MURALES
CHE FANNO RINASCERE QUARTIERI
Da atti di vandalismo a buoni esempi di street art. Le amministrazioni comunali si sono accorte che talvolta i dipinti sui muri delle città possono creare musei a cielo aperto, soprattutto nelle periferie. A Milano e a Napoli il sodalizio tra artisti e comunità locale dà vita a opere che spingono al riscatto
CE LO RICORDIAMO TUTTI. Fino a dieci anni fa, forse anche meno, i murales erano considerati atti di vandalismo. Oggi molti sindaci e assessori li hanno promossi a street art. Con murales e graffiti d’autore vogliono realizzare musei a cielo aperto, sempre accessibili a tutti. In un repentino ribaltamento di ruoli, gli artisti da strada sono passati da fuorilegge ad agenti di riqualificazione di periferie urbane degradate.
NON CI CREDETE? Andate a Milano. Zona Ortica: storico quartiere di tradizione operaia nella parte orien- tale della città, stretto tra i binari della ferrovia. Scendendo dalla metro alla fermata Lambrate (linea verde), fra case basse e strade silenziose, si respira un’aria di altri tempi: di giorno le ore sono scandite dal suono delle campane del Santuario della Madonna delle Grazie, di notte si danza ancora in balera. Qui l’associazione Orme, con la collaborazione artistica del collettivo Orticanoodles, ha fatto partire un progetto che prevede la realizzazione di venti opere di street art entro il 2019. Al momento ne sono state realizzate quattro. I murales contribuiranno a creare un quartiere-museo, il primo del suo genere in Italia. Entriamo all’Ortica oltrepassando un cavalcavia. Subito, un murale di 400 metri che raffigura, da un lato, i grandi interpreti della musica milanese (Enzo Jannacci, Ornella Vanoni, Giorgio Gaber); dall’altro, i volti e le storie delle cronache, talvolta drammatiche, della città. Vittime del terrorismo, come il giudice Emilio Alessandrini, il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, l’avvocato Giorgio Ambrosoli, il giornalista Walter Tobagi. Oppure Lea Garofalo, testimone di giustizia e vittima della ‘ndrangheta. Sulle facciate di altri edifici compaiono personaggi del Movimento
Cooperativo e delle donne della Resistenza. Un quartiere che è stato la dimora di ferrovieri e operai stava trasformandosi, gradualmente, in un quartiere-dormitorio. Riappropriarsi della propria storia significa ricostruirsi un’identità. La comunità dell’Ortica, questo, lo sa bene. Sul cavalcavia Buccari, un murale realizzato per il 70° anniversario della Resistenza, per due volte è stato vandalizzato con scritte che inneggiavano al fascismo. I residenti del quartiere sono andati a toglierle.
PROPRIO CON QUESTO MURALE è
nato, nel 2015, il sodalizio tra artisti e comunità locale. Il progetto sperimentale per colorare il cavalcavia, patrocinato dal Comune di Milano, ha visto fin dall’inizio il coinvolgimento di associazioni, studenti e degli stessi writer, gli autori dei murales. L’idea di creare una sorta di polo museale è venuta dopo. Le prime opere sono state realizzate col contributo di Legacoop Lombardia e Coop Lombardia; quelle in programma non hanno ancora uno sponsor. C’è chi pensa alla possibilità di finanziarle tramite crowdfunding, una raccolta di fondi in rete.
STORIE DI LABORIOSITÀ settentrionale? No, a Napoli succede qualcosa di simile. A circa 700 chilometri di distanza dal quartiere milanese dell’Ortica, un’altra periferia si sta trasformando in un museo a cielo aperto: Ponticelli. In una periferia di ex-capannoni industriali e ritagli di campagna abbandonata, il volto di una bambina spicca, clamoroso, su un grande muro tra le palazzine del Parco Merola. Oggi è conosciuto come Parco dei Murales. La bambina si chiama Ael, o meglio così la chiamano nel quartiere: una zingarella dalla carnagione scura e gli occhi verdi e intensi. Ael. tutt’ egual’ song ‘e criature (Ael. I bambini sono tutti uguali): così si chiama la prima opera realizzata nel Parco dei Murales, ormai tre anni fa.
CON IL TERMINE “PARCO”, a Napoli, si indica un tipo di edilizia residenziale che raggruppa più edifici popolari. Quello di Ponticelli è composto da quattro palazzi e ospita circa 160 famiglie, trapiantate qui negli Anni Ottanta, dopo il terremoto dell’Irpinia. Le palazzine popolari di questi sfollati – chiamate fino a poco tempo fa o parco d’e cuoll’ spuorc’ (il parco dei colli sporchi) – oggi stanno diventando un’attrazione turistica e culturale. I residenti cominciano a vantarsene. La signora Anna – arrivata nel 1987, quando era ancora una bambina – offre volentieri un caffè a chi si trova a passare dal Parco. Ci dice che i murales non sono serviti a risolvere i problemi del quartiere, ma si lascia scappare un’espressione di velata soddisfazione: «Gli altri parchi non hanno niente di bello. A noi, invece, i turisti ci cercano, perché siamo il Parco dei Murales!». Il progetto è un’iniziativa di Inward- Osservatorio per la Creatività Urbana, a cui partecipano diversi street artists noti nel panorama italiano: Jorit, La fille Bertha, Zed1, Rosk & Loste, Mattia Campo Dall’Orto, Fabio Petani e Daniele Hope Nitti. Il Parco dei Murales conta già sei opere, altre due sono in cantiere. Tutte parlano di emarginazione e di riscatto, soprattutto attraverso le attività sociali. A due anni dalla realizzazione di ‘A pazziella ‘n man ‘e criature di Zed1, sul tema del gioco, sono stati donati quattro attrezzi per i bambini da Junior Giocattoli. Mentre
da Lo trattenemiento de’ peccerille, di Mattia Campo Dall’Orto, che celebra la lettura e il suo potere d’evasione, è partita un’attività di bookcrossing condominiale, che coinvolge i bambini del Parco.
IN REALTÀ COMPLESSE come Ponticelli è facile che un intervento del genere venga visto con diffidenza. «Per questo è fondamentale creare un dialogo con la comunità che dovrà ospitare l’opera, rendendola partecipe del progetto, dalla progettazione fino alla realizzazio- ne, proponendo soggetti e temi legati alle realtà del territorio», spiega Luca Borriello, direttore di ricerca di Inward.
HA RAGIONE. Le storie che i muri devono raccontare sono quelle delle persone che, quei muri, li guardano ogni giorno. Solo così scattano l’empatia, l’orgoglio, l’adozione da parte della comunità locale. Quando ci siamo fermati a osservare la zingarella, diverse persone si sono avvicinate. Ognuno voleva raccontarci a modo suo che, quella bambina, la conosceva davvero. Il murale fa infatti riferimento a un avvenimento tragico. Dieci anni fa, a Ponticelli fu dato alle fiamme un campo rom. Il quartiere, con questo murale, vuol dire una cosa: non ha dimenticato, e farà in modo che cose così non accadano mai più.
napoletana, classe 1992. Ho studiato filosofia a Roma e Siviglia, semiotica a Bologna. Il suo racconto è stato il più votato nel 2017 tra quelli pubblicati su Settebello, lo spazio dedicato ai nostri lettori