Diego Piacentini: «Cancelliamo gli alibi per non fare le cose»
Per il Financial Times il lavoro del Commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda digitale è il «più difficile d’Italia»: portare la Pubblica amministrazione nel XXI secolo. Lui dice: «La trasformazione digitale non ha colore politico. Sarebbe u
ROMA – Diego Piacentini mi accoglie alle 8.30 e mi informa che sono il suo secondo appuntamento della giornata. Non è insolito: il Commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda digitale si è fatto notare subito per l’abitudine di pianificare incontri e riunioni (con la stampa e non solo) al mattino presto. È così da quando è arrivato a Roma, nel 2016, chiamato dall’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi per dare una scossa alla trasformazione digitale del Paese. Il suo, secondo il Financial Times, è «il lavoro più difficile d’Italia». Per farlo (gratis), Piacentini ha preso un’aspettativa di due anni da Amazon (era Senior Vice President International, uno degli uomini più vicini a Jeff Bezos) e ha messo in piedi un Team per la Trasformazione Digitale composto da una trentina di persone iperspecializzate, tra cui
molti ex cervelli in fuga rientrati (almeno per ora) in Italia.
SONO VENUTA a Roma per saperne di più su una storia che Piacentini ha raccontato a febbraio sulle pagine di Corriere Innovazione. Una storia ambientata nel futuro, precisamente nel 2022. Ve la riassumo: grazie a una semplice app, Anna, una cittadina italiana, ritira un referto medico, paga la Tari e ottiene un certificato di residenza nel tempo di poche fermate di metrò. Un racconto di fantascienza? No. Secondo Piacentini, questo è il «possibile esito» del lavoro che lui e il suo Team stanno facendo dal 2016. E in effetti, come spiegato da Martina Pennisi a pag. 56, di questa app uscirà presto (entro l'estate) una prima versione sperimentale. Un primo gruppo di utenti potrà così iniziare a testare alcune funzionalità. Certo, non sarà
«A un certo punto bisognerà iniziare a tassare l’analogico. Cara Pubblica amministrazione, non ti sei attrezzata per accettare pagamenti digitali? Allora non becchi più un soldo»
ancora “la app di Anna” così come l’ha descritta Piacentini nel suo racconto. Ma è – sarà – il punto di partenza. ARRIVEREMO davvero, nel 2022, a quel traguardo, ora che il panorama politico non è più, come le elezioni hanno dimostrato, lo stesso del 2016? Sto per iniziare con le domande che ho preparato per scoprirlo, quando arrivano due membri del Team Digitale, Matteo de Santi e Laura Bordin, che Piacentini mi presenta come «i nostri pittori». «Finora abbiamo fatto gli idraulici: ci siamo concentrati sulle piattaforme abilitanti, ovvero le “tubature”, invisibili ma necessarie, della app di Anna», spiega il commissario. «Abbiamo fatto gli idraulici. Matteo e Laura, invece, si occupano del design della app. Un lavoro difficile, perché vogliamo far sì che pagare la Tari sia semplice come fare una ricerca su Google». Ambizioso. Ma facciamo un passo indietro. Quali sono le “tubature” della futura app di Anna? «La prima è Spid, il Sistema Pubblico di Identità Digitale ( un set di credenziali unico per accedere ai servizi pubblici online, ndr). Servirà per accedere alla app. Poi c’è PagoPA ( il sistema che permette di pagare online la PA, ndr). Un altro tubo importante è Anpr, l’Anagrafe nazionale della popolazione residente ( destinata ad accorpare, gradualmente, le 8mila anagrafi comunali, ndr). Permetterà alla app di riconoscere Anna come cittadina di un certo Comune. Sono tutti tubi necessari, ma nessuno è condizione necessaria e sufficiente. La tecnologia, da sola, non basta mai: servono anche processi che devono essere messi in moto dagli uomini. Per esempio, non basta creare l’infrastruttura di Anpr: i Comuni devono fare la loro parte per portare la loro anagrafe al suo interno. Noi stiamo cancellando gli alibi tecnologici per non fare le cose». «La buona digitalizzazione non si impone per legge, si lascia che si imponga perché funziona». L’ho letto in uno dei vostri comunicati. Vale solo per i cittadini, o anche per la PA? «Ci siamo resi conto che molte amministrazioni, in passato, non facevano passi avanti nella digitalizzazione perché non sapevano come fare. Si trovavano di fronte una legge che diceva loro: entro il 31 dicembre duemilaqualcosa dovete migrare su Anpr, good luck, buona fortuna. Noi ci sforziamo di fare diversamente: mettiamo a