Premiamo l’Erasmus, fabbrica dei nuovi europei
LA FABBRICA DEI NUOVI EUROPEI
Non è un momento facile per l’Unione Europea. Ma alcuni successi sono innegabili. Uno di questi è il programma di mobilità Erasmus. Attivo dal 1987, ha dimostrato un’efficacia che va oltre l’ambito accademico: crea legami, conoscenze, fiducia reciproca. E facilita le carriere. Ecco, dunque, la nostra settima e ultima Modesta Proposta: assegniamo il Nobel per la pace agli studenti Erasmus, che hanno contribuito alla nascita di una nuova consapevolezza europea
ALLE ELEZIONI DEL 4 MARZO scorso un italiano su due ha votato contro l’Unione Europea, premiando la Lega di Matteo Salvini e il Movimento Cinque Stelle. Le istituzioni europee non si aspettavano certo questa débâcle nell’ultimo dei quattro grandi appuntamenti politici del biennio 2017-2018. Invece, dopo aver tirato un sospiro di sollievo all’indomani del voto olandese, francese e tedesco, Bruxelles ha dovuto prendere atto della nuova Italia euroscettica. Eppure, il nostro, è tradizionalmente un Paese europeista e lo dice un dato, tra i tanti: l’Italia, insieme a Germania, Spagna e Francia, ha sfruttato più di tutti gli altri il programma di mobilità dell’Ue, l’Erasmus, che oggi si chiama Erasmus+. «Questo la dice lunga sulla schizofrenia nell’approccio all’Unione», spiega Giacomo D’Arrigo, direttore dell’Ang, Agenzia Nazionale per i giovani, uno dei tre enti, con Indire e Inapp, che gestisce il programma in Italia. «Quando conosciamo l’Ue come qualcosa di funzionale e utile, allora ne abbiamo fiducia e la sfruttiamo. Quando la conosciamo attraverso qualcosa che riteniamo incomprensibile – lo spread o la lunghezza della verdura sul mercato – le voltiamo le spalle».
L’ERASMUS COMPIE 31 ANNI ed è senza dubbio il programma culturale di maggior successo di un’Europa che ha sempre più avversari, in casa e fuori. È questo il motivo della nostra ultima Modesta Proposta, che dall’Italia si allarga all’Europa: assegniamo il Nobel per la pace agli studenti Erasmus. Una proposta provocatoria, ma simbolica. «Se c’è una parola sinonimo di successo in Europa è Erasmus», commenta il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega agli Affari Europei Sandro Gozi, che l’Erasmus l’ha fatto nel 1990 alla Sorbona di Parigi, pochi mesi dopo la caduta del Muro di Berlino. Darebbe il Nobel agli studenti Erasmus? «Certo, mi candido anche io! Battute a parte, l’Erasmus è il miglior
antidoto all’antieuropeismo, all’opportunismo antieuropeista, alla xenofobia: una volta che hai vissuto l’apertura che l’Europa ti offre, è molto difficile che tu voglia far tornare le frontiere. Più giovani europei fanno esperienza della mobilità, più avremo europei convinti che l’Europa è un’opportunità, anzi, un moltiplicatore di opportunità e diritti. Così superiamo l’Europa che ha moltiplicato vincoli, come quelli finanziari, e delusioni, come l’assenza dell’Ue nel Mediterraneo». TRA LE COSE CHE NON HANNO funzionato nella comunicazione dell’Unione Europea – con le ricadute politiche che vediamo in casa nostra – l’Erasmus è un’eccezione: «Funziona perché produce cittadinanza europea, nel concreto, non nelle parole. È il più grande diffusore di cultura e pratica europea. Lo dimostrano i 31 anni di storia, e il fatto che abbia saputo evolversi, che sia cambiato insieme all’Europa», spiega D’Arrigo di Ang, l’organizzazione che gestisce in Italia il settore “Gioventù” del programma supportando la mobilità di tutti i giovani, non solo universitari, dai 13 ai 30 anni, nell’ambito di scambi giovanili, associazionismo e volontariato. «L’obiettivo? Includere quel grande bacino di persone che per motivi finanziari o di scolarizzazione rimangono escluse».
