Corriere della Sera - Sette

OCCHIO NON VEDE – COSA C’È IN UNA FOTO

- di Giuseppe Di Piazza

I Rohingya danno un calcio alla violenza

GIOVEDÌ 14 GIUGNO, alle19 ora locale, un fischio ha dato inizio in Russia ai Mondiali di calcio 2018. Nell’immagine qui accanto non vedete però il campo centrale di Mosca, dove l’imperatore Vladimir Putin ha incassato a mascella tesa l’applauso delle sue folle, ma il campo di gioco di Kutupalong, ai margini dell’area profughi di Cox’s Bazar, in Bangladesh. Lo scatto potrebbe esser stato fatto nello stesso momento in cui l’arbitro dava il via ai mondiali russi, ma sarebbe solo un dettaglio. La cosa più importante, guardando questa immagine, è sapere che le squadre che si contendono la palla a Cox’s Bazar non hanno magliette sociali, né sponsor, né tantomeno riserve. Questi ragazzi non si possono permettere altro che un vecchio pallone: tutta lo loro vita è in riserva, e a loro poter dare un calcio ai guai, su un rettangolo di polvere e pietre, oggi è più che sufficient­e. Sono ragazzi musulmani di etnia Rohingya, scampati alle persecuzio­ni disposte da anni dal governo di Myanmar sulla base di un cocktail violento di nazionalis­mo birmano e buddismo theravada. Già trecentomi­la rohingya sono riparati all’estero, molti sono stati massacrati, più di duecento loro villaggi bruciati. In questo campo profughi, per un giorno, il dolore ha fatto posto alla gioia di una partita. Ci si consola, nel mondo, con una palla che rotola, con la passione e il sudore che ovunque si mette nell’inseguire un gol, nell’inseguire un sogno.

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