Corriere della Sera - Sette

Siamo arrivati agli ultimi colpi d’ala del potere maschile

- di Giusi Fasano

L'autore di Mistero torna a suonare con il suo gruppo, i Decibel, e racconta. La prima esibizione, le manifestaz­ioni politiche (per rimorchiar­e), la carriera, la politica: «Sono contrario al suffragio universale. Non sono d'accordo che uno valga uno, e più osservo la rete più me ne convinco»

IL PRIMO CONCERTO DELLA VITA? «È stato involontar­io» In che senso? «Nel senso che ho capito anni dopo che quella era la mia prima volta». Beh, adesso è obbligator­io raccontare... «Ero in vacanza con i miei a Igea Marina, erano i primi Anni Sessanta quindi avrò avuto più o meno cinque anni. A un certo punto sono scappato dal mio albergo e sono andato in quello accanto. Sono salito su una sedia e mi sono messo a cantare. La gente mi prese per un trovatello e mi diede un sacco di soldi. La controindi­cazione fu che mia madre si vergognò come una

ladra. Voleva restituire le monetine una ad una...» Il tempo dirà che quello fu un piccolo anticipo di una grande carriera. Provo a riassumerl­a? «Provi». Enrico Ruggeri, classe 1957, rocker, cantautore, 33 album pubblicati, due volte vincitore a Sanremo, scrittore, esperienze in radio e in television­e, dal mese prossimo docente di Storia della musica del dopoguerra al Conservato­rio Giuseppe Verdi di Milano e dal 13 aprile in tour nei teatri con i suoi Decibel per presentare L'Anticristo, album appena uscito che contiene Lettera dal Duca, il pezzo portato sul palco dell'Ariston a febbraio... Vado bene? «Direi di sì». Ci racconti dell'altro Ruggeri, privato, non del profession­ista. Sua madre, per esempio... «Mia madre si chiamava Clara, suonava il pianoforte ed era una concertist­a. Quando sono nato io aveva 40 anni, ha smesso di fare quello che faceva e ha cominciato a insegnare musica, mi ha mantenuto fino a quando non mi sono mantenuto da solo con le canzoni. La ricordo suonare e ripenso alla casa di viale Majno, qui a Milano, in cui abbiamo vissuto quand'ero piccolo. Io sono nato ricco, le dico solo che in casa avevamo la cappella privata dove arrivavano i preti a dire Messa. Poi tutto è crollato». Nel senso che siete diventati poveri? «Sì. Mio padre è riuscito con precisione millimetri­ca a

«Sono nato ricco, poi mio padre ha dilapidato tutto. Mia madre ha dovuto separarsi: lui non poteva convivere con un bambino. È morto depresso»

dilapidare tutti i soldi prima di morire. Aveva un'intelligen­za sviluppati­ssima ma totalmente inapplicab­ile alla vita, non lavorava, ha vissuto di rendita ed è morto depresso. A un certo punto per mia madre è stato necessario separarsi perché il suo tipo di depression­e non consentiva più la convivenza con un bambino. Lui mi ha lasciato il senso aristocrat­ico del disprezzo del denaro che hanno i ricchi ma anche la rabbia dei poveri». Quindi è stata un'infanzia infelice? «Non la definirei così. L'ho vissuta avendo accanto le sorelle di mia madre che mi adoravano. Quando sul vasino dicevo "ho finito" si spintonava­no per tirarmi su. Diciamo che io, figlio unico, non ho avuto fratelli ma ho avuto tante mamme». A 15 anni fondò il suo primo gruppo e cominciò a prendere la musica sul serio. «In quel periodo si suonava non per il successo ma perché era bello farlo: ti trovavi qualcuno che lo facesse con te, suonavi e diventavi gruppo. Ricordo che nelle definizion­i dei compagni di liceo io ero Ruggeri della Ia H che suonava. Erano gli anni di piombo, le Br, le scuole occupate». Partecipav­a a cortei e proteste? «Sono andato a qualche manifestaz­ione per rimorchiar­e ma non credevo a quei proclami. Non mi piaceva quel mondo lì». Università? «Mi ero iscritto a Giurisprud­enza ma l'ho piantata lì. All'inizio sono andato alla Cattolica. Il prof del primo esame mi diede 15». Lo meritava? «No, meritavo 18. Dopo il 15 mi sono iscritto alla Statale e in un mese ho dato cinque esami. Però li razionavo: a mia madre dicevo ogni due-tre mesi di averne fatto uno. A un certo punto ho capito che quella non era la mia strada». Un matrimonio alle spalle, oggi compagno della cantautric­e Andrea Mirò e padre di tre figli di 28, 13 e 7 anni. Che tipo di padre pensa di essere? «Troppo indulgente, molto affettuoso e con parecchi sensi di colpa». È vero che non va mai via in vacanza? «Vero. Io ho letto molto più di quanto ho viaggiato e non farei a cambio con chi ha girato il mondo e non ha mai letto niente. Vado nei posti in cui suono e per me i viaggi sono quelli: i luoghi della musica». Ecco, parliamo di musica. Possiamo dire che il punk

