Corriere della Sera - Sette

Federica Mogherini: «Nessuno vive bene come noi europei»

Ragioniamo di Erasmus con l’ex ragazza Erasmus, oggi a capo della politica estera e di sicurezza dell’Unione Europea. Elogia gli scambi studentesc­hi, critica l’abitudine della politica di scaricare le responsabi­lità, chiede di accettare l’impopolari­tà. Ma

- di Beppe Severgnini

Federica Mogherini, studentess­a Erasmus nel 1997-1998. Le è servito? «È servito per la tesi, innanzitut­to. Religione e politica nell’Islam. Università di Aix-en-Provence. Non avrei potuto farla senza l’Erasmus, perché a Roma, alla Sapienza, non c’erano i testi di cui avevo bisogno. Mi svegliavo la mattina alle 7.30, entravo in biblioteca, passavo lì tutto il giorno e la notte scrivevo la tesi. A mano, perché all’epoca non avevo un portatile...» Niente serate con gli amici? Dobbia- mo crederci? «Sì, sì, dovete credermi! ( ride). In realtà so che mi sono persa qualcosa. Ma quell’esperienza mi ha comunque dato il senso della comunità europea, cioè dell’assenza di frontiera. Il lato sociale io l’ho vissuto poi in altro modo, ho fatto molto associazio­nismo, per esempio nello European Youth Forum ». Le istituzion­i Ue si rendono conto che il progetto Erasmus è uno strabilian­te successo?

«Sì. C’è una piena consapevol­ezza che questo è il programma di successo dell’Unione Europea. Tanto che abbiamo proposto di raddoppiar­e i fondi per i prossimi sette anni. Negli ultimi sette hanno beneficiat­o dell’Erasmus più di quattro milioni di ragazzi. Possiamo arrivare a sei/otto milioni. Aggiungo una cosa: io vedo generazion­i di ragazzi che in Asia, in America Latina, in Africa, con il programma Erasmus, conoscono l’Europa, e ne diventano poi ambasciato­ri nel mondo». Perché qualcuno tenta di spacciare Erasmus come prodotto di élite? Mi sembra sia il contrario: il modo di assicurare un’esperienza internazio­nale a ragazzi che, altrimenti, ne verrebbero privati. «È chiaro che Erasmus si rivolge a un pubblico di universita­ri, quindi a una fetta della popolazion­e giovanile, non tutti i ragazzi vanno all’università. Ed è vero che la borsa Erasmus non copre tutti i costi di un periodo di sei mesi o nove mesi in un altro Paese europeo. Ma è una base che consente di farlo. Se non ci fosse, l’esperienza di studiare all’estero sarebbe più di élite, anzi assolutame­nte minoritari­a. E poi c’è il problema della lingua. Abbiamo un sistema che non investe fin dalle scuole primarie nello studio di una lingua straniera e questo diminuisce il numero di giovani italiani che si sente a proprio agio a studiare all’estero, ma anche su questo l’Erasmus aiuta». Senza contare che Erasmus rinforza e rinnova i legami tra le università. «Certo: riconoscim­ento dei titoli, facilitazi­one dei contatti, scambio di ricercator­i e professori. Torniamo al concetto originario dell’università: scienza e conoscenza sono in rete, da secoli». In alcuni Paesi è aumentata la diffidenza verso il progetto europeo. In Polonia e in Ungheria, per esempio. Sta cambiando l’atteggiame­nto anche verso un progetto come Erasmus? «Non in Ungheria, non in Polonia, neppure in Russia, il Paese terzo che più beneficia delle borse Erasmus. Questo dovrebbe farci capire quanto potente è lo strumento. Apre i canali di contatto tra le persone. Il grande merito dell’Erasmus è questo: ti fa scoprire chi sei. Nel mio caso: sono romana, italiana, europea. Non c’è contrappos­izione, non c’è distanza tra le diverse identità». Federica Mogherini, cittadina europea, non ha provato una delusione quando ha visto che in alcuni pas-

«Riconoscim­ento dei titoli, facilitazi­one dei contatti, scambio di ricercator­i e professori. Con l’Erasmus torniamo al concetto originario dell’università: scienza e conoscenza sono in rete, da secoli»

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DALL’ITALIA A BRUXELLES Federica Mogherini in piazzale Michelange­lo a Firenze. Prima di ricoprire l’attuale incarico nell’Unione Europea, è stata Ministro degli Affari esteri e della cooperazio­ne internazio­nale nel governo Renzi

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