10-ZONE - DUELLO D’OPINIONI
Il fair play finanziario aiuta davvero il calcio?
«È uno strumento per creare condizioni più eque, indispensabili per tornare a essere uno sport», spiega l’opinionista. «È una battaglia utopistica che rischia di ottenere l’effetto contrario a quello che si prefigge: avvantaggiare i più forti», ribatte l’inviato
Sì Mario Sconcerti
PER ESSERE CONSIDERATA SPORTIVA, una competizione dovrebbe offrire ai suoi partecipanti le stesse condizioni di partenza, le stesse opportunità per tutti, almeno sulla carta. A mio parere, in questa prospettiva il calcio non è uno più uno sport da tanto tempo, proprio perché non si parte tutti sullo stesso piano. Lo definirei piuttosto uno spettacolo, in cui chi ha l’opportunità di comprare di più e meglio ha maggiori possibilità di vincere. È paragonabile a uno straordinario balletto in cui l’obiettivo è ingaggiare le più grandi stelle che attraggono il pubblico. Così il calcio si toglie da qualunque regola. Anche pensando a come vengono venduti i diritti televisivi, le condizioni non sono uguali per tutti, ma avvantaggiano determinati club in base a piazzamenti e tradizione. Il fair play finanziario vuole andare controcorrente rispetto a tutto questo, cercando di stabilire delle regole e dei limiti ai finanziamenti, e secondo me ci riesce. Io non sono necessariamente contro il libero mercato, però in assenza del fair play finanziario si finiva per avere una situazione in cui chi faceva più debiti otteneva più vantaggi. Inoltre, ancora oggi vediamo le conseguenze che si producono quando si riesce ad aggirarlo – pensiamo per esempio a come Neymar sia stato comprato dal Qatar per il Paris Saint Germain come affare di Stato. Ecco perché il fair play finanziario ha finito per essere necessario.
No Carlo Laudisa
PUR DANDO ATTO al fair play finanziario di aver funzionato nell’ottica di minimizzare il debito nel calcio, ha però creato quella che, facendo un paragone con il dibattito politico nel Vecchio Continente, è un’Europa a due velocità, con i rapporti di forza cristallizzati a favore dei club più forti. Per proseguire con la metafora, così come lo Stato italiano, per dirla in modo molto semplificato, potrebbe beneficiare di una maggiore flessibilità dall’Unione Europea per far ripartire l’economia, così anche le nostre squadre di calcio si trovano in una situazione simile. Penso soprattutto a Inter e Milan: per anni sono state al vertice in Italia e in Europa e se potessero investire ci tornerebbero, mentre invece devono preoccuparsi di contenere il debito. Il punto è che i grandi club come Barcellona e Real Madrid, per ragioni varie - compreso il sistema Paese in cui si trovano - riescono ad aumentare continuamente i ricavi, trovandosi così non limitati dal sistema. Secondo me il fair play finanziario è dunque una battaglia utopistica: vorrebbe mettere tutti sullo stesso piano, ma non ci riesce. Il nostro campionato è stato particolarmente penalizzato, anche se va sottolineato che molte delle colpe sono anche nostre; la Juve, che è riuscita a fare il salto di qualità, vince da sette anni, le altre soffrono. L’auspicio è che le regole Uefa possano diventare un po’ più flessibili.
Mario Sconcerti, 69 anni, è giornalista e commentatore sportivo del Corriere della Sera. Carlo Laudisa, 58 anni, è inviato ed esperto di mercato della Gazzetta dello Sport