La mia cena perfetta: un po’ di Toscana, un po’ di Cina
LA CENA PERFETTA è come l’anima gemella: esiste, ma non si trova dappertutto. Perché è un incastro delicato di pancia, testa e cuore. Una cena al Ciblèo, per me, è stata finora l’esperienza più vicina a questa idea platonica di pasto perfetto, cioè goloso e sofisticato, esotico e familiare insieme. Vi racconto perché. Mi ci ha portata, intanto, a sorpresa, un’amica a me molto cara, che sapeva che avrei voluto andarci. Ha riservato due posti per tempo: ci sono appena 16 coperti, di cui 8 al bancone, e tocca prenotare molto prima. Il ristorante è il quarto di una piccola cittadella del gusto fondata dallo chef Fabio Picchi nel cuore di Borgo Santa Croce, quartiere fiorentino centrale ma autentico. E alla cucina tradizionale toscana – marchio di fabbrica di Picchi, classe 1954 – unisce una forte ispirazione asiatica. Il nome stesso del locale, Ciblèo, è una scherzosa lettura alla cinese del nome del primo ristorante di Picchi, il vicino Cibrèo. Il menu – che cambia più volte ogni stagione – comprende una ventina di piattini, non microscopici, annaffiati da birre artigianali o vini locali. Quando vi ho cenato io, i più memorabili erano le cozze con cavolo rapa e wasabi, il maiale del Casentino allo stile dell’Himalaya e l’aglio nero fermentato. Insomma c’è una componente esotica, di curiosità, di studio, che travalica (ma non schiaccia, come in certe cucine iper-concettuali) il semplice piacere del mangiare. E la testa si incuriosisce.
IL CUORE, INVECE, LO RISVEGLIANO le piccole madeleine di cui lo chef dissemina le sue creazioni (non solo quelle tosco-asiatiche: sfogliate i suoi ricettari come Soffriggo per te). Come la melanzana fritta con soia dolce, simile alla “bistecca vegetale” di moda quando ero piccola. O il prosciutto cotto di Zivieri di cui è ripieno il bao, panino al vapore condito con un filo di olio extravergine che ricorda certi spuntini gustati a casa della nonna e si mangia in un solo boccone. Un boccone perfetto.