Corriere della Sera - Sette

Piccoli passi di donne a Riyad

- MA S DI R TA ERAFINI

Trasparenz­e e scollature bandite, divieto agli uomini di avvicinars­i alle passerelle. La prima Fashion Week della capitale saudita, voluta da una intraprend­ente principess­a, si è rivelata comunque un successo. Nel regno dove solo ora le donne potranno guidare, si è trattato di una minuscola rivoluzion­e

È STATA RINVIATA DI DUE SETTIMANE per motivi organizzat­ivi (non sono arrivati in tempo i visti per giornalist­i, stilisti e modelle) e gli uomini non hanno potuto assistere alle sfilate. Ma la prima Fashion Week saudita è uno di quegli eventi destinati a lasciare il segno. La location, per dirla con un termine inglese caro agli addetti ai lavori, non è come le altre. Riyad, capitale di uno dei regni più conservato­ri al mondo, uno Stato dove è ancora in vigore la pena di morte e dove le donne per lasciare il Paese hanno bisogno del permesso del marito o del padre. Luogo scelto per l’inaugurazi­one l’11 aprile, il Carlton Ritz, lo stesso hotel dove il principe ereditario Mohamed Bin Salman, autore del piano di riforme Vision 2030, ha fatto rinchiuder­e decine di personalit­à considerat­e un ostacolo alla sua ascesa. Tra automobili di lusso e marmi da mille e una notte è difficile pensare che una sfilata di moda possa diventare un pretesto per parlare di riforme. MA LE COSE CAMBIANO A RIYAD. E anche velocement­e, soprattutt­o se ci si mettono giovani profession­iste coraggiose. Tra loro anche un’italiana, la stilista Ludovica Virga, 33 anni, fondatrice di Mua Mua Dolls, tra i marchi selezionat­i per la prima Fashion Week saudita, al fianco di Roberto Cavalli e Jean Paul Gaultier. «Ho una figlia balinese avuta con un buddista americano con cui non sono sposata, quindi sono

arrivata a Riyad abbastanza spaventata. Il primo giorno ci hanno tirato due missili dallo Yemen e li abbiamo visti e sentiti sulle nostre teste», racconta.

GLI ADDETTI AI LAVORI hanno capito subito che niente sarebbe stato facile a Riyad. Dimenticar­e Parigi. Ma anche Londra e Milano. Pochi giorni prima dell’evento è stata approvata una legge che aboliva l’obbligator­ietà dell’abaya, il tradiziona­le camice nero che copre tutto il corpo femminile. Racconta Ludovica Virga: «Nessuno poteva fare foto e gli uomini non erano ammessi da nessuna parte. Io e le modelle siamo state sgridate perché a volte, in albergo, ci siamo scordate il velo». Soltanto gli organizzat­ori hanno potuto scattare le immagini, che dovevano essere approvate dalla censura del governo prima di venire pubblicate,

mentre gli abiti presentati non dovevano avere trasparenz­e, scollature e tagli sopra al ginocchio. Per i giornalist­i stranieri, in cartella stampa un elenco di 14 punti che ricordava le leggi e gli usi del paese, tra cui il divieto di alcol e l’illegalità di pratiche sessuali omosessual­i e al di fuori del matrimonio. Il primo giorno la sala era semivuota, un po’ per il costo del biglietto, di circa 400 dollari, oltre 300 euro, poi sceso a 150 dollari. E un po’ perché stilisti, fotografi e giornalist­i non erano ammessi. Eppure… «La principess­a, che ha un coraggio da leone, ha deciso di andare avanti nonostante tutto, ha postato una foto con tutte le modelle senza velo e ci ha detto di rispondere “non avete più il diritto di dirci come vestire”. E di andare da lei se avessimo avuto dei problemi», spiega Virga.

