TUTTA LA BELLEZZA DEL MONDO
Dal 2013, la fotografa rumena Mihaela Noroc ha attraversato oltre cinquanta Paesi e realizzato più di duemila ritratti. Nel suo obiettivo, solo donne immortalate nel loro ambiente. «Sono sempre stata affascinata dalla diversità. Ma viaggiando ho avuto la possibilità di conoscere meglio anche me stessa»
MIHAELA NOROC è una fotografa di Bucarest, Romania, ormai famosa in tutto il mondo. Zaino in spalla, a partire dal 2013, ha viaggiato in più di cinquanta Paesi per fotografare donne di ogni età nel loro contesto naturale, superando quota duemila. Ha chiamato il suo progetto The Atlas of Beauty, l’Atlante della Bellezza. Molti scatti sono accompagnati da una breve storia, che apre uno spiraglio sulla vita della donna ritratta. Di bellezza ce n’è davvero tanta in TAOB, ma c’è anche molto di più. Il suo scopo è dimostrare che la bellezza esiste in forme e colori differenti, oltre i confini geografici, l’intolleranza, le costruzioni sociali e il marketing. Il progetto contiene un forte messaggio di uguaglianza contro ogni discriminazione, di female empowerment e di pace. Noroc, ormai seguitissima sui social media (più di un milione di follower su Facebook) che ne hanno decretato il successo, ha di recente pubblicato il suo primo libro fotografico, contenente cinquecento immagini. Figlia di un pittore e affascinata dai
colori, iniziò a fotografare a sedici anni. I suoi primi soggetti? La madre e la sorella. Da lì, la sua passione per i ritratti femminili. Trentadue anni e capelli argentati, così mi si è presentata Mihaela quando l’ho incontrata a Bruxelles per la prima volta qualche mese fa. Alla mano e gentile, ha una curiosità spiccata e tante storie da raccontare. Spesso le donne si negano al tuo obiettivo per timore del giudizio di mariti e fratelli o della comunità. Gli uomini, invece, si propongono più di frequente per essere fotografati? «Non è detto che si propongano, ma sicuramente è più facile fotografare gli uomini. Non devono chiedere
il permesso alle loro mogli, sorelle maggiori o madri. Al contrario, molte donne hanno bisogno di questo tipo di approvazione in alcune comunità nel mondo». Consideri The Atlas of Beauty un’opera femminista? «A volte dimentichiamo che cosa significhi la parola femminista. Se guardiamo nel vocabolario, vediamo che il femminismo riguarda la parità di diritti e opportunità. Qualsiasi persona ragionevole, donna o uomo che sia, dovrebbe essere femminista e sostenere la parità. Il femminismo non significa odiare gli uomini o fingere che siano tutti misogini. Non è qualcosa che ci divide. Al contrario, significa lavorare insieme, uomini e donne, per un mondo più equo. A volte, significa condannare e agire con forza contro quelli che discriminano le donne, come ha fatto la più recente ondata femminista. Questo è il motivo per cui il pubblico di TAOB è composto di uomini e di donne, nonostante sia un progetto che mostra solo le donne, con le loro difficoltà e aspirazioni. Credo davvero che possa agevolare un cambiamento in alcune parti del mondo, perlomeno in termini di mentalità». Hai un marito che ti incoraggia a portare avanti il tuo progetto: puoi dare consigli alle donne che hanno passioni lavorative che potrebbero portarle lontano da casa e da un compagno? «Credo che si debba raggiungere un compromesso. Certamente è impossibile avere una relazione se sei sempre lontana dal tuo compagno. Ma se bilanci il tempo passato insieme con quello in cui entrambi seguono il proprio percorso, credo che possa funzionare. Fintanto che c’è amore (amore per quello che fai e amore per il tuo partner), non dovrebbe essere troppo difficile». Avevi studiato fotografia all’università, ma poi ti eri dedicata ad altri lavori, sia perché non ti sentivi
abbastanza brava, sia per motivi economici. Ad un certo punto, però, hai deciso di rischiare e tornare a ciò che ti appassionava. Perché, secondo te, tante persone non osano seguire i propri sogni come hai fatto tu? «Credo che guardino direttamente alla cima e si sentano sopraffatti dal lungo percorso per arrivare fin là. Nel mio caso, non ero felice della mia vita e così ho deciso di intraprendere una nuova strada. Sono sempre stata affascinata dalla diversità e dopo un viaggio in Etiopia, un luogo ricco di contrasti, ho deciso di combinare le mie due passioni: viaggiare e scattare ritratti femminili. Ma ho proceduto un passo alla volta, lavorando duramente e con pazienza. Ho investito i miei risparmi, godendomi ciò che stavo facendo ogni giorno, invece di focalizzarmi continuamente su un obiettivo distante o mettermi pressione per raggiungerlo. Alla fine, sempre più persone hanno iniziato a credere al mio progetto e a finanziarlo con donazioni. Il mio hobby è diventato il mio lavoro e ho riconquistato fiducia in me stessa». Eri una persona timida e approcciare le persone in strada ti costava un certo sforzo: quali trucchi hai imparato con la pratica? «Cerco di essere quanto più onesta possibile. Non tratto le donne come soggetti per il mio lavoro, ma come esseri umani, come amiche. Di solito non le avvicino con la macchina fotografica in mano. Prima parlo con loro per conoscerle e solo dopo estraggo la macchina». Se le donne poi ti rifiutano uno scatto, non è una perdita di tempo? «Se rifiutano, certamente mi spiace. In mente ho centinaia di bellissime foto che non è stato però possibile scattare. Eppure, non ho mai considerato una conversazione con una donna come una perdita di tempo, anche se lei si è poi negata al mio obiettivo. Al contrario. Mi dà la possibilità di capire
