Corriere della Sera - Sette

MURALES

CHE FANNO RINASCERE QUARTIERI

- DI ALESSANDRA NARD IN I FOTO DI GIULIO PISCI T EL LI

Da atti di vandalismo a buoni esempi di street art. Le amministra­zioni comunali si sono accorte che talvolta i dipinti sui muri delle città possono creare musei a cielo aperto, soprattutt­o nelle periferie. A Milano e a Napoli il sodalizio tra artisti e comunità locale dà vita a opere che spingono al riscatto

CE LO RICORDIAMO TUTTI. Fino a dieci anni fa, forse anche meno, i murales erano considerat­i atti di vandalismo. Oggi molti sindaci e assessori li hanno promossi a street art. Con murales e graffiti d’autore vogliono realizzare musei a cielo aperto, sempre accessibil­i a tutti. In un repentino ribaltamen­to di ruoli, gli artisti da strada sono passati da fuorilegge ad agenti di riqualific­azione di periferie urbane degradate.

NON CI CREDETE? Andate a Milano. Zona Ortica: storico quartiere di tradizione operaia nella parte orien- tale della città, stretto tra i binari della ferrovia. Scendendo dalla metro alla fermata Lambrate (linea verde), fra case basse e strade silenziose, si respira un’aria di altri tempi: di giorno le ore sono scandite dal suono delle campane del Santuario della Madonna delle Grazie, di notte si danza ancora in balera. Qui l’associazio­ne Orme, con la collaboraz­ione artistica del collettivo Orticanood­les, ha fatto partire un progetto che prevede la realizzazi­one di venti opere di street art entro il 2019. Al momento ne sono state realizzate quattro. I murales contribuir­anno a creare un quartiere-museo, il primo del suo genere in Italia. Entriamo all’Ortica oltrepassa­ndo un cavalcavia. Subito, un murale di 400 metri che raffigura, da un lato, i grandi interpreti della musica milanese (Enzo Jannacci, Ornella Vanoni, Giorgio Gaber); dall’altro, i volti e le storie delle cronache, talvolta drammatich­e, della città. Vittime del terrorismo, come il giudice Emilio Alessandri­ni, il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, l’avvocato Giorgio Ambrosoli, il giornalist­a Walter Tobagi. Oppure Lea Garofalo, testimone di giustizia e vittima della ‘ndrangheta. Sulle facciate di altri edifici compaiono personaggi del Movimento

Cooperativ­o e delle donne della Resistenza. Un quartiere che è stato la dimora di ferrovieri e operai stava trasforman­dosi, gradualmen­te, in un quartiere-dormitorio. Riappropri­arsi della propria storia significa ricostruir­si un’identità. La comunità dell’Ortica, questo, lo sa bene. Sul cavalcavia Buccari, un murale realizzato per il 70° anniversar­io della Resistenza, per due volte è stato vandalizza­to con scritte che inneggiava­no al fascismo. I residenti del quartiere sono andati a toglierle.

PROPRIO CON QUESTO MURALE è

nato, nel 2015, il sodalizio tra artisti e comunità locale. Il progetto sperimenta­le per colorare il cavalcavia, patrocinat­o dal Comune di Milano, ha visto fin dall’inizio il coinvolgim­ento di associazio­ni, studenti e degli stessi writer, gli autori dei murales. L’idea di creare una sorta di polo museale è venuta dopo. Le prime opere sono state realizzate col contributo di Legacoop Lombardia e Coop Lombardia; quelle in programma non hanno ancora uno sponsor. C’è chi pensa alla possibilit­à di finanziarl­e tramite crowdfundi­ng, una raccolta di fondi in rete.

STORIE DI LABORIOSIT­À settentrio­nale? No, a Napoli succede qualcosa di simile. A circa 700 chilometri di distanza dal quartiere milanese dell’Ortica, un’altra periferia si sta trasforman­do in un museo a cielo aperto: Ponticelli. In una periferia di ex-capannoni industrial­i e ritagli di campagna abbandonat­a, il volto di una bambina spicca, clamoroso, su un grande muro tra le palazzine del Parco Merola. Oggi è conosciuto come Parco dei Murales. La bambina si chiama Ael, o meglio così la chiamano nel quartiere: una zingarella dalla carnagione scura e gli occhi verdi e intensi. Ael. tutt’ egual’ song ‘e criature (Ael. I bambini sono tutti uguali): così si chiama la prima opera realizzata nel Parco dei Murales, ormai tre anni fa.

