I PRIMI CITTADINI VERDI DI MILANO, ROMA E PALERMO
GLI ALBERI SONO L’UNITÀ minima che l’uomo si è educato ad accudire per disegnare, o meglio ridisegnare, il paesaggio. Appartiene a quella parte del vivente che ha deciso di tenersi accanto, talvolta un vivente che lo supera, per dimensione, caparbietà, longevità. La mattina, quando vado a meditare lungo i sentieri e i torrenti che innervano un bosco d’intorno ad un piccolo lago alpino, a fine pratica, raggiungo una quercia svettante. Poso le mani sulla sua corteccia scolpita, brunita, in cerca di buio, e lascio che lo sguardo caramboli fino ai piani alti. Rami saettanti, alcuni integri, altri spezzati. È una delle riserve di memoria naturale di questo piccolo bosco ai piedi delle Alpi Cozie. Mi impressiona, ogni volta, che la sua età potrebbe essere pari, o anche più lunga, rispetto alla somma delle età mia e di mio padre. I nostri tempi superati da questo singolo ospite radicante. Quale e quanta vastità di percezione ci dona la natura.
IMPRESSIONANTI sono gli alberi delle città. Resistono qui dentro, nonostante il continuo fracasso, l’inquinamento, l’ossessione per gli spazi, e i suoni che percuotono la terra, là dove gli alberi nascono e stazionano. Non ci pensiamo quasi mai al disturbo che essi percepiscono a causa dei continui sommovimenti che la nostra azione innesca. E Milano è una delle nostre più dinamiche concentrazioni di umani.
Signore arboreo ne è il platano, l’albero dalle grandi foglie. Ma fra i più curiosi giganti ultrasecolari compare l’americano Taxodium distichum, cipresso calvo o delle paludi; cresce come un sacerdote severo con le ramificazioni spalancate, nei giardini Montanelli, un tempo confine orientale della città, spalanca le sue ramificazioni laterali, e riposa, nei mesi estivi, sotto una foltissima chioma ricadente, verde brillante, che sa arrugginire in autunno.
ROMA È LA CITTÀ PIÙ ALBERATA d’Italia. Vi si possono incontrare boschi veri e propri, talora molto curati, talora quasi abbandonati: penso, ad esempio, a Villa Borghese, a Villa Ada, a Villa Doria Pamphilj. Gli alberi probabilmente più annosi della città sono platani con quattro secoli di storia, ma ho scelto di immergermi nell’incanto dei resti delle terme di Diocleziano, le più vaste dell’antica capitale, e nel museo allestito con preziosi vasi e i cotti degli scavi di Casaletto di Valle Ariccia. Qui, nel chiostro adiacente la basilica di Santa Maria degli Angeli, iniziato su disegno di Michelangelo l’anno dopo la sua morte, il 1565, sopravvive un cipresso imbrigliato in un busto metallico: si solleva su una sola radice come un’attempata danzatrice. Un viaggiatore delle epoche, che noi possiamo ammirare, nel suo ultimo inno, grazie alla cura di alcuni uomini.
INDUBBIO PROTAGONISTA di Palermo è il Ficus macrophylla, gigante pretenzioso e incontrollabile che cresce con veemenza e sa sollevare e scostare, all’occorrenza, colonne, vasi, muri e scalinate. Quanto spettacolo le sue vaste fronde, le radici aeree, il labirinto di radici tabulariche disegnano, anzi, scolpiscono. Fra i molti esemplari notabili imperdibili i patriarchi del giardino di Villa Garibaldi, a piazza Marina, il maggiore messo a dimora nel 1863, il bosco-abitante del ficus al centro dell’Orto botanico di via Lincoln, che ribattezzai la Sagrada Familia di Palermo, piantato nei primi anni Quaranta del XIX secolo, nonché i molti splendidi e maestosi dei giardini di Villa Trabia, Giardino Inglese, Palazzina Cinese, Villa d’Orléans, Villa Giulia.
Uno dei tanti meravigliosi ficus di Palermo, nei giardini di Villa Trabia, fotografato da Tiziano Fratus