le sue motivazioni, difficoltà o paure, e questo mi ha aiutato a vedere il quadro generale della condizione delle donne nel mondo». Che difficoltà incontri nel tuo lavoro? «Forse suonerà buffo, ma una delle più grandi sfide per me è prendere l’aereo. Sono spaventata dai voli, sebbene ne abbia presi quasi cento negli ultimi cinque anni. Tutti abbiamo debolezze e paure, ma è importante superarle. Non esistono super esseri umani, però esiste la super passione per ciò che fai e che ti darà le ali per volare». È più difficile se sei una donna che viaggia da sola? «In alcune parti del mondo, come in Europa, non importa molto se sei uomo o donna. Ma in altre zone, essere una viaggiatrice può rappresentare davvero una sfida. Immagina di andare in un posto dove le donne locali non hanno il permesso di viaggiare da sole. In quanto straniera, verrai circondata da molti giudizi sbagliati e dovrai essere molto cauta. Talvolta ho viaggiato con mio marito in questi ambienti e quando ero da sola mi è capitato di sentirmi insicura. Eppure, la passione mi ha spinta e ho vissuto questi mo-
menti come nuovi modi per capire la condizione delle donne nel mondo». Qual è stato il Paese più difficile in cui ti sei trovata? «Non è corretto nominare interi Paesi perché sarebbe percepito come una generalizzazione. La verità è che nonostante norme culturali e standard di vita differenti, ogni luogo ha sia lati positivi sia negativi». Non è una risposta troppo politically correct? «Non si tratta di essere politically correct, penso semplicemente che sia un dettaglio irrilevante e fuorviante. Allora la situazione meno facile? «Ce ne sono state diverse. In Egitto sono stata circondata da uomini arrabbiati che mi chiedevano cosa stessi facendo. Ma nello stesso Paese sono stata anche molto aiutata. In India ho avuto terribili dolori addominali per due settimane e poi un verme di venti centimetri è uscito dalla mia bocca. Sono stata in aree di conflitto. Ma i ricordi più intensi riguardano sempre le donne che ho fotografato». Che cosa stai facendo ora? «Sto lavorando in Asia. Ho appena visitato il Bangladesh, ora sono in
Myanmar e la mia prossima destinazione sarà il Giappone. Continuo a lavorare su The Atlas of Beauty e tra qualche anno vorrei pubblicare una seconda parte del libro. C’è ancora molta diversità da scoprire e ora che il mio lavoro viene seguito in tutto il mondo, credo che il mio messaggio possa davvero essere ascoltato. Le cose cambieranno sicuramente nella mia vita, perché ora sono incinta. Avrò la possibilità di vedere il mondo da una prospettiva materna, probabilmente viaggeremo di più come famiglia, ma senza dubbio continuerò a lavorare duramente sul progetto perché adesso sono ancora più motivata a rendere questo mondo un posto migliore per noi e per le future generazioni». Cosa hai capito dell’umanità e di te stessa? «Ho capito quanto sia importante essere se stessi. So che sembra un cliché, ma è davvero difficile. Viviamo in un mondo con norme che ci dettano di agire e apparire in una determinata maniera, di seguire regole o trend, e il percorso verso la tua vera essenza incontra molte barriere, specialmente se sei donna. Ma viaggiando, ho anche avuto la possibilità di conoscermi meglio e di trovare il coraggio di essere me stessa. È una strada lunga, sento ancora una certa pressione ad apparire in un determinato modo, ma sto andando nella direzione giusta, credo». Hai anche sperimentato i vantaggi di un passaporto forte, quale quello dei cittadini dell’Unione europea, a confronto con persone di altre nazionalità che devono richiedere il visto per la maggior parte delle destinazioni estere e non sempre lo ottengono. «La mancanza di libertà di movimento è uno dei fallimenti più grandi del nostro mondo. L’umanità ha inventato cose fantastiche durante la storia, ma queste linee immaginarie chiamate confini sono state probabilmente una delle peggiori. Parliamo spesso di combattere la discriminazione, ma non permettere a qualcuno di entrare su un pezzo di terra in base a un pezzo di carta è discriminazione pura. Mi rendo conto che se tutti i confini scomparissero domani, il mondo sarebbe nel caos. Eppure, è nostro dovere creare le condizioni per eliminarli al più presto. Quando pensiamo ad altre culture, la più grande sfida è la paura delle persone. Attraverso TAOB cerco di costruire ponti tra le culture
del mondo, per mostrare che sebbene così differenti, siamo parte della stessa famiglia e condividiamo molti valori simili». Quali artisti ti ispirano di più? «Sia i fotogiornalisti che mostrano il mondo in modo crudo, come Lynsey Addario, sia i fotografi che mettono una grande cura nell’ottenere uno scatto spettacolare e colorato, come Steve McCurry. In TAOB cerco di concentrarmi sia sulla forma che sul contenuto, perché una forma spettacolare raggiungerà un pubblico più ampio e alla fine il tuo messaggio potrà davvero produrre un cambiamento».