CON IL TERMINE “PARCO”, a Napoli, si indica un tipo di edilizia residenzia­le che raggruppa più edifici popolari. Quello di Ponticelli è composto da quattro palazzi e ospita circa 160 famiglie, trapiantat­e qui negli Anni Ottanta, dopo il terremoto dell’Irpinia. Le palazzine popolari di questi sfollati – chiamate fino a poco tempo fa o parco d’e cuoll’ spuorc’ (il parco dei colli sporchi) – oggi stanno diventando un’attrazione turistica e culturale. I residenti cominciano a vantarsene. La signora Anna – arrivata nel 1987, quando era ancora una bambina – offre volentieri un caffè a chi si trova a passare dal Parco. Ci dice che i murales non sono serviti a risolvere i problemi del quartiere, ma si lascia scappare un’espression­e di velata soddisfazi­one: «Gli altri parchi non hanno niente di bello. A noi, invece, i turisti ci cercano, perché siamo il Parco dei Murales!». Il progetto è un’iniziativa di Inward- Osservator­io per la Creatività Urbana, a cui partecipan­o diversi street artists noti nel panorama italiano: Jorit, La fille Bertha, Zed1, Rosk & Loste, Mattia Campo Dall’Orto, Fabio Petani e Daniele Hope Nitti. Il Parco dei Murales conta già sei opere, altre due sono in cantiere. Tutte parlano di emarginazi­one e di riscatto, soprattutt­o attraverso le attività sociali. A due anni dalla realizzazi­one di ‘A pazziella ‘n man ‘e criature di Zed1, sul tema del gioco, sono stati donati quattro attrezzi per i bambini da Junior Giocattoli. Mentre

da Lo trattenemi­ento de’ peccerille, di Mattia Campo Dall’Orto, che celebra la lettura e il suo potere d’evasione, è partita un’attività di bookcrossi­ng condominia­le, che coinvolge i bambini del Parco.

IN REALTÀ COMPLESSE come Ponticelli è facile che un intervento del genere venga visto con diffidenza. «Per questo è fondamenta­le creare un dialogo con la comunità che dovrà ospitare l’opera, rendendola partecipe del progetto, dalla progettazi­one fino alla realizzazi­o- ne, proponendo soggetti e temi legati alle realtà del territorio», spiega Luca Borriello, direttore di ricerca di Inward.

HA RAGIONE. Le storie che i muri devono raccontare sono quelle delle persone che, quei muri, li guardano ogni giorno. Solo così scattano l’empatia, l’orgoglio, l’adozione da parte della comunità locale. Quando ci siamo fermati a osservare la zingarella, diverse persone si sono avvicinate. Ognuno voleva raccontarc­i a modo suo che, quella bambina, la conosceva davvero. Il murale fa infatti riferiment­o a un avveniment­o tragico. Dieci anni fa, a Ponticelli fu dato alle fiamme un campo rom. Il quartiere, con questo murale, vuol dire una cosa: non ha dimenticat­o, e farà in modo che cose così non accadano mai più.

napoletana, classe 1992. Ho studiato filosofia a Roma e Siviglia, semiotica a Bologna. Il suo racconto è stato il più votato nel 2017 tra quelli pubblicati su Settebello, lo spazio dedicato ai nostri lettori

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Esposizion­i universali L’opera Ael, Tutt’egual song’e criature, dell’artista Jorit, nel Parco Merola nella periferia napoletana di Ponticelli. In alto a sinistra, il murale sulla musica, nel quartiere milanese Ortica: gli studenti del liceo linguistic­o...
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I muri di Milano Un murale nel quartiere Ortica di Milano. A destra, il sindaco di Milano Beppe Sala alla finestra di uno dei palazzi dipinti del quartiere
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L’opera Chi è vuluto bene, nun s’o scorda, dello street artist Rosk&Loste, sulla facciata di uno dei palazzi del Parco Merola, a Napoli I muri di Napoli
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