DAL 1987, 4,4 MILIONI di studenti universitari sono partiti per l’Erasmus, 9 milioni di persone in totale contando anche le altre mobilità che il programma oggi supporta, 633mila italiani, per un budget comunitario 2014-2020 di 14,7 miliardi di euro. E dopo? Si sta ridiscutendo il finanziamento per il prossimo settennio. E si parte proprio dai numeri: sono ancora pochi, anzi pochissimi, i partecipanti, considerando che l’Unione Europea ha 512 milioni di abitanti. Perché? «Se c’è un difetto dell’Erasmus è che tanti non possono ancora accedervi: le famiglie disagiate non possono farlo, perché le borse sono ridotte. Per questo, l’Italia per prima ha chiesto di decuplicare le risorse, ci hanno seguiti Spagna e Francia», racconta Gozi. Moltiplicare per dieci il budget vuol dire aumentare l’ammontare e il valore delle borse. «Solo così avremo un Erasmus dell’inclusione sociale. Sarebbe la migliore risposta all’affermazione degli antieuropeisti: quando si fa l’Erasmus, non è solo la persona che lo fa, ma la comunità che gli sta attorno, la famiglia, gli amici». In questi giorni la Commissione europea
«L’Erasmus fa capire che l’Europa è un moltiplicatore di opportunità e diritti. Così superiamo l’Europa che ha moltiplicato vincoli e delusioni, come l’assenza nel Mediterraneo»
pubblicherà la proposta ufficiale, poi passeranno 12 mesi di negoziati prima della decisione definitiva, nel 2020. «Nell’attuale contesto di tagli e risparmi, anche solo raddoppiare il budget sarebbe un buon segnale. E credo che ci riusciremo», commenta Massimo Gaudina, capo della Rappresentanza della Commissione europea a Milano.
CHIEDETE OGGI in un gruppo di amici quanti sono gli ex Erasmus. Noi l’abbiamo fatto in redazione. Dovrete contare quelli che l’Erasmus non l’hanno fatto. Ma «è stato un percorso lungo, difficile. Ci sono voluti vent’anni per rodare il sistema e superare le resistenze», dice la professoressa Sofia Corradi. Alla soglia degli 84 anni, ricorda con lucidità la sua storia, che ha cambiato il percorso universitario di milioni di studenti europei. «C’era la Guerra Fredda, non mi sono rassegnata e ho rotto le scatole a tutti. Mi dicevano che la mia era un’idea balzana». Com’è nata quell’idea? «Da un’umiliazione». Vale a dire? «Quando la Seconda guerra mondiale è finita, l’Europa era cosparsa di aeroplani abbattuti, carri armati sventrati, carrozzoni da sbarco. Gli alleati hanno messo all’asta i residui bellici. Il senatore Usa Fulbright ha avuto un’idea geniale: usare quei soldi per dare agli universitari statunitensi la possibilità di passare un anno nelle università italiane e a quelli italiani di andare negli States. Ho vinto la borsa di studio e sono andata alla Columbia University di New York». E poi? «Tornata in Italia, mi mancavano tre esami e la tesi. Sono andata con la pergamena della Columbia allo sportello della segreteria studenti dell’università di Roma, dove studiavo Giurisprudenza, e ho chiesto di considerare il master americano equipollente dei tre esami che mi mancavano. Il capo della segreteria studenti della facoltà ha alzato la voce: “Columbia University? Mai sentita nominare”. L’ha detto come se la Columbia fosse un paradiso fisca- le, come se avessi tentato di laurearmi con documenti falsi. Fui svillaneggiata davanti ai miei colleghi. Salvo poi, grazie a quel riconoscimento statunitense, riuscire a trovare subito lavoro: mentre i miei compagni di corso avevano difficoltà, io avevo i datori di lavoro che mi correvano dietro».
E L’ERASMUS QUANDO ARRIVA? «Quando si è giovani, si è generosi: ho pensato che, se quell’esperienza di studio all’estero era stata così utile a me, andava generalizzata. Ma non sapevo come fare. La svolta è arrivata quando sono diventata consulente per le relazioni internazionali dell’associazione tra i rettori delle università italiane. Chiamavo i rettori di tutte le università europee. Convincere loro non è stato difficile. Ero diventata una persecuzione per tutti». Qual era il suo obiettivo? «Con l’Erasmus miravo a due cose: la promozione della pace tra le nazioni mediante la conoscenza diretta tra i popoli – ecco perché la vostra proposta mi trova entusiasta! – e la democratizzazione degli studi universitari. Che un’esperienza di studio all’estero facesse bene non l’avevo certo scoperto io: i rampolli di buona famiglia la fanno da sempre. Ma sognavo che questo privilegio riservato a pochi potesse diventare un’opportunità per molti».
C’È UN DATO che statisticamente dimostra quella che la professoressa Corradi definisce «la marcia in più» che l’Erasmus offre a uno studente: l’impatto sul lavoro. Secondo uno studio realizzato dalla Commissione europea su 80mila partecipanti tra studenti e imprese, l’incidenza della disoccupazione di lunga durata per gli ex Erasmus è dimezzata rispetto a chi non ha studiato all’estero e, a cinque anni dalla laurea, il loro tasso di disoccupazione è più basso del 23%. L’esperienza di mobilità inoltre accelera il raggiungimento di posizioni manageriali. «Credo che oggi più che mai sia impensabile avere una formazione valida senza aver studiato o lavorato almeno per un semestre in un’altra lingua e in un altro sistema», dice il sottosegretario Gozi. Ecco perché in molti mirano, anche grazie all’aumento del finanziamento, a rendere il progetto Erasmus obbligatorio nel percorso universitario di uno studente. Ne riparliamo nel 2020?