Canto dei nuovi emigranti
Versi di ieri che raccontano la vita di oggi. Abbiamo deciso di riproporveli ogni settimana
Ce ne andiamo. Ce ne andiamo via. Dal torrente Aron dalla pianura dei Simeri. (...) Ce ne andiamo dai campi d’erba tra il grido delle quaglie e i bastioni. Dai paesi più vecchi più stanchi in cima al levante delle disgrazie. (...) Troppo tempo a gridarci nella bettola il sette di spade a buttare il re e l’asso. Troppo tempo a raccontarci storie chiamando onore una coltellata e disgrazia non avere padrone. (...) Non chiamateci. Non richiamateci. Noi ce ne siamo già andati. Dai catoi. Dagli sterchi orizzonti. Dai figli appena nati inchiodati nella madia calati dalle frane dall’Aspro Monte dei nostri pensieri. Spegnete le lampadine della piazza. (...) Levateci il I° giorno di scuola senza matita senza quaderno senza la camicia nuova. Toglieteci dalle galere. Non ubriacateci. Liberateci dal coltello dal sangue dei portoni. Non chiamateci da Scilla con la leggenda del sole del cielo e del mare. Siamo bene legati a una vita a una catena di montaggio. Scioglieteci dai limoni dai salti del pescespada. Noi vivi. Noi morti presi e impiccati cento volte ce ne siamo già andati staccandoci dai rami, dai manifesti della Repubblica. Di notte come lupi come contrabbandieri come ladri. Senza un’idea dei giorni delle ciminiere degli altiforni. Siamo in 700 mila su appena due milioni. Siamo i marciapiedi più affollati. Siamo i treni più lunghi. Siamo le braccia le unghie d’Europa. Il sudore Diesel. Siamo il disonore la vergogna dei governi. Il Tronco di quercia bruciata, il monumento al Minatore Ignoto. Siamo l’odore di cipolla che rinnova le viscere d’Europa. Siamo un’altra volta la fantasia gli dei. Milioni di macchine escono targate Magna Grecia. Noi siamo le giacche appese nelle baracche nei pollai d’Europa. Addio, terra. Salutiamoci, è ora.