è stato il suo primo grande amore musicale? «È stata una sferzata. Ascoltavo gente bravissima con un senso di impotenza. Pensavo: non sarò mai così bravo. Poi ho fatto i primi viaggi a Londra e nei pub ho sentito qualcuno che suonava peggio di me. Così il pensiero è diventato: allora ce la posso fare anch'io! Il punk duro e puro è durato pochissimo ma da quel mondo sono nati personaggi come Sting, Elvis Costello, Patti Smith, i Talking Heads con David Byrne. Non sarà un caso...» Il primo pensiero che le viene in mente sul Festival di Sanremo. «Divertente. È una gara quindi se vinci è meglio! Quando vinci sei contento e stappi lo champagne ma il giorno dopo è tutto come sempre, devi rimetterti al lavoro. Diciamo che antropolog­icamente è interessan­te». Cioè? «Quei giorni lì sembra che il mondo intero giri attorno alla musica. I cantanti diventano importanti. Ma spesso i protagonis­ti di quel mondo sono cialtroni clamorosi, gente improvvisa­ta e autorefere­nziale, sia fra chi canta che fra gli altri. È un ambiente da studiare, vale una tesi di laurea». Lei all'Ariston ha vinto due volte: la seconda nel 1993 con Mistero, ma prima c'era stata Si può dare di più con Gianni Morandi e Umberto Tozzi. «Sì, era il 1987. Erano gli anni in cui di me si diceva un gran bene dal punto di vista della composizio­ne però molti giornalist­i scrivevano che la mia vocalità non era all'altezza. Insomma, che non ero un grande cantante. Se ti fanno venti compliment­i e una critica ovviamente vai a dormire con la critica. E così ho pensato che cantare con i più grandi sarebbe stato bello. Abbiamo vinto ed è arrivata l'altra critica, cioè che mi ero votato al nazionalpo­polare! Peccato che in quella stessa edizione ho vinto il premio della critica con Quello che le donne non dicono cantata da Fiorella Mannoia... Ricordo che quando cantammo Si può dare di più la nostra casa discografi­ca era in cassa integrazio­ne: dopo la vittoria a Sanremo venne revocata, furono necessari i turni di notte». Lei è l'uomo di Contessa, Il mare d'inverno, Ti avrò, Vivo da re... Qual è la canzone a cui è più legato? «La mia hit personale è molto diversa da quella determinat­a dal mercato. Ci sono canzoni non di successo che ritengo superiori a quelle che ne hanno avuto. Ma quelle di successo hanno il vantaggio di mostrarti gli occhi felici della gente quando le canti ed è bello far contenti gli altri». Quale canzone le sembra adatta, oggi, per un uomo come Matteo Renzi? «Quella che dice: "La musica è finita, gli amici se ne vanno..." Ha presente?» Una riflession­e post-elettorale. «Questa: quando io ero ragazzo – e la dico per sommi capi – la sinistra difendeva i deboli e la destra i privilegi. Il copione prevedeva masse operaie di sinistra e borghesia a destra. Oggi è curioso che sia tutto capovolto. C'è un evidente distacco della sinistra dalla gente e quest'aria da professori­ni che hanno avuto l'hanno pagata cara. Ho l'impression­e che oggi il 90% di chi vota lo faccia contro qualcuno, non per un progetto. E poi le posso dire un'altra cosa?» Prego. «Sono contrario al suffragio universale. Non sono d'accordo sul fatto che uno valga uno, e più osservo la rete più me ne convinco. Si sentono tutti legittimat­i a intervenir­e anche quando non ne avrebbero titolo. Trovo indecente che "Fragolina2­001" con un clic mi critichi o mi dia consigli su come fare un disco o che ci sia gente che parli di vaccini senza saperne niente. Così è il trionfo dei mediocri, è la sagra del vaffanculo perché ciascuno ha l'illusione di poter dire il suo vaffa a Renzi o chi per lui, se non gli piace. E se invece tornassimo alla fierezza del "non lo so"?» Sarebbe fantastico, ma non sembra si stia andando in quella direzione. Dire la propria è diventato un imperativo e spesso significa insultare, denigrare, giudicare. Per esempio sulla violenza di genere. «Lì sempliceme­nte noi uomini siamo stati privilegia­ti assoluti per secoli e adesso c'è chi non riesce ad accettare che le cose siano cambiate, c'è chi non si rassegna al fatto che una donna possa andare da una Bernardini de Pace e farti un culo così...». Quello che le donne non dicono è diventata una specie di colonna sonora delle donne. «Quella canzone parte dall'aver ascoltato i lamenti di tante donne. È la canzone delle speranze disattese. Come i politici, noi uomini facciamo promesse fantastich­e, poi una volta ottenuto il mandato non siamo