disposizione documentazione, dati, canali dove chiedere aiuto. Sono convinto che, così facendo, conquisteremo l’80% delle PA. Quando avremo finito con loro ci concentreremo su quel 20% che ha bisogno di un obbligo di legge. Io sono sempre stato molto chiaro e lo sarò anche con il prossimo presidente del Consiglio: a un certo punto bisognerà iniziare a tassare l’analogico. Cara PA, non hai effettuato la migrazione su Anpr? Ancora non ti sei attrezzata per accettare pagamenti digitali? Benissimo, allora non becchi più un soldo». Che cosa potrebbe ostacolare il percorso verso la app di Anna? «Il primo ostacolo è di natura culturale: nella Pubblica amministrazione ci sono alcune persone che non sono abituate ai cambiamenti. Bisogna far capire che la trasformazione digitale non va subìta ma cavalcata». Un governo che non vede la trasformazione digitale come prioritaria sarebbe un ostacolo? «Sì. Da questo punto di vista con Gentiloni non abbiamo avuto alcun problema, sebbene lui avesse molte altre priorità. Il fatto è che la trasformazione digitale è parte
integrante della trasformazione culturale di questo Paese, non è un accessorio. Un governo che non la vede così sarebbe un grossissimo ostacolo. Il digitale offre un’occasione unica, mai vista nella storia, di semplificare la vita dei cittadini. E semplificare la vita dei cittadini dovrebbe essere l’obiettivo di un governo». Mettiamo che il prossimo governo la veda diversamente da Diego Piacentini. Quanto del lavoro fatto finora ne sarebbe compromesso? «La verità è che non lo so. Io ho sempre detto che la trasformazione digitale non ha colore politico. Sarebbe una follia interrompere il lavoro che stiamo facendo: stiamo costruendo una legacy, un’eredità positiva, di lungo periodo. Se poi il nuovo governo dovesse stabilire che le persone più adatte per continuare il nostro lavoro non siamo più io e il mio Team bensì Paolo e Giovanni… be', benissimo, purché Paolo e Giovanni sappiano di cosa si sta parlando. La trasformazione digitale non permette più le nomine politiche di persone non competenti». Per dare seguito al processo di trasformazione digitale serve una regia centrale, come il Team? «Sì, ma non deve diventare un collo di bottiglia. Altrimenti si blocca tutto. L’Italia è l’unico Paese dove si cerca ancora di usare la legge, che per sua natura è statica, per imbrigliare qualcosa di dinamico come l’evoluzione tecnologica. Nel nuovo Codice dell’Amministrazione digitale ( emendato a dicembre, ndr) abbiamo sostituito il concetto di regole tecniche con quello di linee guida. Lo considero un successo legislativo, ora va tradotto in un successo operativo». La mia generazione non vede l’ora di dire addio alle code, di fare a meno della carta e di fare tutto con una app. Eppure la maggior parte dei miei coetanei non sa niente, o quasi, del vostro lavoro. Come mai? «Perché ci siamo concentrati sul fare le cose, più che sul comunicarle. Magari è stato un errore clamoroso. Ma io confido molto nel passaparola. Non mi preoccupo se oggi solo qualche migliaio di persone, e non qualche milione, sa cosa stiamo facendo. Se sarà ancora così tra cinque anni, quando la app di Anna sarà realtà, allora sì che sarò preoccupato». Cosa succederà a settembre, quando scadrà il vostro mandato? «Finché non c’è un governo, nessuno lo può sapere. Tecnicamente l’unità commissariale potrebbe essere rinnovata dal presidente del Consiglio per un altro anno. Ma se, a settembre, tutto quello che abbiamo fatto verrà eliminato da chi non vede l’ora che ce ne andiamo – e non sono tanti, ma ce ne sono un po’ – allora Diego Piacentini avrà fallito. Perché il mio compito era quello di rendere i nostri traguardi talmente robusti da resistere alle spallate dei cinici». Ma se ci fosse un rinnovo, Diego Piacentini resterà per un altro anno? «Non ci sto pensando. I progetti devono essere indipendenti dalle persone, altrimenti sono fragili. Per questo sto lavorando affinché il Team Digitale non sia “Piacentinicentrico”. Ecco, questa è, credo, la vera antipolitica: un sistema indipendente dal posto, dalla cadrega, come si dice a Milano». Nonostante l’incertezza, però, sembrate tutti piuttosto ottimisti. «Come dice la mia bio su Twitter, io sono “preoccupato ma ottimista”».
«La tecnologia da sola non basta: servono anche processi che devono essere messi in moto dagli uomini. Il digitale però offre un'occasione unica, mai vista nella storia, di semplificare la vita dei cittadini»