedeli a se stesse, proprio come alla terra dalla quale provengono. Un’elasticità che si tramuta in resilienza».
RESILIENZA, LA CAPACITÀ DI RISOLLEVARSI dopo un trauma, una guerra, uno stupro, una condizione inaccettabile di emarginazione sociale. Ecco, su questo le donne africane hanno da insegnare. Gli esempi virtuosi sono tanti e prepotenti, dalla cultura alla musica, passando per la politica e la fotografia stessa. Chimamanda Adichie, scrittrice nigeriana, autrice di Metà di un sole giallo o Americanah, inserita da Foreign Policy tra i pensatori più influenti degli ultimi anni, si è spesso interrogata sulle radici, sugli stereotipi e su come una donna africana possa essere percepita al di fuori del Continente. Celebre, in questo senso un suo intervento a un Ted Talk intitolato Il pericolo della storia unica, e quindi degli stereotipi che tanti si portano dentro sull’Africa e sulle donne africane. Ha in qualche modo spogliato la donna dagli abiti che noi mettiamo loro addosso. La stessa Joana Choumali ricorda a tutti che anche gli africani, pensate un po’, sanno fare foto. Ci sono casi meno famosi ma non meno virtuosi: da Chouchou Namegabe, giornalista congolese del Sud Kivu che ha denunciato per anni lo stupro come arma di guerra rischiando la vita, a
Mapendo Sumuni che ha creato Kivu Nuru, una casa di moda in Nord Kivu, una regione in guerra da oltre 20 anni. O ancora, Fati Abubakar, fotografa nigeriana di Maiduguri che ha documentato i drammatici anni di occupazione del nord da parte degli estremisti di Boko Haram.
E POI C’È LA POLITICA: il Rwanda di Paul Kagame, il Paese ferito dal genocidio del 1994, è per esempio diventato negli ultimi anni campione di quote rosa in politica, detenendo un primato mondiale in quanto a presenza femminile in Parlamento e numero di ministri. Al di là dei giudizi sul regime di Kagame e sul “marketing politico” di Kigali, quei numeri prendono a picconate uno stereotipo e una pratica che raramente vede donne leader. E demoliscono un maschilismo
«Sono donne capaci di rimanere fedeli a se stesse, come alla terra dalla quale provengono. Un’elasticità che si tramuta nella capacità di risollevarsi dopo un trauma, una guerra, uno stupro»
ancora molto presente in tante società africane. Attenzione: tante, perché, come ben restituiscono gli scatti della Choumali, le società, le culture, le lingue, le religioni africane sono numerose. E considerare l’Africa un corpo unico è un grande errore. Le donne ritratte dalla Choumali sono le icone di questa nuova visione. Un formidabile baluardo, statuarie rappresentazioni, potenti icone dell’io femminile: essere se stesse senza rinnegare le proprie profonde radici. Guardare al proprio passato e al contempo al futuro. Un futuro da scrivere e magari da fotografare.