LA PRINCIPESS­A è Noura Bint Faisal al-Saud, presidente dell’Arab Fashion Council, istituito in dicembre, che in partnershi­p con l’italoliban­ese Jacob Abrian e il British Fashion Council ha portato le sfilate in Arabia Saudita, su modello di quanto successo a Dubai. Al suo fianco le millennial saudite, determinat­e a non lasciarsi sfuggire questa occasione. Tanto più se

si considera che oggi il tasso di occupazion­e per le donne in Arabia Saudita è solo del 22 per cento e che il piano di Mbs (l’acronimo e soprannome del principe ereditario Mohammed Bin Salman), prevede di portarlo al 30 per cento in dieci anni. «Per aiutare nel backstage, tutto nero e quasi completame­nte buio, avevamo 180 studentess­e universita­rie volontarie. Alcune di loro portavano orologi che valgono più della mia casa a Milano. Ma hanno lavorato senza sosta e senza nemmeno mangiare. Le mie quattro, Juju, Reema, Alanuoud e Hessa, il quinto giorno avevano perso 3 chili. Ci hanno messo l’anima e anche di più. Dopo il primo evento ho chiesto alle ragazze di invitare alla mia sfilata le loro mamme, zie, cugine, amiche: sono venute tutte».

PICCOLI PASSI. A GIUGNO le donne saudite potranno guidare e da gennaio sono autorizzat­e ad assistere a eventi sportivi. Hanno riaperto i cinema e Mohammed Bin Salman guarda all’industria dei film, del design, dell’arte e della moda per rilanciare un Paese fin qui legato ai redditi derivanti dai pozzi di petrolio. Affari, certo. Ma anche diritti, soprattutt­o per le ragazze più giovani che magari, un giorno,

potranno davvero voltarsi indietro e scoprire di essere libere. «Sono qua da più di un anno e mi sono accorta dei cambiament­i», racconta un’altra giovane profession­ista italiana, che lavora a Riyad in campo scientific­o, ma preferisce rimanere anonima.

MA LE DONNE SAUDITE sono uguali agli uomini?, è la domanda. La risposta, in sintesi, è: quasi. «Oggi le donne saudite non hanno ancora conquistat­o tutti i loro diritti. Una lunga strada è stata già percorsa, mentre ne abbiamo una corta ancora da percorrere», ha spiegato Mohammed Bin Salman (Mbs) in un’intervista rilasciata alla Cbs in occasione del suo viaggio negli Stati Uniti. Anche la cosiddetta polizia religiosa è stata depotenzia­ta e non può più arrestare le donne per violazioni formali. Resta il fatto che le donne devono indossare abiti pudichi e rispettosi, e devono obbedienza agli uomini. Ma secondo Mbs una soluzione c’è, perché la Sharia «non specifica se debbano usare un abaya nero o un abito nero o un velo nero. La decisione su quale abito pudico e rispettoso scegliere spetta interament­e alle donne».

Dalla teoria alla pratica. «Mentre andavamo insieme al mercato», racconta Ludovica, «le ragazze con cui abbiamo lavorato ci hanno detto che hanno fidanzati, amici maschi e anche amici gay, ci hanno raccontato che i loro padri e nonni erano poverissim­i e vivevano in capanne di fango; e che molti di loro ancora non sono abituati a tutto questo lusso e si sentono a disagio. Insomma abbiamo visto un Paese che ci ha accolto a braccia aperte, per non parlare dell’incredibil­e talento delle stiliste locali. Come tutte le donne saudite, adorabili. E felici di accoglierc­i come amiche. Siamo arrivati spaventati e pieni di preconcett­i, e siamo partiti con molti amici in più e ancora più voglia di cambiare il mondo». Ha detto Hissa Hilal, poetessa saudita: «Sconfiggi la paura e conquista ogni grotta spaventosa. E non vivere mai la tua vita guardandot­i indietro». E forse è questo il senso, al di là di una sfilata di moda.

 ??  ??
 ??  ?? RAGAZZE ALLO STADIO Un gruppo di tifose va a vedere la partita Al Hilal - Al Ittihad: è solo da gennaio 2018 che le donne, in Arabia Saudita, possono seguire gli eventi sportivi
RAGAZZE ALLO STADIO Un gruppo di tifose va a vedere la partita Al Hilal - Al Ittihad: è solo da gennaio 2018 che le donne, in Arabia Saudita, possono seguire gli eventi sportivi
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy