48 ORE IN UN CARCERE MINORILE
Com’è la vita quotidiana per un ragazzo dietro le sbarre? Siamo entrati nell’Istituto penale di Quartucciu, Cagliari, dove le ore in cella sono poche, le attività molte, le storie drammatiche: c’è anche un giovane condannato per terrorismo internazionale.
ENTRO PER LA PRIMA VOLTA IN UN CARCERE. Lo faccio lontano dalle grandi città, su un’isola, a Cagliari. Ma dall’Istituto penale minorile (Ipm) di Quartucciu il mare è lontano, non se ne sente il rumore, non si vede l’orizzonte giallo e verde della Sardegna. Si sente solo il vento, fortissimo, che colpisce le finestre sbarrate e le fa tremare. Passo due giorni con i ragazzi che vivono dietro le due alte mura di cinta dell’Istituto, costruito nei primi Anni Ottanta come carcere di massima sicurezza (non lo sarà mai). Nei giorni in cui il governo approva la riforma delle carceri estendendo l’accesso a misure alternative alla detenzione, provo a scoprire sul campo com’è la vita quotidiana dei giovani detenuti. Le 17 carceri minorili d’Italia raccolgono in totale meno di 500 ragazzi. Pochi: la pena detentiva, per i minorenni, rappresenta già l’extrema ratio. Si tentano sempre altre vie, come l’affidamento in comunità. Prima di incontrarli so, quindi, che i ragazzi di Quartucciu hanno commesso un reato grave, sono pluricondannati o recidivi. Oppure sono in attesa di processo in misura cautelare detentiva. Sono 15 al mio ingresso, 17 quando esco. Minorenni e giovani adulti: i condannati under 18 possono restare negli istituti minorili fino a 25 anni. I reati: spaccio, furto, violenza sessuale, omicidio, terrorismo internazionale. Dovrei essere preoccupata? No, sono consapevole che sarà un’esperienza forte. Non potevo immaginare quanto forte, però.
Venerdì, ore 6.30
Mi sveglio a casa, a Milano. Prendo il primo aereo del mattino, attraverso la pianura padana, intravvedo qualche Appennino, il mare, poi la Sardegna. Viene a prendermi in aeroporto la direttrice del carcere, Giovanna Allegri. «Si preannuncia una giornata complicata: stanotte ci sono stati due arresti in flagranza di reato». I due minori sono nel centro di
prima accoglienza, di fianco al carcere, in attesa che il gip fissi un’udienza. Sono due quindicenni sardi rom, «ovviamente inconsapevoli di quanto sia successo», commenta scoraggiata Gabriella, una dei sei educatori che lavorano a Quartucciu, passando con me e la direttrice attraverso il primo e il secondo cancello dell’Istituto.
Ore 10.30
Posso entrare nell’area detentiva solo con penna e taccuino. Niente telefono. Busso e aspetto che un agente di polizia penitenziaria giri la prima delle molte chiavi che vedrò usare in questi due giorni. Mi accolgono il comandante Alessandro Caria e l’agente Rosario Brienza. Con loro entro in cucina: quattro ragazzi vestiti da cuochi stanno facendo l’impasto per la pizza. Il corso di cucina è una delle attività che i detenuti svolgono durante la settimana. Gli altri, intanto, sono fuori per giardinaggio. Angelo, un pizzaiolo di Cagliari, sta insegnando come fare 50 panetti da 250 grammi ciascuno. «Dovete accarezzarla la pasta, deve avere la pelle vellutata, immaginate che sia la pelle della vostra ragazza», dice ai quattro. Ahmed ha 17 anni, è arrivato in Italia dall’Algeria un anno e quattro mesi fa. È in carcere da due mesi («credo», dice, «non conto, altrimenti non mi passa più»). Domani qualcuno tornerà in cucina per fare i dolci al cioccolato. Si propongono tutti. Margherita Casula, educatrice, spiega che dovranno alternarsi. Gennaro ironizza con accento napoletano: «Margherì, ma se ci sono persone qui che fanno tutto! Manca solo che facciano pure gli agenti!». Ridono. Gennaro ha 17 anni, è a Quartucciu da gennaio, prima era nel carcere di Napoli. Qui dice di stare bene, «ma a Napoli c’è la mia famiglia. Da quando sono qui l’ho vista solo una volta». Stasera il vicedirettore Enrico Zucca mi farà immaginare il reato violento per cui Gennaro è dietro le sbarre: «È di Secondigliano.
SAREBBE QUI GENNARO SE NON FOSSE NATO E CRESCIUTO A SECONDIGLIANO? E COSÌ GLI ALTRI: STANNO SCONTANDO UNA GIUSTA PENA PER I REATI COMMESSI. MA COME CI SONO ARRIVATI?
L’ambiente è quello della camorra». Inizio ad avere una domanda fissa in testa: sarebbe qui Gennaro se non fosse nato e cresciuto a Secondigliano? E così per altri detenuti: stanno scontando una pena giusta per i reati commessi, alcuni gravissimi. Ma come ci sono arrivati? Che ruolo ha avuto il contesto che li ha formati?
Ore 11
Non ho bisogno di rivolgermi ad Arjan, 19 anni: attacca lui bottone. È loquace e gentile. «Io sono del Kosovo. Sai dov’è il Kosovo? È così piccolo che non esiste sulla cartina», dice scherzando. Arjan è quell’Arjan Morina arrestato a 17 anni a Venezia con l’accusa di essere il componente di una cellula jihadista, insieme ad altri tre maggiorenni. Sta scontando una pena di 4 anni e 8 mesi per associazione con finalità di terrorismo internazionale. Di fronte a lui c’è Nabil. Ha 21 anni, origini marocchine, ma è nato in Sicilia e vive a Bologna. È a Quartuccio da un anno, dopo essere stato agli Ipm di Bologna, Caltanissetta, Torino e Palermo: «In tutto sono quattro anni che sto in carcere». È dentro per spaccio. «Sei di Torino?», indovina dal mio accento. «È bella? Ci sono stato, ma non l’ho vista. E la Sardegna? Com’è la Sardegna?». A chi di voi piacerebbe fare il pizzaiolo come Angelo una volta fuori da qui?, chiedo. «Io no: voglio finire gli studi. Stavo facendo informatica», dice Nabil. «Io magari sì», dice Arjan, «ma anche il presidente». Scusa? «Il presidente del Kosovo! Sognare non costa niente», risponde sorridendo.
Ore 12
A mezzogiorno si mangia. C’è una mensa nella sezione sotto e una in quella sopra. Oggi mangio con i ragazzi sotto. C’è un incaricato al vitto, che prepara la tavola, e uno alla pulizia. Come per altre attività, le due mansioni corrispondono a qualche soldo, che i ragazzi possono usare per fare la spesa – «sigarette, Coca Cola, merendine, quello che vogliono gli adolescenti», mi dice un agente – o per accumularli. Arjan ha appena inviato ai suoi genitori in Kosovo 500 euro. Al tavolo con noi c’è Karim, 18 anni, della Guinea. E Mahmoud, 19 anni, di Milano, con origini tunisine, in carcere dal 2015: prima di Milano, Torino e Quartucciu, è stato in galera in Tunisia. Il 5 maggio uscirà per andare in comunità. Anche Rachid, algerino, 17 anni, andrà in comunità. Ma è arrabbiato. Quando educatore e agente escono, mi mostra la pancia: ha due grandi cicatrici, probabile autolesionismo, e dice: «In carcere fa tutto schifo!».
Ore 14
Dopo il pasto i ragazzi tornano nelle celle e riposano fino alle 15. Tranne Marco, 16 anni, sardo. Fa un tirocinio in