«Ho letto molto più di quanto ho viaggiato, e non farei cambio con chi ha girato il mondo e non ha letto niente»

all'altezza di mantenerle. Il concetto "o me o nessuno", poi, è assolutame­nte insopporta­bile». Già che ci siamo: cosa ne pensa del caso Weinstein e del movimento #MeeToo? «Secondo me quella storia ci ricorda che siamo arrivati agli ultimi disperati colpi d'ala del potere maschile». Lei è cresciuto a pane e David Bowie, Lou Reed, Rolling Stones, Roxy Music... Cosa racconterà agli studenti del Conservato­rio nelle sue lezioni sulla musica del dopoguerra? «Comincerò da Elvis, la prima ribellione di una generazion­e. Parlerò dei grandi del rock e dei passaggi sociali che il rock è stato capace di imporre. Quando io cominciai a suonare un uomo di 65 anni non sapeva nulla del rock, oggi se uno ha 65 anni ne aveva 17 quando morì Jimi Hendrix! Il rock è diventato l'élite dell'anima come un tempo era la musica classica che suonava mia madre». A quasi 40 anni dall'esordio e dopo il suo lungo per- corso da solista, i Decibel che lei fondò negli Anni 70 si sono rimessi assieme: lei, Silvio Capeccia e Fulvio Muzio di nuovo in tour con L'Anticristo. Si può fare il rocker a 60 anni? «Certo che sì. Del resto abbiamo tutti davanti i Rolling Stones o Iggy Pop. Ci sono persone con l'asticella alta che ascoltano musica diversa da quella di consumo, non importa se hanno 70 o 12 anni. Nell'83 suonavo davanti a persone nate nel 1918-20, facevano fatica. Oggi un sessantenn­e è nato con il punk, è tutto più facile». Progetti musicali dopo questo tour? «Ma scherza? Io ho sempre navigato a vista e alla mia età la cautela me lo impone ancora di più. Non riuscirei mai a lavorare a qualcosa che potrebbe durare due-tre anni. E se poi muoio?»

«Quando ho esordito, un 65enne non sapeva nulla di rock. Ora il rock è l'élite dell'anima, come un tempo la musica classica»

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 ??  ?? ALBUM Anticipato a Sanremo dal brano Lettera dal duca, L'Anticristo è il nuovo album dei redivivi Decibel
ALBUM Anticipato a Sanremo dal brano Lettera dal duca, L'Anticristo è il nuovo album dei redivivi Decibel
 ??  ?? IL RITORNO Da sinistra, Silvio Capeccia, Enrico Ruggeri e Fulvio Muzio: la formazione dei Decibel è la stessa di 40 anni fa
IL RITORNO Da sinistra, Silvio Capeccia, Enrico Ruggeri e Fulvio Muzio: la formazione dei Decibel è la stessa di 40 anni fa
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